Il rischio geopolitico si sposta verso l’Europa

A cura di Erik Knutzen, Chief Investment Officer – Multi-Asset Class, Neuberger Berman

Nei miei incontri con i clienti, la domanda che mi viene fatta più spesso è: quali sono i principali rischi politici o geopolitici che chi si occupa di asset allocation dovrebbe monitorare? Rispondo dicendo che la maggior parte degli eventi che fanno notizia è interessante, ma scarsamente pertinente, poiché non inciderà sulle prospettive di crescita dell’economia e neppure sulle prospettive di inflazione.

Solo occasionalmente un evento geopolitico si trasforma effettivamente a minaccia per i mercati. Per gran parte del 2018, l’esempio più eclatante di ciò è stato l’inasprimento della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, soprattutto perché ha coinciso con un rallentamento dell’economia cinese.

Ma attualmente, questo conflitto sembra avviato verso una risoluzione. Viceversa, il nostro timore più recente è stato suscitato dalla possibilità che l’Europa e il vasto nonché integrato settore automobilistico globale possano diventare i prossimi obiettivi delle priorità commerciali dell’amministrazione USA. La settimana scorsa, il timore per una tempesta in arrivo sull’Atlantico ha subito un’escalation. Riteniamo che il “locus” del rischio geopolitico si sia spostato decisamente in direzione dell’Europa e che, così facendo, abbia chiamato in gioco il settore automobilistico.

 

Note positive

Come abbiamo illustrato in dettaglio nel nostro Asset Allocation Committee Outlook, siamo sempre più fiduciosi che il nuovo orientamento accomodante delle banche centrali, unitamente ai segnali di stabilizzazione economica in Cina, consentiranno un atterraggio morbido dell’economia statunitense e una ripresa della crescita nel resto del mondo.

Due settimane fa, l’ottimo andamento dell’indice PMI cinese ha scatenato l’ultimo rialzo tra gli asset rischiosi. Venerdì, i dati sugli scambi commerciali e sulle vendite di veicoli denotavano una domanda interna ancora molto moderata, ma l’Economic Surprise Index di Citigroup per la Cina è al momento uno dei pochi indici positivi e quando martedì scorso il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato le nuove previsioni di crescita del PIL per il 2019, la Cina è stata una delle poche economie che ha subito una revisione al rialzo al 6,3%. Allo stesso tempo, i funzionari statunitensi si sono detti ottimisti che verrà raggiunto un accordo reciprocamente soddisfacente in materia di scambi commerciali e proprietà intellettuale.

 

Ripercussioni negative

La frenata registrata dai mercati la settimana scorsa è stata causata dall’insorgenza di nuovi rischi politici in Europa. Questa volta, però, la responsabilità non è riconducibile ai soliti sospetti: la Brexit, l’Italia, l’avanzata elettorale dei populisti, i piani di successione per Mario Draghi o Angela Merkel, i separatisti in Spagna o i gilet gialli in Francia.

Occorre ricercarla nel veemente ritorno alla ribalta di una vertenza vecchia di 15 anni, promossa dagli Stati Uniti contro le sovvenzioni europee ad Airbus. Forte del verdetto espresso dall’Organizzazione Mondiale per il Commercio secondo cui tali sovvenzioni avrebbero avuto “ripercussioni negative sugli Stati Uniti”, Washington ha minacciato di imporre dazi su importazioni europee del valore di 11 miliardi di dollari qualora le sovvenzioni non dovessero cessare.

Niente di drammatico, tranne per chi commercia in vino, formaggio o tute da sci. Ma l’Unione europea ha gettato benzina sul fuoco, ventilando l’ipotesi di imporre essa stessa dei dazi quale possibile contromisura. Potrebbe quindi diventare qualcosa di drammatico se nel report “ex Section 232” del Dipartimento del Commercio statunitense sulle importazioni automobilistiche, consegnato lo scorso febbraio alla Casa Bianca ma non ancora pubblicato, si sostenesse che la componentistica per auto europea costituisce un problema per la sicurezza.

Una simile dichiarazione aprirebbe le porte ai dazi e, come lo scorso luglio Brad Tank ha spiegato in queste pagine, l’impatto economico di un dazio del 25% sulle auto e sulla componentistica per auto europea sarebbe netto, immediato e globale. Potrebbe determinare un’inflazione dei costi settoriali totali pari all’8% e tradursi in uno shock della domanda in grado di ridurre fino a mezzo punto percentuale la crescita del PIL globale. Persino la Brexit più scombinata farebbe fatica a causare danni tanto ingenti.

Punto focale

Ci aspettiamo che questa tempesta scoppierà? No, non lo pensiamo. La view dell’Asset Allocation Committee rimane cautamente sovrappesata sui mercati europei. Riteniamo che il miglioramento in atto in Cina finirà per stimolare la crescita in altre economie che dipendono dal commercio globale, come la Germania e l’Italia. È probabile che oggi i ministri dell’UE diano alla Commissione europea il segnale di via libera per avviare negoziati commerciali con gli Stati Uniti, contribuendo a una moderazione degli scambi verbali.

Ciò nonostante, abbiamo anche allertato i clienti sui rischi e sulla potenziale volatilità. Quando ci chiedono a quali rischi si dovrebbe dare la priorità – a parte i rischi di utili deludenti per il primo trimestre, di una mancata conferma di miglioramento in Cina e altrove e di un diffuso nervosismo da fine ciclo – questo punto focale delle controversie commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina e tra gli Stati Uniti e l’Europa, di notevole peso per il settore automobilistico, dovrebbe essere la prima voce dell’elenco.

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