È il momento di ripensare l’euro-pessimismo

A cura di Patrick Barbe, Head of European Fixed Income, Neuberger Berman

Da tempo l’Eurozona si trova ad affrontare incertezze e sfide a livello economico, normativo e politico. La Banca centrale europea si è notevolmente adoperata per aumentare le ricadute positive delle politiche monetarie sul sistema bancario e sulla crescita economica. Tuttavia, data l’assenza di ulteriori riforme politiche e fiscali, l’economia della regione è stata relativamente fiacca, con un tasso di inflazione bloccato più o meno all’1%, cioè molto al di sotto dell’obiettivo del 2% fissato dalla BCE. Ciò ha consentito alle pressioni esterne – come la Brexit, il rallentamento della crescita in Cina e la guerra commerciale con gli Stati Uniti – di generare un forte pessimismo tra gli investitori che ha spinto ancora una volta in territorio negativo il rendimento del Bund tedesco a 10 anni.

Nonostante tutto, il nostro messaggio vorrebbe essere più positivo. Il quadro attuale dell’Eurozona è in realtà molto più complesso di quello tratteggiato dalla sfiducia dei mercati e da alcuni degli indicatori principali.

 

La buona tenuta delle economie nazionali

Per il momento, le economie nazionali stanno dimostrando una tenuta più che discreta. La fiducia delle famiglie rimane elevata, grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro e all’aumento degli stipendi. Il vivace settore dei servizi può contare sulla spesa pubblica e sul boom dell’immobiliare, alimentato a sua volta da tassi di interesse bassissimi. Le banche hanno ripreso a svolgere la loro funzione, ritornando a sostenere l’economia in tutte le regioni dell’Eurozona. Ad eccezione dell’Italia, persino la spesa in conto capitale è andata aumentando fino alla fine dell’anno scorso. Nel complesso, i fondamentali delle famiglie e delle imprese sono forse ai massimi degli ultimi dieci anni.

I timori si sono concentrati sul settore industriale, in particolare da ottobre in poi, la cui performance ha sofferto di un inverno eccezionalmente rigido, di un rallentamento delle esportazioni globali e dell’entrata in vigore delle nuove normative antinquinamento per le automobili. Occorre però inserire tutto questo nella corretta prospettiva. Il recente andamento delle esportazioni rappresenta in qualche modo un ritorno alla normalità dopo un 2017 eccezionalmente positivo e riflette il miglioramento delle economie nazionali. Inoltre, poiché il settore industriale costituisce meno del 20% dell’economia dell’Eurozona, la crescita aggregata della regione dovrebbe mantenersi nel segno positivo.

In passato, la crescita del PIL dell’Eurozona è stata collegata al livello dei tassi di interesse reali e alla forza della moneta. Oggi, i tassi reali sono ai minimi storici e in territorio negativo, mentre l’euro viaggia a quota 1,13 dollari, molto al di sotto dell’1,25, livello in cui ha solitamente prodotto un impatto positivo sull’economia della regione.

 

Rischi politici esterni

Il pessimismo è stato naturalmente rafforzato dai rischi politci. Una Brexit senza accordo potrebbe avere ripercussioni sui settori industriali, in particolar modo in Germania. Il fatto che una simile eventualità sia stata posticipata a fine ottobre dovrebbe imprimere una forte spinta all’economia nei prossimi mesi e, oltre a ciò, concedere alle imprese del Vecchio Continente più tempo per trovare soluzioni ai rischi di interferenze e ai maggiori costi che dovranno affrontare quando la Brexit sarà finalmente una realtà. A dire il vero, davanti alla prospettiva sempre più probabile che un parlamento britannico frammentato sarà incapace di raggiungere un accordo, molte società potrebbero optare per il trasferimento della propria capacità produttiva verso l’Eurozona, una mossa che favorirebbe l’economia della regione.

L’altro problema politico rilevante è la guerra commerciale e dei dazi globale, che ha notevolmente inciso sulla crescita cinese, con ripercussioni indirette sull’Eurozona. In quest’ambito, l’apparente spostamento delle attenzioni dell’amministrazione USA dalla Cina all’Europa sta aumentando il rischio. L’impatto sul vasto settore automobilistico tedesco è stato tale da indurre gli economisti a prevedere che quest’anno la Germania registrerà una crescita inferiore alla Francia. Si fa presto a prevedere che la debolezza del settore manifatturiero tedesco avrà ripercussioni sull’intera Eurozona, considerato che la Germania genera un terzo della produzione industriale della regione.

Allo stesso tempo, riteniamo che difficilmente uno dei settori industriali migliori del mondo, i cui business model si basano su tecnologie e servizi di alta qualità, possa risentire in misura marcata degli effetti destabilizzanti di queste controversie. In ultima analisi, siamo del parere che per le esportazioni tedesche sia più importante la domanda a livello globale anziché quella prettamente statunitense. A titolo di esempio, basti ricordare che le esportazioni del settore automobilistico tedesco verso gli Stati Uniti ammontano a 26 miliardi di dollari, mentre quelle verso il Giappone a 50.

 

Forza sottostimata

Per concludere, riteniamo che l’attuale pessimismo dei mercati possa sovrastimare il rallentamento dell’economia dell’Eurozona e sottostimare la crescita della domanda interna, sostenuta dalle politiche della BCE, dal rafforzamento del settore bancario e dalla debolezza dell’euro. Gli investitori sembrano sottovalutare la capacità di reagire alle recenti difficoltà, di cui l’Eurozona ha dato prova.

Ecco perché secondo noi la cautela espressa dalla BCE nelle prospettive di lungo termine non concerne tanto la debolezza dell’economia interna, quanto piuttosto le problematiche poste dal quadro globale, come il rallentamento della crescita nelle economie emergenti e le minacce agli scambi commerciali globali.

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