Giappone, l’Abenomics non ha fallito ma resta molto da fare

A cura di Seung Kwak, gestore del portafoglio di Capital Group

L’inflazione e gli stipendi sono rimasti contenuti nonostante le politiche reflazionistiche del primo ministro Shinzo Abe, facendo presagire un fallimento dell’Abenomics. Anche se a prima vista potrebbe sembrare così, nel 2016 la spesa al consumo reale è calata per il terzo anno consecutivo. La debolezza delle vendite di case e automobili indica che l’effetto favorevole dei bassi tassi di interesse non è arrivato fino alle famiglie. Il mercato del lavoro, tuttavia, continua a contrarsi e in aprile il tasso di disoccupazione è rimasto al 2,8%, il livello minimo dal 1994. La società di spedizioni Yamato Transport ha fatto parlare di sé ultimamente dopo l’annuncio di un aumento delle tariffe di spedizione, il primo in 27 anni, reso necessario dalla carenza di manodopera.

Riteniamo da tempo che le condizioni tese sul mercato del lavoro giapponese finiranno per tradursi in un’accelerazione della crescita dei salari e un incremento della spesa al consumo e dell’inflazione. La transizione, tuttavia, richiederà del tempo. Fortunatamente, il governo ha adottato ulteriori misure a sostegno della crescita economica. Lo scorso anno, ha presentato la Strategia di Rivitalizzazione del Giappone che definisce, tra le altre cose, un piano per aumentare gli apporti e la produttività del lavoro e far crescere l’industria nazionale attraverso le tecnologie informatiche e l’intelligenza artificiale. È interessante osservare, inoltre, che la riforma della corporate governance (un punto cardine dell’Abenomics) sta compiendo passi avanti, anche se lenti. Le società quotate, ad esempio, sono invitate a nominare amministratori esterni e a sviluppare un sistema efficace di governance.

E a livello aziendale, il cambiamento è già in atto. Resta, tuttavia, un certo margine di miglioramento. Rispetto agli Stati Uniti e all’Europa, in Giappone i rendimenti degli azionisti restano bassi. Il rapporto utili/dividendi medio, intorno al 30%, riflette la propensione mostrata finora dalle aziende per un livello eccessivo di disponibilità di cassa. La tendenza ad accumulare liquidità si sta invertendo in quanto i vertici aziendali sono diventati più attenti all’efficienza del capitale, spinti dall’intensificarsi della concorrenza.

Complessivamente, una maggiore attenzione per l’efficienza del capitale e il valore per gli azionisti dovrebbe portare le aziende giapponesi e, a sua volta, l’economia generale su un percorso di crescita sostenibile, dando nuovo impulso al mercato azionario. Monitoriamo i rapporto utili/dividendi delle mega banche; un incremento dei dividendi è un altro segnale di cambiamento strutturale positivo in Giappone.

Un quadro economico incoraggiante, a livello nazionale e internazionale, promette bene per gli utili futuri. Una maggiore redditività aziendale e uno yen più debole per effetto degli attuali rialzi dei tassi di interesse statunitensi saranno ulteriori fattori di supporto. In base alle previsioni, infatti, nei prossimi due anni gli utili toccheranno nuovi massimi, trainati principalmente dai produttori di componenti elettronici e dalle società di trading, che beneficiano di una ripresa dei prezzi delle materie prime. Le case automobilistiche, invece, saranno probabilmente penalizzate dal rallentamento delle vendite nel Nord America.

Ciò detto, le previsioni per gli utili restano suscettibili agli shock esterni. L’incertezza delle politiche statunitensi e le tensioni geopolitiche, tra cui i rischi elettorali in Europa, potrebbero spingere lo yen al rialzo e minacciare gli utili aziendali. Stando al sondaggio Tankan pubblicato dalla Bank of Japan a marzo, le società giapponesi hanno basato le proprie previsioni di utile sull’ipotesi che lo yen venga scambiato in media a ¥108 contro il dollaro USA. Ma l’apprezzamento dello yen in momenti di turbolenza nei mercati potrebbe superare le attese.

Altri motivi di preoccupazione sono l’aumento delle tendenze protezionistiche legato ai risultati delle principali elezioni in Europa, le decisioni politiche prese in Cina in occasione del Congresso del Partito Comunista cinese che si terrà in autunno, e le incertezze intorno all’agenda politica statunitense, che potrebbero incrementare la volatilità del mercato azionario.

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