Fondi, quando possono dirsi realmente “sostenibili”?

A cura di James Hay, Investment Associate di MainStreet Partners

In Europa ci sono oltre 2mila fondi di investimento “sostenibili”, secondo dati Morningstar. E nella prima metà del 2019, questa tipologia di fondi ha registrato afflussi netti per 36,9 miliardi di euro, quasi pari al totale fatto registrare per l’intero 2018 (38 miliardi di euro). L’ammontare complessivo investito in Europa in fondi sostenibili è salito così a 595 miliardi euro, con una crescita del 20,5% negli ultimi sei mesi che va comparata a un incremento del 7,7% per l’intero comparto europeo dei fondi di investimento.

La domanda da porsi è: quali fondi contano come “sostenibili”? Al momento, non vi è una definizione universale di investimento sostenibile. Vi sono concetti come quello dei criteri Esg, o dell’impact investing, ma anche in questi ambiti esistono stili diversi. Per rispondere a questa sfida, la Commissione Europea ha pubblicato una serie di linee guida, allo scopo di dare una definizione di sostenibilità e stabilire degli standard.

Il passo più importante è stato compiuto con la pubblicazione della Tassonomia Ue. Si tratta di un documento formale che definisce le attività sostenibili e la soglia per ottenere la qualifica “green”. Il documento più recente, pubblicato lo scorso giugno, copre per ora due delle sei aree green: la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, mentre rimangono da coprire in futuro ancora quattro aree.

Tuttavia, a inizio ottobre, i governi europei hanno concordato di posporre l’implementazione della Tassonomia Ue di due anni, al 2022. Questa decisione ha sollevato preoccupazioni, poiché sembra si sia ancora lontani da un approccio armonizzato agli investimenti sostenibili. Inoltre, la richiesta dei Paesi Ue di includere l’energia nucleare tra gli asset potenzialmente “green” ha sollevato critiche.

Un altro aspetto importante che non sembra essere stato posto al centro della Tassonomia Ue al momento è legato alla sostenibilità sociale, che non va trascurata. Comprendiamo che il focus sull’ambiente sia una diretta conseguenza dell’agenda politica europea, ma guardando al di là del Vecchio Continente vediamo un futuro dove le tematiche ambientali e quelle sociali sono ugualmente importanti, come dimostrato chiaramente dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sdg) delle Nazioni Unite, che fanno di questo target combinato la loro pietra miliare.

Fino a pochi anni fa, la protezione del pianeta e una società più giusta erano considerati obiettivi alternativi. Uno dei successi più rivoluzionari degli Sdg è stata proprio la decisione di puntare a combinare queste due dimensioni, dopo lunghi negoziati a livello internazionale, facendo convergere Paesi Sviluppati e Paesi in via di Sviluppo. Il fatto che la Tassonomia Ue si concentri esclusivamente sulle tematiche green è una opportunità persa di incorporare la dimensione sociale nel concetto di sostenibilità. Il mondo degli investimenti necessiterebbe di una posizione ufficiale da parte dell’Unione Europea per allocare al meglio le risorse finanziarie a beneficio dei cittadini, così come del pianeta.

I punti principali della Tassonomia Ue

Va comunque evidenziato che la maggior parte delle iniziative europee legate alla Tassonomia sono da accogliere positivamente. In particolare, la Tassonomia va oltre le attività che, per definizione, sono già green (per esempio gli impianti a pannelli solari) e riconosce anche quelle attività più tradizionali e ad oggi ancora inquinanti ma che devono contribuire alla “transizione” verso un’economia a basse emissioni, altrettanto essenziali. Perché solo coinvolgendo l’intero sistema economico si riuscirà a raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di Co2.

Un aspetto cruciale della Tassonomia, in particolare, è il principio di “non arrecare danno significativo”, il quale assicura che le attività parte di una delle categorie green non impattino negativamente le altre.

Inoltre, la Tassonomia Ue offre una serie di standard come l’Eu Ecolabel, già previsto per i prodotti di consumo, ma che sarà esteso ai prodotti finanziari per regolamentare i fondi che si definiscono sostenibili dal punto di vista ambientale. In un mondo con migliaia di fondi “sostenibili”, uno standard comune è una vera e propria àncora di salvezza per gli investitori a caccia di prodotti davvero green.

Un altro sviluppo importante associato alla Tassonomia Ue è la recente pubblicazione della bozza di standard per benchmark climatici. Questi standard prevedono due tipi di indice: l’Eu Paris-Aligned Benchmark (Peb) e l’Eu Climate Transition Benchmark (Ctb), che richiedono una decarbonizzazione relativa rispettivamente del 50% e del 30% rispetto all’universo di investimento sottostante. Ciò vuol dire che i fondi di investimento sostenibili dovranno comparare la loro impronta di carbonio all’indice Pab o Ctb, evidenziando così la loro performane ambientale.

Come prevedibile per un progetto così importante, le critiche abbondano. Molti attaccano la natura volontaria degli standard, la loro complessità e la lentezza di implementazione. In particolare, alcuni investitori temono che possano interferire con gli standard generalmente accettati dal mercato. L’Unione Europea sta anche preparando lo Eu Green Bond Standard, che si sovrappone ai popolari Green Bond Principles pubblicati dall’Icma, che hanno portato all’emissione di oltre 600 miliardi di euro di obbligazioni verdi dal 2014.

Una volta che la Tassonomia Ue sarà effettiva e implementata nei singoli Paesi, la sfida per i gestori degli investimenti e per gli intermediari sarà incorporare rapidamente queste linee guida nelle loro decisioni, nella costruzione dei prodotti e dei servizi di investimento, nella reportistica e nella profilazione delle attività legate ai clienti. Riteniamo che questi ulteriori sviluppi rappresentino un’opportunità continua per ricercare una consulenza professionale specializzata su una materia in continua evoluzione.

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