Elezioni Usa: comunque vada, il rapporto rischio/rendimento resta favorevole

A cura di Unigestion

Le elezioni americane del 2020 inizieranno questa settimana con le primarie di repubblicani e democratici in Iowa. Mentre il presidente Trump sarà quasi certamente il candidato repubblicano, il candidato democratico è molto meno ovvio. Chiunque lo diventerà, dovrà affrontare un presidente in carica con un handicap significativo, visti i forti venti contrari di natura politica che Trump deve affrontare.

È improbabile che la politica legislativa abbia un impatto significativo, dato che il Congresso rimarrà probabilmente diviso, rendendo estremamente difficile l’approvazione di una legislazione ampia e non bipartisan. Tuttavia, altre politiche che rientrerebbero nell’ambito di una Casa Bianca Democratica, come la deregolamentazione e l’ambiente, possono rappresentare una minaccia per alcuni settori e imprese, così come per i rendimenti obbligazionari statunitensi. Ciononostante, rimaniamo positivi sui growth asset (Usa, ma anche più in generale), poiché il quadro macroeconomico rimane di supporto, anche se il sentiment può ridurre il rischio-rendimento .

Le regole e il calendario delle primarie indicano che per qualche tempo non conosceremo lo sfidante di Trump

Le elezioni americane del 2020 iniziano con le primarie presidenziali, durante le quali gli Stati scelgono i delegati alla convention nazionale del proprio partito. Questi delegati si impegnano a votare per un determinato candidato al Congresso e chi raggiunge la maggioranza viene scelto come candidato del partito per le elezioni presidenziali di novembre. In assenza di un evento imprevisto che impedisca a Donald Trump di cercare la rielezione, è lecito supporre che egli sarà il candidato del Partito Repubblicano.

Per il Partito Democratico il quadro è molto meno chiaro. Nessun candidato ha regolarmente raccolto consensi superiori al 30%, il che rende difficile affermare che ci sia un chiaro candidato. Ciononostante, le regole e i tempi delle primarie presidenziali democratiche sono utili per capire come potrebbe andare a finire. Nel complesso, ci sono 3.979 delegati che si sono impegnati ad essere selezionati (pledged delgates), il che richiede che un potenziale candidato si assicuri i voti di 1.990 di loro per raggiungere la maggioranza durante il primo turno alla convention.

Oltre a questi 3.979, ci sono 771 delegati “automatici” (automatic delegates), che sono stati chiamati “super-delegati” nelle precedenti primarie. A differenza di quest’ultime, dove potevano influenzare significativamente il voto, oggi non potranno partecipare al primo turno di votazioni alla convention. Voteranno solo nel caso di convention spaccata (nessun candidato ottiene la maggioranza al primo turno di voto), agendo fondamentalmente da spartiacque nei turni di voto aggiuntivi. Finora, molti di questi delegati automatici non hanno ancora approvato un candidato, e questo rimarrà probabilmente il caso, in modo che possano mantenere la loro flessibilità per evitare un congresso disordinato ed estenuante.

A differenza delle primarie presidenziali repubblicane del 2016, che avevano regole molto diverse per l’assegnazione dei delegati ai candidati di ogni stato, le regole per le primarie democratiche del 2020 sono piuttosto uniformi. I delegati sono assegnati proporzionalmente in base alla loro quota di voto in tutto lo stato, insieme a quella nel distretto locale, con una soglia del 15% (sono esclusi tutti i candidati con meno del 15% dei voti). Quasi il 65% dei delegati (2.591 su 3.979) viene assegnato usando la quota di voti del distretto locale, mentre il restante 35% (1.388) usando la quota dello Stato.

Ciò significa che un candidato che non riesce a raggiungere la soglia del 15% a livello statale può comunque raccogliere i delegati a livello locale se questi hanno fatto meglio del 15% in alcuni distretti. In generale, tuttavia, ci si dovrebbe aspettare che i delegati siano assegnati in proporzione alla quota di voto, in modo che, man mano che le primarie si avvicinano e i sondaggi sono più accurati, l’assegnazione dei delegati diventi più chiara. Tuttavia, dato lo stato attuale dei sondaggi (vedi sotto), l’incapacità di ogni candidato di assumere e mantenere una posizione di comando e l’assegnazione proporzionale dei delegati, c’è una ragionevole probabilità che il candidato principale non sia sicuro di partecipare alla Convention Nazionale Democratica a metà luglio.

