Elezioni in Argentina, i bond sovrani in valuta forte rimbalzeranno?

Dopo le elezioni primarie dell’11 agosto in Argentina, che sono state una sorpresa negativa per gli investitori, si è registrata una pressione al ribasso sui mercati del paese. Le elezioni primarie – di fatto una prova generale delle presidenziali del 27 ottobre – hanno visto un risultato molto più forte del previsto per il candidato di centro sinistra, attualmente all’opposizione, Alberto Fernandez. Quest’ultimo ha ottenuto infatti un sostegno del 47% contro il 32% dell’attuale presidente Macri, con un divario di 15 punti percentuali significativamente più grande del divario di 2-8 punti percentuali previsto da diversi sondaggi. Il ripetersi di un esito simile il 27 ottobre, significherebbe, per Fernandez, un’alta probabilità di non dover affrontare il secondo turno di novembre. Gli investitori hanno reagito in modo molto negativo a questi risultati perché significativamente diversi da quanto suggerito dai sondaggi e dagli analisti politici e perché molti continuano a sovrappesare le obbligazioni in valuta forte e locale del paese. Nel giro di tre giorni, i prezzi medi dei bond sovrani in valuta forte sono scesi del 40%, il peso si è deprezzato di circa il 32% e l’indice azionario di Merval è sceso del 48%. Questa reazione fuori scala rifletteva i timori che Fernandez avrebbe rotto con le politiche economiche favorevoli al mercato e sostenute dal Fmi e che sarebbe tornato alle politiche antimercato di Cristina Kirchner – la sua vice nonché ex presidente.

In questo scenario Koon Chow, EM Macro e FX Strategist EM Fixed Income di Union Bancaire Privée (UBP), sottolinea che i prezzi dei bond sovrani argentini in valuta forte hanno raggiunto un livello estremamente basso, con un prezzo medio di circa 48. Questo livello sembra ingiustificato. Certo, le prospettive economiche sono diventate molto più incerte date le ormai alte possibilità di Fernandez di vincere le elezioni presidenziali. Inoltre, le sfide economiche che l’Argentina deve affrontare sono significative: il paese è in recessione e il governo ha un notevole bisogno di finanziarsi in dollari. Secondo le stime degli analisti di Morgan Stanley, ad esempio, il fabbisogno netto di finanziamento privato del governo sarà di 6 miliardi di dollari nel 2020 e di 14 miliardi di dollari nel 2021, ipotizzando che il Fmi sia ancora presente nei prossimi anni. A fine 2018 l’entità del debito pubblico era elevata, pari all’86% del Pil, con un’ampia quota (circa il 77%) legata al tasso di cambio, il che implica una volatilità del relativo stock di debito. Tuttavia, con l’attuale prezzo medio dei bond sovrani in dollari, molta di questa incertezza e del rischio di insolvenza sembrano già essere prezzati. Il prezzo infatti è ben al di sotto del livello a cui le obbligazioni sono state scambiate nel 2014 (70), quando l’Argentina ha fatto default l’ultima volta (ma alla fine risolse la sua inadempienza per intero dopo il cambio di governo).

Fernandez non vuole il default

Secondo Chow, il basso prezzo attuale riflette probabilmente i timori di una ripetizione dei tassi di recupero del 28% registrati nel 2005 e con un’altissima probabilità implicita che ciò avvenga nei prossimi 12 mesi (63%). Tuttavia, noi riteniamo che la ristrutturazione del 2005 non sia un buon punto di riferimento perché l’esito di quel default è stato un decennio di isolamento economico e finanziario impopolare a livello dell’opinione pubblica del paese, oltre a violente contese legislative con investitori che si sono rifiutati di partecipare alla ristrutturazione obbligazionaria iniziale. Inoltre, quando nel 2001 l’Argentina si è resa inadempiente (per poi raggiungere un accordo di ristrutturazione nel 2005), lo stock del debito pubblico era pari a circa il 152% del PIL e i costi di servizio del debito assorbivano circa il 19% delle entrate riscosse dal governo (contro l’86% del debito e il 9% dei costi di servizi alla fine del 2018). Pensiamo che nessun futuro presidente voglia ripetere il periodo 2005-2014.

Ci sono poi altri fattori, prosegue l’esperto, che fanno ritenere che i prezzi attuali siano troppo bassi e ci sia quindi spazio per un rimbalzo sono: 1) le dichiarazioni di Fernandez e dei suoi consiglieri economici, che indicano la volontà di continuare a lavorare con l’Fmi, anche se con una politica fiscale meno austera e tassi di interesse più bassi. Fernandez ha ripetutamente indicato di non volere controlli sui capitali o default 2) Fernandez ha probabilmente interesse a calmare i mercati, nel caso in cui ulteriori cali dei prezzi dovessero spaventare i suoi sostenitori o galvanizzare gli argentini moderati a sostegno di Macri 3) Fernandez probabilmente non vuole ereditare un’economia con un peso in forte calo e gli investitori che non sono disposti a contrarre alcun debito. Questo porrebbe ritorcersi contro Fernandez stesso, impattando sulla sua popolarità.

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