È la politica monetaria e non la geopolitica a guidare i mercati attualmente

A cura di Tobias Merath, Head of Cross Asset and AI analysis, Private Banking & Wealth Management Credit Suisse
Le azioni dovrebbero essere guidate dalle iniziative delle banche centrali. All’inizio di questa settimana, gli eventi di rischio geopolitico si sono imposti, con le tensioni militari tra Russia e Turchia che hanno pesato sulle azioni globali. Ciò ha portato a un’outperformance del settore energetico a causa di una temporanea impennata dei prezzi del petrolio. I settori ciclici si sono indeboliti ma, fatto interessante, i «bond proxy» come telecomunicazioni e utility sono stati i worst performer. Tuttavia, con il tentativo dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO) e della Russia di stemperare la situazione, i movimenti sui mercati azionari sono destinati nuovamente a essere guidati dalle azioni delle banche centrali e dai dati macroeconomici. Nel contesto di un’accresciuta volatilità, le azioni
dell’UEM hanno sovraperformato con la riunione di dicembre della Banca Centrale Europea (BCE) dietro l’angolo e gli indicatori anticipatori come gli indici dei direttori agli acquisti e l’indice tedesco Ifo sul sentiment delle aziende che offrono un po’ di sostegno.
Il nostro approccio complessivo sulle azioni globali resta neutrale con le crescenti aspettative degli operatori di mercato di un avvio del ciclo di rialzi da parte della Federal Reserve a dicembre. Nella nostra strategia azionaria regionale, continuiamo a preferire le azioni dell’Eurozona e svizzere, con la debolezza della valuta dettata dalla politica monetaria destinata a estendersi favorendo gli esportatori. Allo stesso tempo, i recenti dati segnalano un graduale
miglioramento dell’economia dell’Eurozona. Nella nostra strategia settoriale continuiamo a reputare attraente i settori sanitario, IT e delle telecomunicazioni grazie a un miglioramento della visibilità degli utili e a revisioni relativamente favorevoli. Non solo, una robusta attività di fusione e acquisizione nel settore sanitario corrobora la nostra convinzione su tale settore.
Reddito fisso: il front end della curva dei rendimenti dei titoli di stato USA dovrebbe continuare a salire; aumentano i costi di finanziamento degli asset rischiosi. Nel reddito fisso, con i rendimenti dei titoli di stato a 2 anni verso lo 0,95%, ci aspettiamo che l’intero front end della curva USA continui a mostrare rendimenti al rialzo. .A nostro parere i tassi forward difficilmente convergeranno rapidamente verso le proiezioni della Fed («dot») senza un aperto chiarimento sul pattern dei rialzi della Fed, ma è più probabile che sfocino in un graduale aggiustamento delle previsioni di rialzo e in un alleggerimento delle posizioni lunghe. Pertanto ci aspettiamo che il front end della curva di rendimento dei titoli di stato USA prepari la strada a un rialzo dei rendimenti man mano che la Fed procederà con il suo ciclo di rialzi e i differenziali dei tassi rispetto ad altri mercati sono destinati ad allargarsi ulteriormente per le scadenze a 2 anni. Anche le scadenze più lunghe dovrebbero risultarne interessate e l’intera curva dei rendimenti è prevista al rialzo in concomitanza col ciclo di inasprimenti della Fed. Inizialmente ciò potrebbe addirittura tradursi in un movimento parallelo o addirittura sfociare in un irripidimento della curva in corrispondenza i dove si trovano attualmente i rendimenti del tratto lungo ma, a più lungo termine, un ciclo di rialzi della Fed si tradurrà con buona probabilità in una curva dei rendimenti USA più piatta.
Con il credito ancora in underperformance sulle azioni, ci aspettiamo che gli spread di credito restino instabili e pertanto continuiamo a promuovere una strategia di risalita della curva di rating e ci aspettiamo un’outperformance dei titoli investment grade e high yield di rendimento più alto (almeno BB o superiore). Ancora più importante, con gli USA in una fase avanzata del ciclo, chi investe nel credito dovrebbe adottare un approccio selettivo e analizzare minuziosamente le esigenze di finanziamento di ogni azienda,  con la disponibilità di credito che si fa più limitata e i costi di finanziamento, illustrati in parte dal rialzo dei rendimenti dei titoli di stato USA a 2 anni, che aumentano verso il 2016.
Materie prime: OPEC e COP21 al centro dell’attenzione. I mercati del petrolio continuano a dibattersi nel range di USD 40 al barile con le scorte globali di greggio che vanno accumulandosi. In altre parole, nonostante una domanda relativamente solida, la produzione deve ancora rallentare abbastanza da invertire le dinamiche del surplus. Mentre sono emersi segni di questo processo, in particolare negli USA, altri produttori che non sono membri  dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) hanno  silenziosamente potenziato la produzione (con i vecchi investimenti che danno frutto). Di conseguenza gli esportatori OPEC e non- OPEC si stanno ferocemente contendendo quote di mercato (offrendo sconti, dilazioni di credito, etc.), con l’Asia come unica regione in cui la domanda di importazioni continua a crescere, seppur non abbastanza rapidamente da assorbire un’ulteriore produzione.
