Il petrolio e il dollaro guidano i mercati

A cura di Roberto Rossignoli (Portfolio Manager Moneyfarm) e del Centro Studi Moneyfarm

All’interno di un asset allocation bilanciata, le materie prime svolgono un importante ruolo di diversificatore, grazie ai loro rapporti di correlazione con le principali asset class. Prevediamo che questo ruolo sarà ancora più utile nei prossimi mesi nei quali crediamo sia possibile un graduale aumento della volatilità. In aggiunta, la componente in materie prime costituisce un importante scudo contro l’inflazione. Gli Etf utilizzati da Moneyfarm, che usano i futures per replicare il prezzo di tutte le principali famiglie di commodities, sono inoltre protetti dalle oscillazioni del dollaro e non contribuiscono ad aumentare il rischio valutario dei portafogli.

La prima metà dell’anno è stata caratterizzata da una grande volatilità nel campo delle materie prime. Il movimento è stato guidato dal petrolio, che ha guadagnato più del 10% da inizio anno. Dopo due anni di prezzi bassi, la domanda che tutti gli investitori si pongono è se siamo all’inizio di una nuova fase del ciclo.

Quello che rende le materie prime diverse dalla maggior parte delle altre asset class è l’assenza di un flusso capitale. Per l’investitore, questo ha due importanti conseguenze: primo, le commodities hanno storicamente avuto un basso livello di correlazione con le altre asset class nel medio termine, e questo le rende un valido strumento all’interno del portafoglio. Secondo, per determinare il valore oggi bisogna concentrarsi sulla previsione della domanda e dell’offerta, e del contesto macroeconomico.

Se guardiamo alla situazione attuale, al grafico di seguito vediamo che negli ultimi cinque anni l’andamento del prezzo delle materie prime è stato piuttosto deludente. Considerando tutte le principali famiglie, notiamo come solo i metalli industriali hanno registrato un risultato positivo: le altre famiglie (energetici, beni agricoli) restano invece in territorio negativo. Anche riducendo l’orizzonte dell’analisi ai passati tre anni notiamo come lo scenario non cambi di molto. Considerato che la propulsione che ha spinto in alto metalli industriali e petrolio negli ultimi mesi sembri in esaurimento, ci sembra presto per annunciare l’inizio di un nuovo super-ciclo delle commodities.

Il recente rally del petrolio si può quindi spiegare con varie ragioni: la crescita economica e l’outlook sono migliorati dal momento di stanca del febbraio 2016. Bisogna ricordare che, più di ogni altra materia prima, il petrolio è correlato al ciclo economico. Questo è vero anche per i metalli industriali, che hanno attirato molta meno attenzione dei media ma sono cresciuti di circa il 40% nel 2017.

Un altro fattore macro che è strettamente legato con la valutazione del petrolio è quello dell’inflazione. Negli ultimi 6 mesi l’inflazione si è finalmente risvegliata, anche – tra le altre cose – a causa del prezzo stesso del petrolio in crescita (la relazione tra i due parametri è biunivoca). Le materie prime sono di solito considerate come una protezione nei confronti dell’inflazione e questo determina sicuramente l’aumento dei flussi su questa asset class.

Oltre ai fattori macro, l’acuirsi di alcune tensioni geopolitiche nelle aree di produzione ha sicuramente avuto un peso. Parliamo soprattutto dei problemi dal lato dell’offerta che sono già determinati dalle crisi in Medio Oriente e in Venezuela.

Infine siamo in presenza di sforzi coordinati da parte di alcuni grandi produttori per diminuire l’offerta. In molti si chiedono se il prezzo del petrolio continuerà a salire tornando al livello di equilibrio in cui si trovava prima del calo del 2014. La risposta, a nostro avviso è negativa. Le spinte macro ci sembrano aver raggiunto il picco. Quindi, a meno di non assistere a un intensificarsi delle crisi geopolitiche, non vediamo il petrolio tornare sopra quota 100 dollari al barile.

In generale, le materie prime sono un’asset class piuttosto volatile: questo vuol dire che il loro valore si muove abbastanza velocemente, più velocemente rispetto a quello di altre asset class. Se questo può essere vantaggioso in momenti di crescita della domanda, diventa rischioso per l’investitore quando il ciclo arriva in una fase matura.

Paesi emergenti

A maggio, per il secondo mese consecutivo, abbiamo visto i mercati azionari emergenti perdere terreno rispetto alle controparti sviluppate, e se consideriamo il periodo da inizio anno, abbiamo assistito al loro ritorno in negativo. Questo riflette sicuramente alcuni dei temi che hanno caratterizzato gli ultimi due mesi, tra i quali la tensione commerciale e l’incertezza geopolitica.

Tuttavia, mentre i mercati sviluppati hanno superato questo periodo relativamente indenni, con l’eccezione forse dell’Eurozona per ovvi motivi legati agli sviluppi italiani, i Paesi emergenti sembrano aver sofferto di piú.

La ragione è da ricercarsi soprattutto nel rafforzamento del dollaro. Storicamente i mercati emergenti hanno sofferto durante cicli di rafforzamento del dollaro, soprattutto a causa di maggiori costi di finanziamento e dell’uscita di capitali.

Il grafico mostra la relazione tra l’andamento del Dollaro e la performance relativa dell’azionario globale rispetto a quello dei Paesi emergenti. Quando la linea nera è diretta verso il basso vuol dire che l’azionario degli emergenti sta sovraperfomando l’azionario globale. Come si può notare, esiste una forte correlazione con l’andamento del dollaro (linea rosa). Tutti e due i segmenti azionari hanno comunque un risultato positivo negli ultimi dodici mesi, come si nota nel secondo grafico. L’andamento incerto del 2018, causato proprio dalla rincorsa del dollaro, vede comunque gli emergenti perdere spinta (linea fucsia).

Per ora chi, come Moneyfarm, ha optato per delle strategie diversificate globalmente ha soprattutto beneficiato del rafforzamento del dollaro: l’esposizione ai mercati emergenti non ha dunque compromesso le performance dall’inizio dell’anno. Tuttavia, il quadro macroeconomico fondamentale, che rimane solido per l’azionario sviluppato, inizia forse a suggerire che la sovraperformance dei Paesi emergenti iniziata nel 2015 si stia esaurendo.

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