Il FinTech nel sistema finanziario italiano

La Banca d’Italia ha presentato i risultati della seconda indagine conoscitiva per valutare l’evoluzione del FinTech nel sistema finanziario italiano. Il termine inglese FinTech, ormai diventato di uso comune, si riferisce alla Financial Technology, ossia all’offerta di servizi di finanziamento, di pagamento, di investimento e di consulenza, attivati dalla tecnologia e in grado di generare forti spinte innovative nel mercato dei servizi finanziari.

L’indagine è stata condotta nella prima metà del 2019 su 165 intermediari, tra cui 50 gruppi bancari, anche di matrice estera, 70 banche non appartenenti a gruppi, 5 filiali di banche estere, 3 intermediari in libera prestazione di servizi e 37 intermediari non bancari; sono state inoltre contattate 15 tra le maggiori imprese fornitrici di servizi tecnologici.

Nel periodo 2017-2020 gli investimenti FinTech ammontano a 624 milioni di euro, dei quali 233 spesi nel biennio 2017-2018 e 391 previsti in quello successivo. Oltre tre quarti della spesa è riconducibile a 10 intermediari, tra i quali figurano, oltre a grandi gruppi, banche di medie dimensioni, società finanziarie, Istituti di Pagamento e di Moneta Elettronica.

Sebbene nel corso del quadriennio il numero degli intermediari investitori sia cresciuto, passando da 51 a 77 unità, il fenomeno, in termini quantitativi, resta concentrato su pochi intermediari: il 61,9 per cento degli investimenti fa capo a 5 intermediari e poco più dei tre quarti a 10 intermediari. L’investimento complessivo medio per intermediario durante il quadriennio, pari a circa 7,5 milioni di euro, è influenzato da alcuni investimenti di importo molto rilevante; l’importo mediano, circa 13 volte inferiore, è pari a 565 mila euro.

Gli investimenti in cooperazione con imprese FinTech ammontano a 93 milioni di euro, pari al 14 per cento degli investimenti complessivi. La modalità di collaborazione più frequente è la partnership con incubatori, acceleratori, distretti; si riscontra in alternativa l’acquisizione di partecipazioni in imprese FinTech.

La portata degli investimenti può rendere necessario un ripensamento organizzativo, che può concretizzarsi, nei casi più semplici, nella costituzione di team trasversali e multidisciplinari o di divisioni dedicate all’innovazione ovvero, in quelli più complessi, nell’istituzione di Chief Innovation Officer o di una apposita business line.

Alcuni progetti di più ampio respiro, nati sotto l’impulso dell’Open Banking e della Direttiva PSD2, condividono lo scopo di realizzare ecosistemi digitali, entro i quali consentire interazioni anche innovative tra i partecipanti al sistema finanziario e sono principalmente rivolti alla clientela costituita dalle famiglie consumatrici e dalle imprese.

Secondo le stime degli intermediari, gli investimenti dovrebbero lasciare in prevalenza invariati i rischi strategici, quelli di credito e di mercato. I maggiori effetti sono, invece, attesi per i rischi operativi, sebbene il segno della variazione non sia univoco. La riduzione degli errori operativi derivanti dalla crescente automazione dei processi e l’irrobustimento dei controlli su frodi e violazioni di normative potrebbe migliorare i profili legali e reputazionali degli intermediari.

Per converso, i progetti fondati sulla collaborazione con società terze o sviluppati in outsourcing, potrebbero accrescere i rischi legali nel caso di controversie non sufficientemente disciplinate dai contratti tra i diversi operatori coinvolti nell’erogazione di un servizio FinTech. L’outsourcing dell’impianto informatico potrebbe, inoltre, indurre una riduzione della capacità degli intermediari di esercitare un efficace controllo sulla qualità dei servizi resi e sul livello di sicurezza garantito dalle società affidatarie.

Per una lettura completa dell’indagine condotta dalla Banca d’Italia si rimanda al documento ufficiale.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!