Europa meglio degli Usa

A cura di Giuseppe Sersale, Anthilia Sgr
L’abolizione dell’Obamacare si trasforma in un Boomerang per Trump. Ma la reazione sui mercati è contenuta.
Come fare a parare lo smacco di una impasse sull’abolizione dell’Obamacare, una faccenda che il neo Presidente aveva promesso di liquidare in un battibaleno, appena messo piede alla Casa Bianca? Trump ha pensato di dichiarare che Obamacare scoppierà da sola, e che la sua cancellazione passa in secondo piano, perchè ora il Congresso si dedicherà immediatamente alla riforma fiscale. Mossa furba, perchè porta il focus su ciò che veramente interessa agli investitori, per i quali l’American Health Care Act era solo un deal interlocutorio in attesa del piatto forte.
La mossa sembra aver prodotto effetti, perchè il ritiro della proposta, avvenuto venerdi sera a mercati aperti, ha causato ben poco movimento. Anzi, i mercati hanno recuperato dai livelli in cui li aveva spinti la paura che il progetto di legge venisse ufficialmente bocciato alla House of Representatives.
Detto ciò, l’inattesa bocciatura dell’ AHCA non può essere liquidata come un incidente di percorso, a mio modo di vedere, in quanto:
** Infligge un pesante colpo all’aura di “Deal Maker” del Presidente, ed dimostra  l’inefficacia dei suoi metodi coercitivi per ottenere il consenso al Congresso. E’ evidente che per il futuro i provvedimenti dovranno godere di un consenso più largo nel partito, il che richiederà tempo e attitudine al compromesso.
** mostra chiaramente le divisioni all’interno del partito. Se il deal è affondato a causa di un gruppo di radicali, è evidente che la parte moderata non ha permesso a Trump e Ryan di andare incontro alle loro richieste.
** La robusta maggioranza alla Camera (237 membri su 435) non è stata sufficiente ad abolire una riforma definita “disastrosa”. Dovremmo credere che con la riforma fiscale invece filerà tutto liscio? L’ultima riforma fiscale risale a Ronald Reagan, che ci mise 4 anni a realizzarla.
** L’AHCA doveva fornire un risparmio fiscale (1 trilione secondo le previsioni del partito) da utilizzare per le coperture, risparmio fiscale che ora viene a mancare. Discorso simile per il piano infrastrutture e l’inizio della costruzione del muro.
** La sconfitta rischia di complicare anche il passaggio, entro la deadline del 28 aprile, del Budget necessario a finanziare l’attività governativa fino a fine anno, con i Democratici che affilano già le armi. Il rischio che si corre è di un nuovo shutdown governativo.
In sintesi, l’abolizione dell’Obamacare doveva costituire il primo punto di peso segnato da Trump, ed invece il suo fallimento espone chiaramente le difficoltà realizzative del suo programma e le divisioni interne al partito.
Riflessioni di questo tipo maturate nel week end hanno prodotto un apertura dei mercati decisamente risk adverse ieri mattina, fin dalla seduta asiatica.
La sconfitta di Trump ha ovviamente impattato su un dollaro già traballante, ottenendo il consueto effetto su Tokyo, che si è ritrovata lo yen in area 110, massimo da metà novembre. Più tranquilla la parte emergente dell’area, favorita dal dollaro debole e dai tassi US in calo, ma nessuno dei principali indici ha mostrato variazione positiva.
L’apertura europea ha visto gli indici accumulare un significativo ribasso, trainati dai future su Wall Street, dalla forza dell’€, e dal settore bancario, innervosito anche dal rimbalzo dei bonds. A dare vigore alla divisa unica anche i dati macro, con l’IFO tedesco sopra attese (112.3 da prec 111.1 e vs consenso a 111.1).
La rotonda vittoria per la Merkel nel Saarland (CDU 40.6% vs SPD  a 29.7% ) nonostante i sondaggi indicassero una quasi parità ridimensiona un po’ le ambizioni di Schulz.
Peraltro, l’azionario continentale dopo un iniziale smarrimento seguito al -2% in apertura delle banche, ha rapidamente recuperato, mettendo nuovamente in mostra l’attitudine a outperformare gli USA osservata a marzo.
L’apertura di Wall Street ha marcato l’ultima fase di risk aversion giornaliera, dopodichè l’azionario ha preso a recuperare stabilmente, tanto che alla chiusura europea le perdite per gli indici erano diventate marginali, e l’S&P 500 ha sfiorato la parità. Meno marcata la ripresa del biglietto verde, che ha comunque distanziato di uno 0.3% i minimi di seduta. Svanita anche l’esuberanza sui bonds core, la tenuta dei BTP ha compresso lo spread. In US il treasury ha sofferto in minima parte il ritorno dell’azionario a dimostrazione di un mercato dei tassi ancora in allerta.
Nonostante il recupero dell’azionario, personalmente resto dell’idea che il capitale politico in mano a Trump abbia subito un robusto ridimensionamento in seguito agli avvenimenti degli ultimi giorni, e che l’onere della prova sia ormai decisamente a carico del suo esecutivo.
Ciò non vuol dire che mi aspetti un ritorno dei mercati ai livelli “pre Trump”. E’ evidente che negli ultimi mesi la crescita US e globale ha accelerato in maniera significativa, e la direzione dei risk asset nei prossimi mesi dipende in massima parte dalla tenuta o meno di quest’accelerazione, circostanza che non dipende (quanto meno non interamente) dall’operato di Trump.
Peraltro, dovendo necessariamente ridimensionare il contributo del piano di Trump, sospetto che il mercato guarderà con parecchia attenzione ai dati macro nelle prossime settimane, e tratterà con molta diffidenza eventuali segnali di attenuazione di quegli animal spirits che l’avvento di Trump ha incarnato. In questo senso, mi attendo un ritorno della volatilità su livelli più elevati rispetto al recente passato, a causa di un deterioramento del newsflow politico, e un crescente nervosismo.

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