Europa fuori pericolo? Il punto sulle economie globali

A cura di Keith Wade, Chief Economist & Strategist, Schroders
La crescita sincronizzata a livello globale iniziata la scorsa estate continua e offre sostegno agli asset rischiosi. Inoltre, la stagione degli utili del primo trimestre è stata molto positiva, specialmente negli Stati Uniti. Le previsioni sugli utili societari continuano ad essere riviste al rialzo.
Esiste ancora una certa divergenza tra i cicli economici delle economie avanzate. Gli Stati Uniti si trovano in una fase avanzata. L’Eurozona resta indietro, con alcuni Paesi – come la Germania –ad uno stadio avanzato e altri – come l’Italia – in ritardo. Queste differenze spiegano le politiche monetarie divergenti.
Tuttavia, il Pil globale continua a situarsi ben al di sotto del livello che avrebbe raggiunto se la crisi finanziaria non fosse avvenuta. Questa perdita di output potrebbe non essere mai recuperata.
Europa: fuori pericolo? I dati continuano a migliorare e i PMI indicano un tasso di crescita del Pil al 2%. Allo stesso tempo non c’è pressione inflazionistica e di conseguenza la BCE può mantenere una politica monetaria accomodante. Il rischio politico si è affievolito con la vittoria dell’europeista Emmanuel Macron alle elezioni francesi.
Le elezioni generali in Italia, che dovrebbero tenersi entro maggio 2018, rappresentano oggi il rischio maggiore all’orizzonte. Il Movimento 5 Stelle, antieuropeista, continua ad ottenere buoni risultati nei sondaggi. Tuttavia, anche se fosse il maggiore partito, avrebbe comunque bisogno di una coalizione per poter governare. Inoltre, se dovesse indire un referendum sull’appartenenza dell’Italia all’UE, la vittoria del no all’UE non sarebbe certa.
I problemi strutturali e cronici dell’Europa, però, non sono scomparsi. Macron, pur con un forte mandato, deve affrontare il compito gravoso di riformare l’economia francese. La competitività relativa dei diversi Paesi dell’Eurozona resta un problema. Paesi come la Germania, e la Francia in maniera minore, sono in grado di tenere sotto controllo il costo del lavoro. Le economie periferiche come l’Italia e la Grecia tendono a trasformare ogni beneficio derivante da una crescita maggiore in salari più elevati. L’Italia gestiva tale problema svalutando la lira, ma chiaramente questa opzione non è più valida nell’Eurozona.
L’economia britannica sta rallentando. L’economia britannica al momento è in declino. La spesa dei consumatori è stata la ragione per cui ha continuato ad avere performance positive l’anno scorso, ma ora è ostacolata dall’inflazione e dalla lieve crescita dei salari. Una sterlina più debole indica che l’inflazione dovrebbe aumentare ulteriormente e mentre i prezzi aumentano, la crescita dei salari rimane debole. I consumatori dovranno ridurre la spesa o la domanda di credito aumenterà. Intanto, il tasso di risparmio è già crollato.
Dopo il referendum sull’UE gli investimenti delle imprese sono crollati come previsto. L’incertezza riguardo al futuro delle relazioni commerciali britanniche ha spinto le imprese ad evitare di impegnarsi in contratti di lungo termine. Il programma per la negoziazione della Brexit ha tempistiche estremamente strette. Continuiamo a ritenere che verrà accordato un periodo di transizione, o di implementazione, ma solo all’avvicinarsi del termine fissato a marzo 2019. Alla luce di ciò, è improbabile che la Bank of England decida di aumentare i tassi di interesse nel breve termine.
Usa: il Trump trade si è affievolito. Gli investitori sono tornati sui titoli difensivi di alta qualità, che privilegiavano prima delle elezioni e sulle azioni tecnologiche. Sembra che tale inversione sia dovuta soprattutto alle preoccupazioni riguardo all’agenda di Trump. Obiettivi come una crescita del 4% o 25 milioni di nuovi posti di lavoro sembrano ora troppo ambiziosi. Se non ci dovessero essere progressi nemmeno su legislazione fiscale e sanitaria, due tematiche chiave per i Repubblicani, la Camera dei Rappresentanti potrebbe finire con l’avere un mandato bloccato e i Democratici potrebbero tentare l’impeachment.
In altri ambiti, come il rimpatrio dei titoli oltreoceano, la deregolamentazione del settore bancario e il taglio delle tasse sulle imprese, ci aspettiamo che Trump riesca a far passare le proprie modifiche.
Mercati Emergenti: acque più calme per il futuro. I titoli dei Mercati Emergenti stanno crescendo di nuovo, sebbene la Fed abbia alzato i tassi di interesse. Questo per la competitività delle valute dei Mercati Emergenti che si erano già svalutate ampiamente nel 2015 e nel 2016. Allo stesso tempo, le Banche Centrali dei Mercati Emergenti hanno alzato i tassi mentre le economie sviluppate avevano tassi bassi o negativi. Ciò significa che esiste un margine per tagliare i tassi, se necessario. Un altro fattore positivo è che le politiche protezionistiche di cui si è parlato negli Stati Uniti non si sono materializzate.
Conclusioni. L’indice VIX che misura la volatilità del mercato è a livelli molto bassi, per buoni motivi. È vero che gli Stati Uniti potrebbero aver bisogno di aumentare i tassi di interesse più velocemente rispetto alle aspettative attuali, ma la liquidità globale sarebbe comunque abbondante, dato che le Banche Centrali in Giappone e in Europa stanno continuando con il quantitative easing. L’inflazione potrebbe essere vista come un rischio, mano a mano che il ciclo economico avanza, ma la crescita dei salari al momento continua ad essere contenuta nella maggior parte delle economie più importanti.
In generale riteniamo che il mercato non sia soddisfatto e notiamo anche una carenza di titoli veramente sicuri su cui investire. Sicuramente, la preferenza verso i segmenti difensivi e di alta qualità del mercato azionario da parte degli investitori indica una consapevolezza del fatto che esistono rischi nello scenario attuale. In maniera simile, il settore tecnologico sta riscuotendo successo, in quanto rappresenta una storia di crescita di lungo termine che rimane lontana dai fattori politici e macroeconomici di breve termine.

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