“Fomo”, un nuovo arrivato nel Pantheon dei mercati

In sociologia Fomo è la Fear of Missing Out, la paura di non esserci, un concetto che Guy Debord non fece in tempo a inventare ma che gli sarebbe piaciuto, perché è figlio della rete e dei social media, a loro volta figli, per come sono venuti configurandosi nel tempo, della società dello spettacolo. Fomo è ansia presenzialista, paura di perdere un evento e pazienza se quell’evento è programmato e messo in scena da altri ben più potenti e significativi protagonisti, l’importante è poterlo almeno seguire e commentare. Il Fomo dei nostri anni (il termine fu coniato nel 1994) è la versione povera dell’antropologica voglia di appartenere a un gruppo di eletti, che sia una confraternita, un movimento intellettuale o semplicemente un salotto, con la differenza che il desiderio di essere o di diventare viene sostituito con il desiderio di guardare.

Passando dalla neolingua della rete al linguaggio dei mercati, Fomo ha subito una torsione semantica, è diventato la paura di perdere un rialzo. Ha conservato la nevrosi del Fomo della sociologia della comunicazione ma ne ha perduto la frivolezza.

Se fosse parte della mitologia greca, il Fomo dei mercati sarebbe figlio di Avidità e di Paura e sarebbe fratello di Pain Trade. Una genealogia complessa e originale.

Fino al 2000 le bolle azionarie sono state figlie di Avidità e di Euforia. C’era cioè l’appetito basico e insaziabile di ricchezza, ma c’era anche una sensazione panica di eccitazione per qualcosa di meravigliosamente nuovo. Il 2007 non fu figlio di Euforia, ma di Compiacimento. Ci fu infatti la credenza calma e arrogante in un mondo nuovo, quello della Grande Moderazione e della crescita illimitata senza inflazione.

Fomo è arrivato dopo, è una novità dell’ultima parte del grande rialzo del decennio scorso e si prepara a essere protagonista del grande rialzo della prima parte degli anni Venti. È figlio della politica monetaria espansiva degli anni Dieci e si irrobustirà con quella iperespansiva che sta partendo sotto i nostri occhi. Fomo non porta gioia, né quella estatica dell’euforia né quella intellettuale del compiacimento. Fomo, come dice il nome, è impastato di paura, è lo spasmo di Lacan, orrore (di comprare caro) e sollievo (di guadagnare qualcosa e restare in corsa).

Fomo è sceso sulla Terra per dividere gli avidi dagli avari e non lasciare nessuno in mezzo. Avidità e avarizia sono quasi intercambiabili, nelle grandi religioni, come oggetto di condanna senza appello. Ma solo zio Paperone riesce a essere insieme avido e avaro. Freud, giustamente, distingue le due personalità e le fa protagoniste di fasi distinte dell’infanzia. L’avido ha qualcosa in comune con il ghiottone, che di suo può essere simpatico, ed è insaziabile e quindi sempre all’offensiva. L’avaro invece è solo sulla difensiva rispetto a quello che ha e ha lo spirito del funzionario del banco dei pegni quando si decide ad allargare il campo dei suoi averi.

Fomo è fratello di Pain Trade. Come tutti i fratelli, i due hanno tratti comuni ma sono ben distinguibili. Fomo è non capisco ma mi adeguo, paura e opportunismo. Pain Trade è solo dolore e sofferenza, è lo short che deve rincorrere il rialzo o il long che deve chiudere posizioni insostenibili in un ribasso. Il Fomo di febbraio, quando tutto sembrava andare per il meglio anche se le immagini di Wuhan erano terribili, è diventato Pain Trade in marzo quando i mercati occidentali sono crollati e molti lunghi hanno dovuto vendere, salvo dovere ricomprare, con un secondo Pain Trade, quando una nuova generazione di seguaci di Fomo ha preso il sopravvento e a dato vita a un epico recupero.

Oggi abbiamo dunque due generazioni di seguaci di Fomo, quella di febbraio che è riuscita a rimanere immobile durante il panico di marzo, e quella che ha nutrito il recupero. Entrambe avranno ora da restituire qualcosa. Va bene festeggiare la reflazione fiscale e monetaria e la riapertura negli stati repubblicani d’America, ma su quest’ultimo punto qualche ansia non potrà non riaffiorare a metà maggio, quando si vedrà se la riapertura avrà provocato nuovi contagi. Ma tutti i seguaci di Fomo, di tutte le generazioni che si succederanno, avranno dalla loro, una volta imbavagliata l’epidemia, governi e banche centrali che, prima di togliere gli stimoli senza precedenti che stanno somministrando, ci penseranno non le cento volte del decennio passato (e avrebbero dovuto essere centouno, perché la normalizzazione tentata nel 2017 si concluse con un fiasco) ma mille.

Agli avari, salvo la soddisfazione di vedere ogni tanto i Fomo inciampare clamorosamente in qualche correzione, resteranno dei bond da cui gli obbligazionisti hanno ormai spremuto quasi tutto il possibile (anche se resta ancora qualche goccia interessante) e che rischieranno di essere a loro volta spremuti da rendimenti reali sempre più negativi.

Ma c’è speranza per tutti, Fomo, avidi e avari. Dove si tuffa per ritemprarsi e rigenerarsi lo zio Paperone? Nel suo deposito di monete d’oro. A differenza del petrolio, l’oro ha un contango sopportabile e potrà trarre vantaggio nella prima parte del decennio dai tassi bassi e dalla grande liquidità e nella seconda dalla fuga dagli altri asset se tornerà tra noi Inflazione, la figlia di Inganno e di Illusione.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

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