Non è ancora chiaro chi sarà il candidato democratico

Dopo le elezioni presidenziali del 2016, il Partito Democratico è stato spinto in due direzioni diverse: l’ala progressista del partito lo ha portato più a sinistra, mentre i Democratici moderati lo hanno trascinato al centro. Finora, questa tensione ha giocato in gran parte a vantaggio dei Democratici, permettendo loro di schierare candidati più moderati nelle elezioni “di destra”, mentre i candidati più progressisti hanno ottenuto vittorie nelle elezioni “di sinistra”. Infatti, durante le elezioni di metà mandato del 2018, i Democratici hanno preso il controllo di molti seggi alla Camera candidando personalità moderate nei distretti a maggioranza repubblicana, e che quindi potevano capitalizzare il disagio degli elettori con il presidente Trump.

Tuttavia, le primarie presidenziali sono elezioni nazionali e quindi mettono a nudo queste due opinioni divergenti sul futuro del Partito Democratico e del Paese nel suo complesso. Da un lato, l’ala più moderata del partito ha sostenuto candidati come l’ex Vicepresidente Joe Biden (che rimane in cima alla maggior parte dei sondaggi) e il sindaco Pete Buttigieg. Dall’altro, l’ala progressista del partito ha sostenuto il senatore Bernie Sanders e la senatrice Elizabeth Warren. Altri candidati non hanno avuto successo e si sono ritirati, mentre altri continuano a fare campagna elettorale, in particolare la senatrice Amy Klobuchar, Michael Bloomberg e Andrew Yang.

Ci sono alcuni dati chiave dei sondaggi:
– mentre Biden e Sanders hanno tenuto duro, Warren e Buttigieg hanno visto il loro sostegno aumentare e diminuire, suggerendo una certa elasticità rispetto la loro coalizione;
– Klobuchar, Bloomberg e Yang non hanno ottenuto consensi al di sopra del 5% con continuità, anche se i numeri di Bloomberg sono in aumento dato che ha annunciato la sua candidatura di recente;
– rimane un gran numero di elettori (quasi il 20%) che sostengono un altro candidato (ci sono molti candidati attorno all’1-2%) o sono indecisi, il che implica che, mentre questi elettori cambiano le preferenze o scelgono un candidato, potremmo vedere un grande cambiamento nei sondaggi.

Dato lo stato dei sondaggi e la capacità dei candidati di generare un forte slancio (e inversioni di tendenza) durante la prima parte della stagione primaria, rimane incerto chi sarà l’eventuale candidato democratico. Il 3 marzo sarà un indicatore importante, in quanto alcuni candidati potrebbero guadagnare consensi a partire dal Super Tuesday, mentre chi otterrà performance scadenti probabilmente si ritirerà poco dopo.

Trump non è né inevitabile, né improbabile

L’eventuale candidato democratico si scontrerà con un presidente in carica che, secondo molte metriche, dovrebbe essere nettamente favorito: l’economia continua a crescere a un ritmo sano, la disoccupazione è ai minimi storici, i mercati azionari sono ai massimi storici e i conflitti militari sono stati contenuti (per ora). Tuttavia, il Presidente Trump non è il tipico Presidente in carica e deve affrontare alcuni significativi venti contrari nel corso del 2020:
– il suo tasso di approvazione netto (percentuale di approvazione meno quella di disapprovazione) è rimasto nella fascia da -10% a -15% ed è stato positivo solo poco dopo il suo insediamento. Nessun presidente dai tempi di Harry Truman ha mantenuto una percezione così negativa tra gli americani per così tanto tempo;
– le elezioni di metà mandato del 2018 (così come altre elezioni speciali dopo il 2016) sono state spesso inquadrate come un referendum sul Presidente Trump, e i risultati non sono incoraggianti per lui: i Repubblicani hanno perso l’8% dei voti popolari alla Camera, insieme a 40 seggi (ottenendo due seggi netti aggiuntivi al Senato), con un’affluenza alle urne (50%) superiore a tutte le elezioni di metà mandato che dal 1946 e che si avvicina all’affluenza alle presidenziali del 2016 (56%);
– infine, Trump è stato messo sotto accusa dalla Camera (in un voto quasi-partitico) e ora si trova di fronte a un probabile processo in Senato prima del giorno delle elezioni. Mentre le probabilità che i due terzi del Senato repubblicano votino per la sua rimozione sono basse, circa il 47% degli americani pensa che dovrebbe essere rimosso dalla carica. È importante sottolineare che quasi il 42% degli indipendenti è d’accordo, suggerendo che non sono solo i Democratici a voler vedere il presidente Trump non più in carica.

