Goldilocks vs Armageddon: è il momento degli Emergenti

A cura di Fabiana Fedeli, Global Head of Fundamental Equities di Robeco
Ad ottobre 2018 il mercato azionario americano stava attraversando la fase più negativa dall’inizio della presidenza Trump. Se la domanda era “L’azionario USA entrerà in recessione, trascinando con sé gli altri mercati?” la nostra risposta era: “No”. Ed è rimasta tale. Questo perché è lo stesso Trump ad essere la figura chiave per i mercati, oltre che il principale fattore nelle tensioni commerciali che, nella nostra opinione, giocano un ruolo significativo nella debolezza dei mercati azionari. Eravamo convinti che un’eventuale continuazione di questa debolezza avrebbe potuto essere seguita da una promessa di ulteriori stimoli o addirittura dall’assunzione di toni più concilianti nei confronti della Cina.
Non è stata quindi una sorpresa l’apertura di Trump al presidente Xi al G20 di Buenos Aires. Le due parti hanno concordato di posticipare di 90 giorni l’aumento dei dazi previsto per il primo gennaio e di iniziare una trattativa. Chiaramente non tutto è stato sistemato fin da subito, come spesso accade. L’arresto del CFO di Huawei, una delle società tecnologiche cinesi più importanti, ha fatto dubitare i mercati sulla reale possibilità di giungere ad un accordo. La fine delle tensioni commerciali sarebbe comunque più che altro una tregua in quello che sarà con tutta probabilità un conflitto ideologico di lungo periodo tra Cina e USA. Detto questo, sono attualmente in corso le trattative e il raggiungimento di una soluzione rimuoverebbe un’importante fonte di incertezza per i mercati azionari.
Da tempo sosteniamo che qualunque buona notizia sul fronte della guerra commerciale potrebbe dare vita a un rally dei mercati, soprattutto in quelli – come ad esempio gli Emergenti – che hanno sofferto maggiormente. Anche nel mezzo della volatilità dello scorso dicembre, con molto ancora da chiarire in merito alle tensioni commerciali e con tutti i mercati principali in negativo, gli Emergenti hanno registrato una performance molto superiore all’azionario USA, seguiti dall’Europa e dal Giappone, e dal nostro punto di vista non è certo stata una sorpresa.
Ovviamente le guerre commerciali non sono state l’unico fattore a pesare sull’azionario al di fuori degli USA per buona parte del 2018. La stretta della Fed, arrivata in un momento in cui la crescita globale era minacciata dal protezionismo e dalle tensioni geopolitiche nei Mercati Emergenti e in Europa, e la conseguente forza del dollaro hanno contribuito a creare la tempesta di possibili minacce. Alla fine, quando gli investitori hanno realizzato che questa combinazione di eventi, che non è positiva per i mercati azionari ex-USA, non era poi così positiva nemmeno per l’azionario statunitense, anche questa asset class ha iniziato la sua discesa. Gli investitori hanno quindi iniziato a vendere lo scenario “Goldilocks”, in cui il risk premium dell’equity USA era ai minimi storici rispetto a tutti gli altri principali mercati azionari. Questo semplicemente perché l’assunto che i rendimenti statunitensi non sarebbero stati toccati da tutti i problemi che stavano mettendo in difficoltà il resto del mondo, era troppo bello per essere vero.
Al di fuori degli USA, Emergenti, Europa e Giappone hanno tutti sottoperformato rispetto allo S&P500 nel corso del 2018 (in dollari). Anche se si considera la sovraperformance di dicembre, tutti questi mercati hanno comunque chiuso l’anno con uno scarto intorno al 10% rispetto agli USA. Mentre il rischio geopolitico e la possibilità di una recessione in alcuni Paesi manterranno probabilmente alta la volatilità dell’azionario europeo nell’immediato futuro, vediamo molta meno incertezza all’orizzonte per Giappone ed Emergenti, dato che i possibili elementi negativi sono già attesi – e prezzati – dai mercati.
Guardiamo ai Mercati Emergenti, ad esempio, con gli investitori che stanno già scontando uno scenario “catastrofico” e una sottoperformance del 17% rispetto all’azionario USA negli undici mesi da inizio anno a novembre 2018.
Con questo non vogliamo dire che tutto sia perfetto nell’universo emergente. La crescita degli utili sta rallentando e lo sviluppo economico cinese continua a calare, per cui sarà probabile assistere ad altri risultati deludenti sugli utili. Nonostante ciò, la crescita degli utili prevista per il 2019 è pari al 9% e buona parte dei dati negativi registrati negli ultimi mesi erano dovuti a conseguenze dirette e indirette delle guerre commerciali, con le società che sono state colpite dai dazi o che si sono fatte più caute in materia di investimenti. Anche se un accordo tra Trump e Xi non invertirebbe completamente le previsioni sugli utili, sicuramente eliminerebbe un importante elemento di incertezza. La crescita economica cinese continuerà a diminuire per ragioni strutturali, ma il governo di Pechino potrebbe ancora garantire un atterraggio morbido grazie a una serie di misure di stimolo, che ci aspettiamo aumentino nel corso dell’anno.
Allo stesso tempo, ogni altro rischio che ha pesato sull’azionario emergente nel 2018, se non è scomparso, ha comunque ridotto la propria rilevanza. La Fed ha assunto una posizione più accomodante, suggerendo un temporaneo stop al rialzo dei tassi. Anche se la riduzione del bilancio in questa fase con tutta probabilità continuerà, il fatto che la Fed si stia muovendo con maggiore cautela indica che, se l’outlook macroeconomico lo permette, una pausa del quantitative tightening potrebbe essere tra le possibilità. Con una Fed più accomodante e un contesto macroeconomico USA meno dinamico anche il dollaro dovrebbe interrompere la propria ascesa. Nel mentre, una serie di problematiche geopolitiche che hanno influenzato gli Emergenti oltre alle tensioni commerciali (come le elezioni in Brasile e in Messico) sono ormai alle spalle.
Non fatevi trarre in inganno, nulla è certo e i rischi rimangono elevati. Ci sono tuttavia buone ragioni per essere ottimisti. Abbiamo venduto un falso senso di “scenario ideale”, adesso acquistiamo una mal riposta paura dell’Armageddon.

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