Il ritorno in scena delle materie prime

Ancora oggi i manuali di storia, liquidata la preistoria con qualche generica e vaga paginetta, prendono avvio dall’Egitto dinastico, ovvero dal 3100 avanti Cristo. È un peccato, perché le conoscenze sui 4000 anni precedenti, la fase di transizione tra il neolitico e l’età del bronzo, continuano a crescere e ci mostrano culture sofisticate e in rapida evoluzione in Europa, Levante, India, Cina e Americhe. È l’età del rame, il calcolitico, che coincide con la formazione delle prime entità statuali strutturate, con stratificazioni sociali complesse, forme di pensiero elaborate e commerci fiorenti su rotte terrestri e marittime.

La metallurgia, che era l’alta tecnologia di quei tempi, ebbe successivamente varie fasi di disruption quando si imparò a fondere i metalli a temperature via via più elevate. Aggiungendo lo stagno al rame si scoprì la maggiore robustezza del bronzo e quando si riuscì, nello spazio di qualche altro secolo, ad alzare la temperatura dei forni di altri 500 gradi, si passò al ferro, che gli Hittiti dell’Anatolia impararono a fondere con il carbonio per formare l’acciaio.

Da quei tempi lontani, in ogni caso, il primo metallo, il rame, ha continuato a essere utilizzato in un numero crescente di settori che oggi spaziano dall’edilizia all’elettronica e avrà un uso ancora maggiore nelle energie verdi e nella transizione dal fossile all’elettrico. È fortemente presente nei pannelli solari, nelle batterie, nel cablaggio e nelle auto elettriche (80 chili di rame in media in ogni auto, il quadruplo di quello presente nelle auto tradizionali). Basti pensare solo alle centinaia di migliaia di chilometri di cavi (contenenti rame) che saranno necessarie per la futura rete di alimentazione per le auto elettriche lungo le strade di tutto il mondo.

Olivier Vidal, direttore della ricerca del CNRS di Grenoble, definisce letteralmente mostruosa la quantità di rame che sarà divorata dalle energie verdi. Nei prossimi trent’anni, sostiene, arriveremo a consumare un miliardo di tonnellate di rame, la stessa quantità che è stata estratta dall’alba dell’umanità fino ad oggi.

Non è solo il rame, naturalmente, a essere coinvolto dalla rivoluzione verde. Ci sono le 500 tonnellate di acciaio e alluminio consumate da ogni pala eolica. Ci sono il litio e il cobalto per le batterie, i metalli rari come tungsteno, germanio, indio, antimonio e gallio e le terre rare. Su tutti ha messo da tempo gli occhi la Cina, che pensa sempre più avanti di tutti, e la grande attenzione dedicata all’Africa, oltre che da considerazioni geopolitiche, è dovuta proprio alla volontà cinese di assicurarsi risorse strategiche nel lungo termine.

Il discorso può poi essere allargato ulteriormente a tutte le materie prime, comprese le derrate agricole e incluso perfino il petrolio. Questo avviene perché i mercati devono ancora una volta riequilibrarsi dopo lo sconquasso senza precedenti provocato dall’esplosione della domanda cinese nella prima parte del nuovo secolo. Questa esplosione, ricordiamo, ha indotto dapprima un prolungato rialzo dei prezzi e ha poi provocato, proprio in corrispondenza del suo picco, una ripresa massiccia di investimenti da parte delle società minerarie, che hanno pensato a un aumento permanente e continuo della domanda. Quando la domanda cinese ha iniziato a stabilizzarsi e in alcuni casi a contrarsi, la nuova offerta si è riversata sui mercati per tutto il decennio scorso, causando una discesa dei prezzi lunga e dolorosa e un blocco totale degli investimenti.

La Cina, insomma, è stata un unicum che ha provocato un superciclo di rialzo prima e di ribasso dopo. La natura strutturalmente ciclica del settore è stata portata all’estremo e a questo, come spesso capita, ha dato il suo contributo prociclico la finanza, che ha premiato prima chi investiva troppo e poi chi smetteva di investire e si limitava a sfruttare quello che aveva.

Il risultato è che oggi ci troviamo in una situazione di investimenti cancellati, scorte basse e presenza del settore nei portafogli ridotta ai minimi termini. Se i prezzi delle materie prime e dei titoli del settore sono riusciti a salire nel disastroso 2020 (il rame si è apprezzato di un quarto e le società estrattrici molto di più) possiamo immaginare le potenzialità quando finalmente si uscirà dalla pandemia e si avvierà un lungo ciclo di ripresa economica. E non dimentichiamo il dollaro tendenzialmente debole che si profila all’orizzonte per i prossimi anni e che da sempre è inversamente correlato con i corsi delle materie prime.

Certo, i rialzi delle materie prime incontrano sempre, a un certo punto, ostacoli alla lunga insormontabili. I prezzi elevati riducono la domanda, aumentano l’offerta, inducono i governi a chiedere percentuali più alte su quello che viene estratto sotto la loro giurisdizione e spingono le maestranze a rivendicazioni che spesso si traducono in lunghi scioperi e, alla fine, in una pressione sui margini dei produttori. Questi ostacoli richiedono però tipicamente alcuni anni per manifestarsi e ora, con ogni probabilità, siamo ancora nelle fasi iniziali del nuovo ciclo.

Piuttosto che rincorrere nell’iperspazio alcuni dei temi più sfruttati del 2020 può dunque valere la pena esplorare il settore. Il precedente del 2000 è interessante. Con i titoli legati a Internet a prezzi fuori da ogni logica, i minerari agonizzavano sui minimi. Più bit nei portafogli e meno atomi, si diceva allora. Già due anni dopo si poteva notare che i bit continuavano a precipitare, mentre la tavola degli elementi era in decisa ripresa. Questa volta i bit non precipiteranno e manterranno comunque un andamento più che dignitoso, ma gli atomi faranno verosimilmente meglio, almeno per una fase. La blue wave democratica negli Stati Uniti, con la politica espansiva e l’attenzione verso le energie verdi che ne seguiranno, favorirà ulteriormente questa tendenza.

A cura di Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos

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