Naturalmente, la persona che il Partito Democratico nominerà per sfidare il presidente Trump sarà la chiave per valutare le probabilità di rielezione di Trump. Per ora, sondaggi testa a testa suggeriscono che la contesa sarà alla pari.

In linea di massima, a questo punto, l’elezione sarebbe a rischio. Nessun potenziale candidato democratico ha un chiaro vantaggio contro Trump. Anche Biden, che nel settembre dello scorso anno aveva quasi il 10% di vantaggio su Trump, oggi è a pari merito con il Presidente. Inoltre, c’è circa il 10% degli elettori indecisi, aggiungendo ulteriore incertezza a qualsiasi pretesa che ci sia un chiaro vantaggio per chiunque. È anche utile tenere presente che manca quasi un anno all’elezione vera e propria, e allora sarà utile capire come saranno i numeri a pochi mesi dalle elezioni.

Guardando alle ultime quattro elezioni presidenziali quando un candidato in carica era in corsa (2012: Obama contro Romney, 2004: Bush contro Kerry, 1996: Clinton contro Dole e Perot, 1992: Bush contro Clinton), il candidato-Presidente aveva un ragionevole vantaggio sullo sfidante per la prima dei primi tre contest che si sono svolti nel giorno delle elezioni e ha poi vinto. Da agosto a novembre, Obama ha ottenuto un vantaggio medio del 2% su Romney, Bush del 3% su Kerry e Clinton del 10% su Dole e Perot messi insieme. In quest’ultimo caso, Bush ha inseguito Clinton con un ritardo mediodel 12% circa da agosto, non venendo rieletto. L’Electoral College può giocare a vantaggio di Trump, ma se segue il voto popolare di molto più del 2% (il margine di voto popolare del 2016), sarà difficile colmare il deficit.

Le proposte politiche democratiche sembrano volte a cancellare Trump

Non ci aspettiamo che la politica fiscale cambi molto a seconda di chi verrà eletto, a meno che non si verifichi un’elezione con una significativa “spinta” che dia ad un partito una forte maggioranza in entrambe le Camere. Se Trump venisse rieletto e i Democratici continuassero a tenere la Camera (cosa che sembra probabile), la situazione continuerà a essere quella dell’ultimo anno: misure bipartisan con il sostegno della Casa Bianca (ad esempio, Usmca) si faranno strada, mentre altre misure continueranno a mancare (ad esempio, la riforma dell’immigrazione).

Se Trump perdesse ma senza che i Democratici fossero in grado di avere una forte maggioranza in Senato (per superare potenziali ostruzionismi), l’agenda del Presidente Democratico sarà limitata a quelle politiche che hanno ampio appeal. Ci sono misure aggiuntive che potrebbero essere utilizzate per attuare la politica (ordini esecutivi, processo di riconciliazione, eliminazione dell’ostruzionismo), ma è improbabile che queste producano grandi cambiamenti sistemici o che possano affrontare sfide legali.

Tuttavia, con l’avvicinarsi delle elezioni, i mercati finanziari reagiranno ai cambiamenti nei sondaggi, mentre gli investitori rivaluteranno le proprie probabilità in materia di politica fiscale. Mentre il Presidente Trump non ha indicato un cambiamento significativo di posizione, le proposte dei candidati Democratici differiscono in modo significativo dalla politica attuale e, in alcuni casi, l’una dall’altra.

