Il difficile 2019 delle valute: l’analisi dettagliata di Banque Lombard Odier

“La solidità del dollaro USA quest’anno (USD ponderato in base agli scambi commerciali (TW) in rialzo del 3,5% a oggi) è stata sostenuta dal tema della divergenza di crescita tra Stati Uniti e resto del mondo (RoW), un risultato ampiamente accreditato alle misure di incentivazione fiscale negli Stati Uniti”. Parola di Vasileios Gkionakis, Global Head of FX Strategy Banque Lombard Odier.
“Il mercato ha aumentato il prezzo dei tassi USA pur rimanendo, con una certa sorpresa, compiacente sull’inasprimento della politica monetaria da parte delle altre primarie banche centrali. In effetti, ciò ha creato un cuneo estremamente ampio tra tassi degli Stati Uniti e resto del mondo. Sulla scia di tali sviluppi vediamo due temi delinearsi sui mercati dei cambi nel 2019. In primo luogo, gli effetti delle misure di incentivazione fiscale cominceranno a svanire nel corso dell’anno, con conseguente rallentamento della crescita negli Stati Uniti. Sebbene tale condizione non costituisca in sé di fatto un fattore sfavorevole per il dollaro, l’economia degli Stati Uniti dovrà affrontare un problema di deficit gemelli (delle partite correnti e del saldo di bilancio)”.
In base alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale, l’attuale saldo delle partite correnti si attesterà al -3% del PIL (dal -2,5% nel 2018 e dal -2,3% nel 2017) e il saldo di bilancio al -5% del PIL (dal -4,6% nel 2018 e dal -3,4% nel 2017).
La direzione del “saldo gemello” è chiara e simili traiettorie in passato hanno comportato un deprezzamento del dollaro per diversi trimestri, sostanzialmente in quanto sono stati scontati maggiori premi di rischio negli Stati Uniti. In secondo luogo, a nostro parere, lo spread dei tassi tra Stati Uniti e resto del mondo si attesta ora su livelli insostenibili rispetto ai relativi sviluppi economici.
“I tassi di disoccupazione hanno registrato un calo più rapido negli altri paesi rispetto agli Stati Uniti, mentre il prezzo di mercato delle aspettative di politica monetaria (ex-Fed) ha registrato una lenta evoluzione – continua Gkionakis – Prevediamo una riduzione degli spread dei tassi tra Stati Uniti e resto del mondo nel 2019 con il migliore allineamento (incremento) da parte dei mercati delle loro aspettative sui tassi, per riflettere i fondamentali ancora solidi del resto del mondo. A sua volta, ciò dovrebbe comportare un indebolimento del dollaro nel corso dell’anno. A parte le questioni specifiche delle singole regioni (paesi), a nostro parere sono tre i rischi che si frappongono a tale visione ribassista del dollaro. Innanzitutto, è possibile che gli incentivi fiscali negli Stati Uniti si protraggano più a lungo del previsto, prolungando il tema della divergenza di crescita. Vi è inoltre una possibilità (correlata ma debole) di una netta accelerazione dell’inflazione negli Stati Uniti, spingendo la Fed a procedere a un inasprimento più aggressivo e quindi scatenando un nuovo ampliamento dei differenziali dei tassi tra Stati Uniti e resto del mondo. Infine, un importante shock negativo per la crescita mondiale (per es. a causa di una netta escalation delle frizioni commerciali tra Stati Uniti e Cina) comporterebbe una “fuga verso la sicurezza” degli investitori sospingendo al rialzo lo USD rispetto a una serie di valute ad alto rendimento e sensibili ai cicli”.
In base al nostro scenario centrale e nello spazio del G10, la selezione delle valute preferite da Banque Lombard Odier è in forma sintetica:
EUR/USD: rialzista – La valutazione non dovrebbe costituire un forte elemento favorevole, ma la valuta unica dovrebbe trarre vantaggio (i) dalla conclusione degli acquisti di attivi da parte della BCE; (ii) dal rimbalzo della crescita nazionale sulla scia delle robuste dinamiche della domanda regionale; (iii) dal ritorno degli afflussi di portafoglio (in parte a causa dell’interruzione da parte della BCE dell’esclusione degli investitori stranieri dal mercato obbligazionario); (iv) dalle prospettive del futuro inasprimento della politica monetaria da parte della BCE in un momento in cui la Fed si avvicinerà alla fine del ciclo rialzista; e (v) dalla debolezza generalizzata del dollaro.
GBP/USD: rialzista – Ipotizzando la correttezza del nostro scenario centrale che prevede una Brexit soft, la coppia valutaria trarrà vantaggio (i) dall’esclusione del premio per la Brexit hard e (ii) dalla revisione del mercato al rialzo dell’attesa traiettoria dei tassi della Banca d’Inghilterra. Tuttavia, a nostro parere, un’uscita disordinata dall’UE spingerebbe la coppia GBP/USD al ribasso tra 1,15 e 1,20.
USD/JPY: ribassista – Prevediamo un apprezzamento dello yen nel corso del 2019 a causa di (i) una sottovalutazione ancora sostanziale (15% in base alle nostre stime); (ii) probabili modifiche aggressive (di scarsa entità) a livello di comunicazione della politica monetaria della BoJ, che potenzialmente modificherebbero inizialmente il programma di gestione della curva dei rendimenti, allo scopo di iniziare a controbilanciare l’impatto negativo della sua politica monetaria eccessivamente permissiva sul settore bancario e (iii) una costante volatilità a livello di sentiment di rischio, tipico delle fasi finali del ciclo USA.
