In attesa che si calmino le acque

Di Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane BNP Paribas

In primis, qual è la gravità della situazione in Cina? Nonostante lo stress degli ultimi giorni, la situazione non è così catastrofica come potrebbe sembrare. Senza dubbio il settore manifatturiero è in cattive condizioni e soffre a causa del peggioramento della coppia competitività/costo. Senza contare che, nel contempo, l’andamento degli investimenti è stato influenzato dalla lotta alla corruzione in Cina. Tuttavia, la crescita delle vendite al dettaglio ha ben resistito e la concessione di credito ai privati (M2) è cresciuta in contemporanea con i prezzi degli immobili. La nostra view sul modello di crescita cinese è pessimista dal 2013. Non esiste un paese che sia stato in grado di passare dal proprio modello ad un economia di mercato senza scossoni ed, inoltre, il debito della Cina è già particolarmente elevato. Ma le autorità cinesi dispongono ancora di misure in grado di sostenere la loro economia. Come abbiamo scritto la scorsa settimana, potrebbero volerci almeno due mesi prima di vedere segnali evidenti di un miglioramento nel Celeste Impero.

Secondo me, il nodo principale verta essenzialmente sulla coerenza delle azioni dei dirigenti cinesi. In effetti, la correzione osservata è stata innescata dalla svalutazione del renminbi. Questa correzione riflette in realtà l’assenza di fiducia dei mercati nelle autorità del paese. In particolare, la decisione di sostenere un mercato che aveva già guadagnato più del 150 per cento in un anno non ha certamente aumentato la credibilità delle autorità cinesi agli occhi degli investitori. La scorsa settimana la diminuzione del coefficiente di riserva obbligatoria, che dovrebbe rendere disponibili 700 miliardi di renminbi, dovrebbe aumentare la liquidità e si attendono ulteriori misure nel corso dei prossimi mesi. Ma le autorità cinesi devono innanzitutto mostrare il loro sostegno all’economia reale accelerando, ad esempio, il programma di infrastrutture. Nel breve termine, è, dunque, necessario trovare il giusto equilibrio tra riforme e supporto economico, poiché gli obiettivi economici di lungo periodo sono incompatibili con una crescita elevata nel breve. Non bisogna aspettarsi nel breve periodo un enorme stimolo fiscale, come quello del 2009, ma vi sono ancora margini di manovra per sostenere l’economia sia sul fronte fiscale che monetario.

Questo mi porta alla domanda successiva: nei mercati emergenti è in corso una crisi finanziaria sistemica? Appare certo che i paesi esportatori di commodity e i paesi in deficit soffriranno a causa dell’attesa stretta monetaria negli Stati Uniti. Detto questo, va evidenziato che molti paesi emergenti vantano una solida bilancia dei pagamenti. La Cina, ad esempio, possiede molti più asset denominati in dollari che passività. Di conseguenza il rischio di una crisi simile a quella del 1997 è molto improbabile. Il deprezzamento delle valute emergenti iniziato a maggio è in realtà il terzo stress finanziario che il mercato dei cambi ha registrati dal 2013 e questa volta le uscite nette di capitale sono state inferiori rispetto al passato. Pertanto, non vi è alcun motivo di farsi prendere dal panico, anche se è imperativo rimanere vigili, perché quanto avvenuto non sarà certamente l’ultimo adeguamento valutario sui mercati emergenti. Inoltre, non dobbiamo sottovalutare l’agitazione sociale che sarà provocata dalla bassa crescita (come sta avvenendo in Malesia).

Infine, il ciclo globale è giunto nella fase finale? Il ciclo americano ha raggiunto senza alcun dubbio la sua maturità, ma occorre tener presente gli eventi del 1998. La crisi del Sudest Asiatico era ben più importante di quella che attualmente colpisce i paesi emergenti, il dollaro era a livelli particolarmente elevati, il prezzo del petrolio scese del 50%, le imprese americane registrarono un forte declino dei loro profitti e il mercato statunitense era sopravvalutato. Tuttavia, dopo mesi di stress finanziario, il crollo del petrolio e la spinta ribassista delle valute emergenti contribuirono alla ripresa della crescita e incoraggiarono il consumo nei mercati sviluppati. E’ vero che il ciclo del credito era differente, ma, nonostante le probabili revisioni al ribasso delle stime di crescita, i consumatori dei paesi sviluppati guadagneranno in potere d’acquisto.

Per concludere, non so se la situazione sui mercati possa evolversi come nel 1998. Da un punto di vista macroeconomico lo stress sui mercati emergenti avrà sicuramente delle ripercussioni sull’inflazione. In Europa, l’agenda politica è ricca di appuntamenti con le elezioni greche previste il 20 di settembre, in un periodo di crescenti emissioni di titoli di stato, come accaduto a maggio. Negli Stati Uniti, il dibattito sulla politica della Fed è al centro dell’attenzione. Tuttavia, ora che le aspettative di inflazione sono scese in linea con il nostro scenario, l’attenzione dovrebbe incentrarsi sulla politiche dei singoli paesi sviluppati. Penso che il ciclo di liquidità globale è ancora lungi dall’essere finito (un argomento per la prossima settimana!).

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