Ad attestare l’acerrima concorrenza, l’OPEC sta producendo oltre ~32 milioni di barili al giorno (mb/d) negli ultimi mesi, ben al di sopra della quota ufficiale di 30 mb/d e ben al di sopra della domanda stimata di greggio dell’OPEC («call-on-OPEC») mediamente di ~30,5 mb/d nel T315 e ~31,1 mb/d nel T4 2015. Su queste premesse, l’OPEC si riunirà la prossima settimana, il 4 dicembre, per l’assemblea ufficiale semestrale del gruppo a Vienna per discutere delle strategie di produzione e marketing. Riteniamo che difficilmente l’OPEC raggiungerà un accordo per ridimensionare la produzione in ragione di una mancanza di scelte sensate. La produzione non-OPEC deve rallentare in maniera più significativa perché l’OPEC non rischi una rapida riaccelerazione della spesa e della produzione se dovesse annunciare tagli unilaterali. I recenti commenti dell’Arabia Saudita sulla disponibilità a collaborare con altri operatori di mercato non dovrebbero essere sopravvalutati avendo già dei precedenti e le osservazioni inoltre si riferiscono a produttori non-OPEC – il che ne riduce abbondantemente le probabilità di coordinamento.
L’OPEC piuttosto si troverà ad affrontare la difficile situazione dell’Iran, che intende aumentare la produzione di ~0,5 mb/d in una prima fase, una volta che le sanzioni cadranno formalmente verso la fine di quest’anno o il principio del prossimo anno (con un successivo ulteriore aumento della produzione più avanti se sarà possibile attrarre sufficienti investimenti esteri). Tuttavia è difficile capire come i sauditi possano fare delle concessioni all’Iran alla luce dell’attuale clima geopolitico. Perciò, se mai, la battaglia per la quota di mercato in realtà non potrà che intensificarsi ulteriormente, lasciando i mercati globali del greggio in una situazione di eccesso di offerta ancora per diverso tempo. Il nostro scenario di base è quello di un ribilanciamento dei  mercati del petrolio solo verso la fine del 2016.
La conferenza sul clima COP21 a Parigi e potrebbe avere un impatto di maggiore durata sui mercati dell’energia. Mentre vengono presi in considerazione i vari scenari, la domanda di petrolio globale potrebbe effettivamente stabilizzarsi o addirittura toccare un picco a metà secolo se gli obiettivi climatici saranno raggiunti. Il carbone è destinato a perdere di più, mentre il gas – a parte le forme rinnovabili naturalmente – dovrebbe riuscire ad accaparrarsi parte della quota di mercato del carbone, dato che la domanda totale di energia è attesa ancora
in crescita per i prossimi decenni.
Valute: USD destinato a rimanere ben supportato verso dicembre Nell’ultima settimana l’USD si è apprezzato di circa l’1% rispetto alle valute a basso rendimento quali EUR, CHF e SEK. Anche le valute dei mercati emergenti (ME) si sono indebolite nei confronti dell’USD con l’avvicinarsi di dicembre, quando la Fed dovrebbe dare inizio a un rialzo dei tassi di interesse. La divergenza tra le politiche monetarie resta un driver importante dell’USD, a nostro parere. In quel contesto, ci aspettiamo che i cross di USD ed EUR siano guidati a breve termine da ulteriori misure di allentamento della BCE (previste per la riunione della prossima settimana), oltre che dalla pubblicazione dell’ultimo report sul mercato del lavoro statunitense. Manteniamo le nostre previsioni positive per USD nei confronti di EUR e CHF, sulla scia di una divergenza delle politiche monetarie che dovrebbe riflettersi in un ulteriore movimento degli spread dei tassi a favore dell’USD. Non solo, nell’Eurozona si registrano ancora deflussi di capitali che contribuiscono a riciclare il surplus delle partite correnti e indeboliscono l’EUR. Alla luce dell’allargamento del differenziale dei tassi tra USD e CHF, oltre che di un possibile ulteriore allentamento della Banca Nazionale Svizzera a dicembre, ci aspettiamo ancora una tendenza al rialzo per USD/CHF. Pertanto ci avvarremmo ancora di episodi di debolezza dell’USD per incrementare le posizioni lunghe in USD. Oltre alle importanti riunioni politiche di dicembre, non ci sorprenderebbe assistere a un certo consolidamento dell’USD più avanti nel mese, uno schema osservato anche in passato dopo l’avvio dei principali cicli di inasprimento da parte della Fed. Nonostante le politiche di sostegno alla crescita della Cina e le valutazioni attraenti, gran parte delle valute dei ME restano a rischio a causa di deboli fondamentali economici. I mercati valutari stanno ancora scontando un miglioramento più rapido della crescita economica dei ME rispetto a quanto appaia realistico. Non solo, visto che la Fed, verosimilmente, normalizzerà la propria politica, il vantaggio sul piano dei tassi delle valute dei ME dovrebbe mostrare una tendenza al ribasso. Pertanto ci aspettiamo un ulteriore indebolimento delle valute dei ME nei prossimi mesi.

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