Il ruolo del cambiamento climatico nelle nomine dei membri del CdA

A cura di Carola van Lamoen, Head of Active Ownership di Robeco

Alle aziende servono amministratori che si concentrino sull’esposizione delle attività al tema del cambiamento climatico, in particolare per le realtà che svolgono attività fortemente dipendenti dai combustibili fossili e che, per ridurre i rischi futuri, hanno bisogno di decarbonizzare. Nel maggio 2020, Robeco ha contribuito alla nomina di un ex-dirigente del settore dell’energia eolica a membro del consiglio di amministrazione di Enel. La sua presenza concorrerà ad agevolare il passaggio di Enel dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità entro il 2050.

È necessario che i membri dei consigli di amministrazione accrescano le proprie competenze riguardo il clima. Per riuscirci, si deve puntare su corsi di formazione impartiti da esperti interni all’azienda, su consulenti esterni oppure sulla nomina di consiglieri competenti in aree che consentano alle società di avere successo in un’economia a bassa emissione di carbonio. Non cerchiamo accademici o scienziati da far sedere nei consigli di amministrazione. Sebbene, a nostro avviso, avere conoscenze e competenze specifiche è essenziale sia per comprendere le caratteristiche che un determinato settore potrebbe assumere in un’economia a bassa emissione di carbonio, sia per capire il modo in cui i modelli di business dovranno reagire per adattarsi alle nuove esigenze che stanno emergendo.

Il ruolo degli investitori

Anche gli investitori sono chiamati a sfruttare il loro diritto di voto e l’influenza esercitabile attraverso l’engagement per proporre membri che contribuiscano attivamente ad agevolare la transizione. Alcune giurisdizioni ne facilitano l’intervento più di altre e, in questo senso, il voto di lista previsto dal sistema italiano si è rivelato particolarmente efficace, garantendo agli azionisti di minoranza il diritto di nominare una percentuale dei consiglieri alle assemblee generali degli azionisti. In veste di co-responsabile delle attività di engagement previste dall’iniziativa Climate Action 100+, Robeco ha collaborato con Assogestioni e sfruttato questo sistema per cercare di orientare il consiglio di amministrazione di Enel. Il nuovo amministratore ha le giuste competenze in materia di transizione energetica. È la prima volta che la nomina di un consiglio di amministrazione viene usata in questo modo, secondo un approccio innovativo capace di influenzare la governance aziendale sulle questioni climatiche.

Oggi il ruolo degli amministratori viene definito da apposite linee guida redatte in base ai principi di governance sul clima, nati nel 2018 dalla collaborazione tra il World Economic Forum e i revisori di Pricewaterhouse Coopers. Questi principi mirano ad aiutare dirigenti e vertici societari a riflettere sulla qualità della governance climatica in essere presso la propria organizzazione, cercando possibili aree di ulteriore sviluppo.

Tutti i settori sono esposti

Virtualmente, tutti i settori economici sono in qualche modo esposti ai rischi climatici, ma quelli direttamente legati ai combustibili fossili rischiano di trovarsi in maggiore difficoltà soprattutto, in termini di inasprimento della regolamentazione sulle emissioni di carbonio nel rispetto degli impegni presi a livello nazionale, oppure dall’Accordo di Parigi, volto a limitare l’incremento del riscaldamento globale a 2°C rispetto ai livelli pre-industriali entro la fine del secolo. È un richiamo all’accurata supervisione da parte dei consiglieri e alla consapevolezza degli investitori di cosa serve a un’azienda per garantire la resilienza di lungo termine delle proprie strategie di business. Nel 2017 la Task Force for Climate-Related Financial Disclosures (Tcfd) ha elaborato una serie di raccomandazioni che consentono a società e investitori di capire meglio le conseguenze finanziarie dei cambiamenti climatici.

Sebbene le società abbiano fatto grandi passi avanti nell’attuare queste raccomandazioni, la maggior parte fa ancora fatica a identificare e a valutare realmente il potenziale impatto finanziario dei rischi climatici rilevanti per le proprie attività, così come a incorporarli efficacemente in termini di gestione del rischio e dei piani strategici. I cambiamenti climatici sono un trend di lungo periodo con effetti difficili da prevedere. È probabile che questi ultimi si verifichino nel medio e nel lungo termine, scavalcando i normali cicli di mercato. Stando alle stime attuali, le conseguenze dei cambiamenti climatici diventeranno catastrofiche entro la fine di questo secolo, ma potrebbero esserlo già intorno al 2050, cioè tra soli 30 anni. Questo supera decisamente l’orizzonte temporale di molti di noi e costringe le generazioni future a pagare un prezzo che la società di oggi non ha alcun interesse a saldare.

Si deve quindi esulare dai normali cicli economici, dai cicli politici e dall’orizzonte delle autorità tecnocratiche come le banche centrali, vincolate dai rispettivi mandati. L’orizzonte delle politiche monetarie, infatti, si estende su un massimo di due o tre anni. Per quanto riguarda la stabilità finanziaria, l’orizzonte è leggermente più lungo, ma di solito raggiunge solo le estremità del ciclo del credito: circa un decennio. In altre parole, se aspettiamo che i cambiamenti climatici diventino una questione determinante per la stabilità economica, potrebbe essere troppo tardi.

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