Italia, deficit/Pil al 2,4%: spread su, Fib giù

Alla fine il Governo italiano ha deciso per un rapporto tra deficit e Pil del 2,4 per cento. E per tre anni. Un dato che va ben oltre quelle che erano le aspettative dei mercti finanziari. Non più tardi di mercoledì, Luigi Belluti, presidente di Assiom Forex spiegava (qui) come ci si attendesse una visione costruttiva “si arriverà a un deficit attorno al 2%, probabilmente quell’1,9% di cui si parla in queste ore. In questo caso mi aspetto che lo spread possa tornare sotto la soglia dei 200 basis pointi, tra 160 e 180 bp, mentre un eventuale taglio del rating da parte delle Agenzie porterebbe a una loro perdita di credibilità. Viceversa, con un deficit oltre il 2,1-2,2% lo spread tornerebbe a crescere e un declassamento del rating farebbe avvitare la situazione spingendo il differenziale tra Btp e Bund verso 300 punti base e poi velocemente intorno a quota 400 bp”. Ed è quanto sta succedendo in queste prime ore di contrattazioni di venerdì 28 settembre.

Lo spread, che nei giorni scorsi era tornato a sgonfiarsi, ha ripreso quota portandosi verso i 260 basis point, con le vendite che hanno interessato i Btp di breve durata.

E anche a Piazza Affari la reazione non si è fatta attendere. Il Fib ha aperto l’ultima seduta della settimana con un gap down di quasi 500 punti.

Chi potrebbe comprare Btp a questo punto per sostenere il mercato? “Le banche da parte loro possono assorbire una parte di queste vendite, ma teniamo conto che l’impatto mark to market della discesa delle quotazioni, e quindi di perdite in conto capitale, si ripercuoterebbe sui ratio patrimoniali – aveva detto Belluti – Pertanto gli acquisti non potranno che essere limitati. Secondo i nostri calcoli il sistema finanziario italiano è in grado di assorbire acquisti di titoli di Stato per complessivi 30 miliardi di euro, al massimo 50 miliardi”.

Senza dimenticare che un aumento di 1 punto percentuale dei rendimenti dei titoli del debito pubblico costa alle casse dello Stato circa 4,3 miliardi di euro.

“Un deficit di questa portata essenzialmente annulla la possibilità di migliorare nei prossimi anni il rapporto debito/GDP, stabilizzandolo a malapena intorno all’attuale quota 130% – spiega Alessandro Balsotti, strategist di Jci Capital – Presumibile anche che possa arrivare il downgrade di Moody’s (che si era messa in attesa delle mosse fiscali del nuovo governo) anche se penserei che, se fosse accompagnato da un molto probabile outlook stabile, una simile decisione sia già scontata, almeno in buona parte, nell’allargamento dello spread degli ultimi mesi”.

Senza contare che altre scadenze graveranno su investitori e risparmiatori: il 1° ottobre la Bce dimezzerà gli acquisti di bond, entro il 15 il governo dovrà presentare il Documento programmatico alla Commissione Europea (che darà il suo parere entro il 30 novembre), il 25 ottobre e il 13 dicembre sono fissati due Direttivi della Bce, mentre il 26 e il 31 ottobre a comunicare la propria revisione sul rating del nostro Paese saranno rispettivamente S&P e Moody’s. Infine il 31 dicembre la Bce chiuderà definitivamente i rubinetti e interromperà gli acquisti, terminando ufficialmente il proprio Qe.

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