Il ribasso dello yuan deve preoccupare gli investitori?

A cura di Mark Haefele, Global Chief Investment Officer di Ubs WM

Il mercato azionario americano sembra essere tornato al 2017, dato che i listini sfiorano i massimi storici e la volatilità è nuovamente calata. Tuttavia, l’andamento di questo mese ci riporta alla memoria le vicende del 2015, quando la People’s Bank of China (PBoC) modificò la sua politica monetaria causando un deprezzamento del 3% dello yuan, all’epoca il ribasso più consistente da oltre 20 anni. Di conseguenza, l’S&P 500 perse l’11% dai massimi ai minimi in poco più di due settimane e l’indice VIX toccò quota 53. Quest’anno, invece, i mercati continuano a salire, anche se lo yuan ha ceduto oltre l’8% da inizio aprile.

La differenza è che oggi non ci troviamo dinanzi a una crisi dei capitali. Nel 2015 la credibilità della politica economica cinese fu scossa dai tentativi falliti di arginare i danni causati dal crollo della bolla del mercato azionario e la modifica della politica di gestione valutaria innescò una fuga di capitali dal Paese, per un volume complessivo pari al 3% del PIL tra agosto e ottobre. Si diffuse così il timore che la Cina si ritrovasse con un livello insufficiente di riserve valutarie o che fosse costretta a consentire una svalutazione più massiccia dello yuan. Questa volta, invece, i controlli sui flussi di capitali sono più rigorosi e la politica monetaria appare più coerente; pertanto, tra aprile e giugno la fuoriuscita di capitali è stata inferiore all’1%. Inoltre, le riserve estere sono rimaste stabili.

Il deprezzamento del cambio non è stato certo una sorpresa

A causa della trasformazione dell’economia cinese, le importazioni crescono a un ritmo più rapido delle esportazioni e oggi il Paese presenta un deficit delle partite correnti pari allo 0,2% del PIL. A sua volta, il differenziale tra i tassi d’interesse di Cina e Stati Uniti si è ridotto ad appena lo 0,5%, dal 2,6% di gennaio. Entrambi i fattori contribuiscono a far indebolire lo yuan e quindi la sua flessione da inizio anno è del tutto comprensibile, anche se si è rivelata più marcata del previsto. Nel 2015, gli investitori si aspettavano un apprezzamento costante dello yuan contro il dollaro; pertanto, la modifica della politica valutaria cinese provocò lo smobilizzo delle posizioni rialziste e una netta revisione al ribasso delle aspettative di crescita nominale dell’economia cinese in dollari.

Uno yuan più debole può compensare in parte i dazi commerciali

Questa volta il deprezzamento dello yuan ha anche un risvolto positivo. Grazie alla svalutazione del cambio, i produttori cinesi possono permettersi di abbassare i prezzi in USD senza subire una contrazione dei margini o di lasciare invariati i prezzi in CNY e consentire così agli acquirenti statunitensi di percepire i benefici derivanti dal cambio più vantaggioso, per compensare gli aumenti tariffari. Dovrebbero quindi ridursi gli effetti secondari, come le interruzioni delle catene logistiche, ed è forse per questo che i mercati azionari statunitensi non si sono lasciati intimorire dall’escalation dei dazi. Nel 2015 si temeva che l’indebolimento dello yuan potesse scatenare una deflazione globale, prospettiva che invece oggi non desta particolare preoccupazione.

Detto ciò, non mancano motivi di apprensione e continueremo quindi a monitorare attentamente i dati in uscita. Un deterioramento delle partite correnti o dei dati economici cinesi, un’accelerazione della fuga di capitali o un’escalation delle dispute commerciali tale da indurre Pechino ad attuare pesanti misure non tariffarie farebbero aumentare i rischi per lo yuan e per il complesso degli strumenti rischiosi.

Nel nostro scenario di riferimento, la situazione dovrebbe peggiorare ancora, prima di iniziare a migliorare. In questo contesto, è probabile che le pressioni ribassiste sullo yuan (CNY) proseguano ulteriormente. La nostra attuale previsione per il cambio USD/CNY è pari a 7 a 3, 6 e 12 mesi. Pur non aspettandoci un deprezzamento dello yuan tale da destabilizzare i mercati globali come accadde nel 2015, la continua escalation della disputa commerciale sino-statunitense ci induce a mantenere un orientamento sostanzialmente neutrale nei confronti degli strumenti rischiosi nell’ambito della nostra asset allocation tattica.


 

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