È opportuna una maggiore prudenza

 a cura di Banca Intermobiliare

In questa fase in cui sui mercati sono venuti a mancare alcuni punti di riferimento non è certo stato di aiuto il FOMC della settimana scorsa, che ha di fatto contribuito ad aumentare lo stato confusionale degli operatori.
Di fatto, dal meeting di giovedì scorso è emerso un atteggiamento della FED più accomodante delle aspettative: non solo non sono stati alzati i tassi, ma il comunicato del FOMC e la successiva conferenza sono stati piuttosto “dovish” (l’aspettativa degli investitori era che in caso di nulla di fatto sui tassi, la Yellen avrebbe optato per un atteggiamento più “hawkish” nelle sue dichiarazioni).

Quanto emerso dal FOMC sembra suggerire un’interpretazione che vede:
– da un lato una certa dose di preoccupazione per le prospettive dell’economia cinese e di diverse altre economie emergenti;
– dall’altro una FED “ostaggio” dei mercati, che fa fatica ad impostare una exit strategy dalla politica dei tassi zero.

E’ emblematico che nella conferenza successiva al FOMC una inviata di Reuters abbia chiesto alla Yellen se non sia preoccupata del fatto che la FED possa non essere in grado di porre fine alla politica dei tassi zero. La Yellen ha risposto: “…Non posso completamente escluderlo, ma questo è veramente un rischio di downside estremo che è per nulla prossimo allo scenario centrale del mio outolook”.

La fase di scarsa chiarezza che sta caratterizzando la politica monetaria americana trova conferma anche negli interventi degli ultimi giorni di alcuni membri della FED, in occasione dei quali è stato generalmente evidenziato un atteggiamento meno accomodante di quello emerso in occasione del FOMC.

L’incognita FED si è quindi andata ad aggiungere alla Cina, che resta la principale ombra sui mercati finanziari, anche perché l’impressione è che in pochi abbiano “il polso della situazione” sullo stato dell’economia cinese: un certo rallentamento sarebbe tollerabile nell’attuale contesto, ma non un “hard landing” (vale a dire una crescita inferiore al 5%), che andrebbe sicuramente a minare l’economia globale.
E’ vero che l’elevata capacità e disponibilità di intervento delle autorità cinesi continua a rappresentare un importante fattore di supporto, ma il solo timore di un “hard landing” associato alla recente perdita di credibilità delle autorità stesse può comunque generare una elevata volatilità sui mercati.

Non si può negare che permangono diversi elementi a supporto dello scenario costruttivo (in primo luogo, l’andamento delle economia americana ed europea) e, dopo la correzione delle ultime settimane, si sono aggiunti gli indicatori di sentiment degli investitori, che si sono portati su livelli estremamente depressi che statisticamente rappresentano un segnale positivo in ottica contrarian.

Ciò detto, restiamo dell’idea che il rischio Cina e la difficile fase di transizione della politica monetaria della FED impongano verso i mercati azionari un atteggiamento più prudente di quello che sarebbe suggerito dal buono stato dell’economia americana e dal buon momentum di quella europea.
Anche perché pur potendo gli operatori continuare a contare sul sostegno delle Banche Centrali, va tenuto presente che le PUT Yellen, Draghi e Kuroda hanno degli “strike price” sicuramente più bassi delle attuali quotazioni.

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