Economia post pandemica, “ripresa a forma di ‘K’ a vantaggio delle grandi imprese”

A cura di Sandy Brian Hager (City University of London) e Joseph Baines (King’s College)

Quando la pandemia da Covid-19 ha colpito per la prima volta, sembrava che, per certe imprese, fosse finalmente arrivato il giorno della resa dei conti. Per anni, esperti e politici avevano messo in guardia da un pericoloso accumulo di debiti delle “imprese non finanziarie”, cioè di tutte quelle che non appartengono al settore finanziario, assicurativo o immobiliare. Secondo un rapporto dell’Ocse del 2019, il loro debito è raddoppiato a livello globale nel decennio successivo alla crisi economica del 2008-09. Sicuramente la devastazione causata dalla pandemia sarebbe stata sufficiente a far scoppiare questa gigantesca bolla, scatenando un’ondata di inadempienze aziendali e mettendo il sistema finanziario globale a rischio di un’altra grave crisi. O no?

Anche se i tassi di default delle imprese sono saliti in tutto il mondo nel 2020, il tanto atteso crollo del mercato del debito delle imprese non si è verificato – almeno non ancora – grazie all’azione dei governi e agli interventi senza precedenti delle banche centrali, inclusa la Bank of England, per mantenere bassi i tassi di interesse sulle obbligazioni societarie acquistandole direttamente. Misure aggressive che possono aver contribuito a evitare una catastrofe ma che hanno avuto un prezzo elevato. Nel 2020, l’emissione globale di obbligazioni societarie ha raggiunto livelli record, alimentando il timore che le banche centrali abbiano semplicemente ritardato l’inevitabile.

Le misure sembrano anche alimentare una ripresa a forma di “K” dalla pandemia, mentre le grandi imprese si riprendono e quelle più piccole continuano a cadere. Ciò è dovuto al fatto che gli acquisti delle banche centrali sono stati fortemente orientati verso il debito di tipo investment grade, che viene emesso da grandi società con bilanci più solidi. Questo ha fatto sì che le grandi imprese abbiano preso in prestito grandi quantità di denaro a costi record, mentre quelle più piccole abbiano fatto fatica a raccogliere fondi per far fronte alla pandemia. Con queste dinamiche in gioco, sembra quasi certo che nell’era post-Covid ci sarà una più forte concentrazione delle imprese con l’assorbimento di un numero sempre maggiore di piccoli giocatori da parte dei giganti.

Eppure i segnali di una ripresa a “K” (cioè con una curva in calo e una in crescita sovrapposte, ndr) sono meno sorprendenti di quanto la maggior parte delle persone probabilmente si renda conto. L’economia è infatti a forma di “K” da decenni. Come dimostra la nostra nuova ricerca sugli Stati Uniti, le fortune finanziarie delle grandi imprese sono in costante miglioramento dall’inizio degli anni ’80, mentre molte piccole imprese sono cadute in gravi difficoltà finanziarie. La pandemia, in altre parole, sta intensificando le disfunzioni di lunga data del capitalismo statunitense. L’idea stessa di una ripresa a forma di “K” oscura questa realtà.

In questo periodo, le piccole imprese hanno visto i loro margini di profitto scendere costantemente in territorio negativo. Il decennale calo dei tassi di interesse sembra essere l’unica cosa che ha tenuto a galla le piccole imprese. Le piccole imprese potrebbero essere state tentate di approfittare del calo dei tassi d’interesse sui prestiti per aumentare le loro entrate e i loro profitti. Ma il costo dei prestiti per le imprese più piccole è stato notevolmente più alto di quello delle medie e grandi imprese, mettendole in una posizione di notevole svantaggio. Per le grandi imprese, invece, il cerchio è virtuoso: margini di profitto elevati e stabili consentono loro di emettere obbligazioni investment grade e di contrarre prestiti dalle banche a bassi tassi di interesse, che a loro volta rafforzano margini di profitto elevati e stabili.

Come siamo finiti in questa situazione? Per affrontare questa domanda, dobbiamo tenere conto delle peculiari dinamiche del capitalismo azionario così come si sono evolute negli ultimi decenni. Negli ultimi decenni, le società di tutte le dimensioni sono state sottoposte alla pressione dei mercati finanziari per aumentare i payout agli azionisti sotto forma di dividendi e riacquisti di azioni. Ma molte delle maggiori imprese godono di una posizione così dominante nell’economia che possono restituire ingenti somme agli azionisti senza doversi impegnare in investimenti su larga scala che possono portare a una crescita occupazionale e salariale a lungo termine.

Alcune società devono anche placare gli azionisti che chiedono continuamente rendimenti più elevati per i loro investimenti, ma a differenza delle grandi imprese, devono anche affermarsi attraverso investimenti di capitale su larga scala. Questo duplice imperativo le mette in una posizione molto precaria. Quindi, anche se stiamo assistendo a una ripresa a forma di “K”, è importante tenere presente che questa forma ha una storia molto più lunga che ha caratterizzato anche molte altre economie avanzate ancor prima della pandemia, compreso il Regno Unito.

A nostro avviso, la pandemia rappresenta un’opportunità mancata per i responsabili politici. Invece di usare il loro potere fiscale e monetario per costruire un sistema finanziario più stabile ed equo, le banche centrali hanno scelto di sostenere un sistema altamente disfunzionale. A meno che non vi sia un radicale allontanamento dalla politica attuale, il mondo dell’era post-Covid assomiglierà probabilmente a quello dell’era pre-Covid, solo con più turbolenze di mercato a causa della posizione precaria delle imprese più piccole, più concentrazione e ancora meno investimenti.

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