NOK e SEK: ribassista rispetto alla coppia USD/EUR – Le valute nordiche sono state negoziate al di sotto del fair value per numerosi anni a fronte di politiche relativamente permissive rispetto ai fondamentali sottostanti. Prevediamo una ripresa nel 2019 sulla scia della normalizzazione della politica monetaria (ciclo rialzista), a fronte dell’evaporazione della capacità inutilizzata e dell’aumento dell’inflazione. Il rischio principale per la NOK è chiaramente rappresentato dai prezzi del petrolio. Prevediamo un rimbalzo intorno a USD 75 al barile, in caso contrario, la NOK subirebbe delle pressioni. I prezzi del petrolio in calo o ancora deboli ci spingerebbero ad assumere una posizione ribassista sulla coppia NOK/SEK.
CAD/USD: rialzista – I fondamentali economici del Canada sono molto robusti e la banca centrale rimane solidamente in modalità inasprimento. Ciò non si è ancora tradotto in una solidità della valuta a causa del crollo del prezzo del petrolio. Un rimbalzo di quest’ultimo dovrebbe consentire al CAD di trarre vantaggio dai solidi fondamentali nazionali e di apprezzarsi a un valore prossimo al fair value che riteniamo essere intorno all’1,25 rispetto allo USD.
AUD/NZD: rialzista – Prevediamo un rialzo della coppia, considerando che (i) il mercato sta sottovalutando l’inasprimento della politica monetaria in Australia e (ii) a nostro parere, si tratta di una chiara scommessa sulla divergenza di crescita (la differenza AU-NZ in termini di tassi di crescita annui è salita allo 0,3%, in rialzo rispetto al -0,5% a fine 2017 e al -1% a fine 2016).
Nello spazio valutario dei mercati emergenti, la situazione è più complicata a causa delle forze di compensazione. Da una parte, si evidenziano diversi ostacoli: una potenziale interruzione del commercio globale, un aumento dei costi di finanziamento USA, un rallentamento della crescita globale e una serie di rischi politici che potrebbero trasformarsi in shock più generalizzati. Dall’altra, nel complesso, l’insieme delle valute dei ME appare eccessivamente conveniente rispetto alla crescita del PIL reale (vedi grafico 18), in particolare dopo le forti vendite del 2018, mentre una serie di parametri fondamentali come i saldi delle partite correnti e la dipendenza dal debito denominato in valuta estera è migliorata. Inoltre, si potrebbe pensare che il previsto trend al ribasso del dollaro rispetto alla maggior parte delle valute del G10 si riverserà sulla coppia USD-ME. Ciò, tuttavia, non è sempre stato vero. Negli ultimi 18 anni circa, abbiamo assistito a periodi in cui il dollaro registrava un calo su base annua e le valute dei ME subivano anch’esse delle perdite (2002 e 2011) nonché a periodi in cui un debole dollaro (rispetto alle valute principali) era associato a scarsi guadagni delle valute dei mercati emergenti (2006). Tutto sommato, il nostro approccio rimane cauto e riteniamo che la selettività avrà il suo peso. In termini di scommesse aperte contro lo USD, preferiamo le valute con fondamentali complessivamente solidi che hanno registrato forti perdite nel corso del 2018, come il RUB (sebbene le potenziali sanzioni rappresentino un rischio) e l’INR (pur rimanendo consapevoli del rischio associato alle elezioni politiche). Inoltre, abbiamo una lieve preferenza per le posizioni che offrono un valore relativo (per mitigare i rischi associati a un aumento dei costi di finanziamento in USD) che sono riportate di seguito in forma sintetica:
BRL/CLP: rialzista – Prevediamo una ripresa della crescita brasiliana nel 2019 e valori contenuti dell’inflazione (elevati tassi reali). Prevediamo inoltre un avanzamento delle riforme sotto l’amministrazione Bolsonaro mentre la bassa esposizione del Brasile ai finanziamenti esterni dovrebbe isolare il paese da un aumento dei costi di finanziamento in USD. Di contro, la crescita in Cile ha raggiunto un picco, le dinamiche del saldo delle partite correnti sono peggiorate e l’economia è fortemente esposta al debito esterno (64% del PIL). Fattore importante, la coppia valutaria si scambia più del 25% al di sotto della media a 10 anni.
RUB/ZAR: rialzista – I tassi reali della Russia continuano a essere tra i più elevati nell’universo ME con l’economia che continua a godere di solidi fondamentali (credibilità della banca centrale, eccedenza delle partite correnti ed elevate riserve di valute). Di contro, i tassi reali dello ZAR hanno subito l’erosione causata dai livelli elevati di inflazione e il paese ha una delle maggiori esposizioni al debito esterno (54% del PIL) tra i mercati emergenti. Gli sviluppi politici del Sudafrica e l’intenzione/capacità di riformare rimarranno ostacoli per attirare gli investimenti esterni e consentire un rimbalzo economico dalla recessione del 2018. Vi sono due rischi per tale posizione, connessi alla Russia: la possibilità di un indebolimento dei prezzi del petrolio e la minaccia di nuove sanzioni. Detto ciò, la coppia viene attualmente scambiata a livelli relativamente bassi, il 17% circa al di sotto della media a 10 anni

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