Il coronavirus mette fine al ciclo economico, ma la lezione del 2008 non è andata persa

A cura di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di Ubs per l’Italia

Il virus Covid-19 ha messo fine al più lungo ciclo economico globale di sempre, cominciato nel lontano 2009. Per l’Europa il ciclo economico è invece più giovane, perché la ripresa era iniziata solo nel 2013, e ancora più tardi in Italia. La paura suscitata dal virus e le misure di contenimento generano un crollo verticale della domanda che, almeno per qualche trimestre, creerà serie difficoltà anche alle economie più in salute.

In Cina quasi 5 milioni di persone hanno perso il lavoro e le vendite al dettaglio sono scese del 20% nei primi due mesi dell’anno. Anche nei Paesi anglosassoni, caratterizzati da mercati del lavoro più flessibili, migliaia di persone hanno già perso il lavoro per via del virus. Più a lungo durerà l’emergenza, maggiori saranno le ricadute sul sistema produttivo. Il rischio è che soprattutto le piccole imprese (cruciali per l’occupazione) incontrino difficoltà nell’accesso al credito bancario.

Ciò comporterebbe un aumento della disoccupazione e conseguentemente una spirale negativa che ci trascinerebbe in una recessione duratura, proprio come nel 2008. Le dichiarazioni di oggi del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea sono radicalmente diverse rispetto a poco più di un decennio fa. Questa volta si stanno mobilitando ingenti risorse pubbliche; siamo ormai a livelli vicini a quelli raggiunti nella scorsa crisi. Oltre al maggiore deficit approvato dai governi, le principali banche centrali stanno reagendo con veri e propri bazooka per assicurare che la liquidità non manchi al sistema produttivo.

Anche l’Europa si sta muovendo in modo credibile. Rimediando a misure troppo limitate e a un errore di comunicazione della Presidente Lagarde, la Banca Centrale Europea ha varato la scorsa settimana un nuovo programma d’immissione di liquidità per 750 miliardi di euro, portando il totale per quest’anno a 1100 miliardi. Inoltre, ha indicato che rilasserà i requisiti di capitale delle banche per evitare strette creditizie.

La Presidente della Commissione europea von der Leyen ha sospeso il patto di stabilità, aprendo la strada a un’espansione dei deficit per contrastare gli effetti diretti e indiretti del Covid-19. Manca ancora la condivisione dei debiti legati all’emergenza, giustamente richiesta dal governo italiano, che darebbe un forte messaggio di unità nei confronti dei mercati e accrescerebbe lo spirito di appartenenza all’Europa, ormai sottotono da un decennio.

Per via dell’impatto della pandemia, stimiamo che nel 2020 i profitti delle società facenti parte dell’indice azionario globale diminuiscano del 14,4% rispetto allo scorso anno. Si tratta evidentemente di stime che potrebbero essere smentite in un contesto così fluido. In ogni caso, questa riduzione sembra essere già ampiamente riflessa nei prezzi, in considerazione dei crolli dei mercati delle scorse settimane.

La reazione delle borse è stata amplificata da fenomeni tecnici, quali algoritmi che hanno venduto azioni reagendo all’incremento della volatilità e innescando un effetto domino, oltre a margin call (vale a dire richieste di maggiori garanzie a fronte di finanziamenti di portafogli investiti) che hanno portato a vendite forzate. I classici beni rifugio, per esempio l’oro, hanno sofferto nelle giornate peggiori proprio perché alcuni investitori hanno venduto ciò che avevano disponibile per fare fronte alle maggiori richieste di liquidità. Il raggiungimento del picco dei contagi rappresenterà uno spartiacque per i mercati.

Per chi ha un orizzonte di medio termine, spesso la migliore strategia è di non discostarsi troppo dalla propria asset allocation strategica ribilanciando il portafoglio regolarmente. Chi è più liquido può considerare strategie di ricerca di rendimento (azioni europee con dividendi elevati, high yield, obbligazioni emergenti) visto che i tassi saranno bassi a lungo.

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