Rischio-rendimento minore ma non eliminato

La capacità di un potenziale candidato democratico di mantenere le promesse della campagna elettorale e di mantenere queste politiche è limitata senza una forte maggioranza in Senato. Ciononostante, è probabile che la politica interna diventi un fattore di rischio fondamentale per i mercati finanziari in prossimità del giorno delle elezioni. Risalendo al 1980, possiamo notare che per anni, quando un repubblicano ha vinto la presidenza, l’S&P 500 è aumentato in media del 24% dall’inizio dell’anno al giorno delle elezioni e di un altro 5% nel resto dell’anno. D’altra parte, per anni in cui un democratico ha vinto la presidenza, l’S&P 500 è salito in media del 2% in media dall’inizio dell’anno al giorno delle elezioni e del 2% nel resto dell’anno. Escludendo le elezioni del 2008, quando una vittoria democratica è coincisa con il Gfc, l’S&P è salito in media del 12% nel giorno delle elezioni e ha registrato un esiguo aumento dell’1% dopo il giorno delle elezioni.

Se è vero che non sono solo i fattori politici a guidare i mercati azionari, sembra anche chiaro che i mercati hanno preferito i presidenti repubblicani a quelli democratici. Quest’anno elettorale vedrà probabilmente un proseguimento di questa dinamica, come i prezzi marginali degli investitori nella possibilità di un democratico alla Casa Bianca.

Dal nostro punto di vista, alcuni mercati sono particolarmente esposti a questo rischio politico:
– le azioni societarie hanno beneficiato in modo significativo dei tagli alle imposte del 2017, trasferendo i loro benefici fiscali quasi uno a uno alla crescita degli utili, quindi un eventuale aumento dei prezzi delle imposte societarie sarà un vento contrario nel 2020 rispetto alle azioni statunitensi;
– settori (come quello metallurgico, minerario e sanitario) e aziende che hanno beneficiato della spinta alla deregolamentazione di Trump, soprattutto per quanto riguarda le normative ambientali, sono particolarmente a rischio, dato che queste politiche sono in gran parte guidate dalla Casa Bianca e non necessitano in genere dell’approvazione del Congresso;
– i piani dei candidati Democratici per la riduzione delle tasse scolastiche degli studenti e del debito, insieme a vari aspetti di un Green New Deal, comporteranno probabilmente un ulteriore indebitamento da parte del governo federale, aggiungendo un’ulteriore pressione al rialzo sui rendimenti delle obbligazioni statunitensi in un momento in cui la Fed ha indicato che il loro tasso obiettivo è a un livello soddisfacente.

Nonostante questi rischi, manteniamo ancora una visione positiva sugli asset legati alla crescita negli Stati Uniti, poiché non vediamo in questo momento una significativa minaccia di recessione nel 2020. Inoltre, ci aspettiamo che molti dei candidati alle primarie democratiche si sposteranno verso il centro durante la campagna elettorale generale, una volta che inizieranno ad affrontare l’ampio elettorato. Ciononostante, la politica ha certamente ridotto il rischio-ricompensa delle attività statunitensi, il che ci indica di guardare al di fuori dell’America in cerca di opportunità interessanti.

Conclusioni

La politica in genere non svolge un ruolo significativo nelle decisioni di asset allocation in quanto ha un impatto limitato sulle forze macroeconomiche. Tuttavia, negli ultimi anni, la sua influenza è aumentata in modo significativo a causa di un’espansione dell’invecchiamento della popolazione che sta mostrando segni di crescita stabile ma bassa, poche pressioni inflazionistiche e un aumento del populismo che spinge contro il globalismo.

Gli Stati Uniti non fanno eccezione, e con una politica spesso comunicata in 280 caratteri negli ultimi tre anni, il sentiment del mercato è stato rapido a reagire. Dal nostro punto di vista, le elezioni presidenziali americane dimostreranno se l’elettorato americano è così stufo del presidente Trump come indicano i suoi sondaggi di approvazione o se l’economia resiliente compenserà le colpe di Trump. Anche se Trump dovesse perdere, non ci aspettiamo di vedere cambiamenti significativi nella politica che minaccino seriamente le attività statunitensi, anche se ci sono sacche di rischio concentrate. I risultati elettorali presentano attualmente un elevato grado di incertezza, che mette a repentaglio il miglioramento del sentiment del mercato nel quarto trimestre del 2019. Tuttavia, riteniamo che il rapporto rischio/rendimento degli asset di crescita rimanga favorevole, anche se meno di qualche mese fa.

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