Guerra commerciale Usa-Cina: il vero nodo è la proprietà intellettuale

Come gestire gli investimenti in un mondo dagli esiti binari, dove il contesto macro può ribaltarsi completamente nel tempo che si impiega a lanciare una monetina – o a digitare 140 caratteri? Più precisamente, non è solo una questione di flussi di notizie in continua evoluzione. Oggi, il problema è che non solo il flusso di notizie è volatile, ma anche le prospettive per i fondamentali, come quelle determinate dal commercio globale, possono cambiare in maniera imprevedibile. Ecco la view di Fabiana Fedeli, Global Head of Fundamental Equities di Robeco.

La nostra risposta è: focalizzarsi sui cambiamenti strutturali, individuando opportunità meno soggette a questo genere di variazioni, indipendentemente dai tweet del Presidente Trump e dalle successive reazioni. È più facile a dirsi che a farsi, ma non è impossibile. In Cina, le nostre strategie hanno sovraperformato il mercato investendo in settori che beneficeranno degli stimoli governativi. Guerra commerciale o meno, il governo cinese dovrà continuare a stimolare un’economia che mostra segni di indebolimento. Sarà solo questione della profondità degli stimoli da mettere in campo, in base a quanto accadrà al commercio globale e ai dati macroeconomici.

I temi relativi all’IT e alla proprietà intellettuale persisteranno

Come evidenziato dagli avvenimenti che hanno portato Huawei a essere inserita nella blacklist degli scambi americani (c.d. “Entity List”), Cina e Stati Uniti non sono divisi solo dal commercio. A nostro parere, le controversie in materia di proprietà intellettuale tra le due superpotenze, ed i timori in materia di tecnologie per la sicurezza, sono destinati ad affermarsi in quanto problematiche a lungo termine. Anche se nel breve periodo dovessimo assistere a una sorta di tregua inquadrata all’interno di una qualche forma di accordo commerciale (ed in questo caso il “se” è veramente grande), riteniamo che la battaglia sul piano della proprietà intellettuale sia destinata a continuare.

Per gestire questa fonte di incertezza, alcune aziende stanno rinviando gli ordini e altre stanno già provvedendo a riorganizzare le catene di approvvigionamento. Le imprese non dovranno solo sostenere investimenti e costi per trasferire le supply chain al di fuori della Cina, ma saranno probabilmente costrette a frammentare tali catene. Questo perché non esiste sostanzialmente nessun Paese attualmente in grado di offrire lo stesso livello di disponibilità di lavoratori e infrastrutture dell’ex Celeste Impero.

Tutto ciò comporterà un ritardo nei cicli di investimento, maggiori costi e – al limite – anche la creazione di due ecosistemi IT: uno guidato dalla Cina e uno dagli USA. Quest’ultimo risvolto avrebbe implicazioni pesanti per lo sviluppo tecnologico a livello globale e, ancora una volta, sul fronte dei costi.

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