La crisi del sistema europeo

A cura di CA Indosuez Wealth Management

Il processo decisionale europeo è ormai incapace di gestire la politica comune. Il Consiglio Europeo è un organismo in balia dei propri rappresentanti, i capi di Stato e di Governo dei 28 paesi membri, che operano perseguendo i propri interessi sovrani senza tener conto dell’interesse comune che in teoria dovrebbero perseguire.

Nell’ultimo decennio il Consiglio si è imposto come governo collegiale all’interno della struttura comunitaria, soppiantando di fatto il ruolo esecutivo attribuito dai trattati alla Commissione. Il Consiglio decide all’unanimità, proprio per garantire gli interessi dei governi nazionali e questa regola ha funzionato fino a quando si è operato in condizioni “normali” e, quindi, fino a quando tutto il processo decisionale non è stato chiamato a dare risposte alle crisi straordinarie, di natura politica e finanziaria, che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.

Le non decisioni assunte hanno aggravato le divisioni tra i vari governi e in alcuni casi, anche all’interno degli stessi. L’ultimo Consiglio Europeo del 28 e 29 giugno ha reso palese a tutti, e non solo agli addetti ai lavori, la grande contraddizione che regola il processo e che di fatto ha bloccato l’assunzione di decisioni operative risolutive dei problemi. La gestione della crisi migratoria è l’emblema dell’empasse in cui ci troviamo.

Gli interessi da tutelare sono sostanzialmente tre. Da un lato il “gruppo di Visegrad” costituito dai paesi dell’Est che hanno l’obiettivo di rifiutare l’accoglienza dei rifugiati per fini di politica interna, ovvero per ottenere innegabili vantaggi elettorali. Il principio sovranista, fonte di interessanti risultati politici, è stato fatto proprio anche dal Governo italiano sebbene con modalità diverse, puntando a trasferire a livello europeo il carico economico e le difficoltà logistico-gestionali del flusso migratorio. Il terzo polo è rappresentato dalla Germania. In questo caso le divisioni si manifestano all’interno della maggioranza parlamentare, dove il ministro dell’Interno Seehofer (leader dei Cristiano-sociali bavaresi, CSU) ritiene fondamentale rinviare nei paesi di primo approdo (Italia) i rifugiati arrivati in Germania per effetto di quelli che vengono definiti “movimenti secondari”.

Contrapposta a questa visione è quella di Angela Merkel, sicuramente meno intransigente in quanto consapevole del rischio sottostante a questo approccio, ovvero lo smantellamento del principio di libera circolazione delle persone e delle merci, principio alla base dell’architettura comunitaria di Schengen.

Sebbene, dati alla mano, l’immigrazione illegale verso l’Europa si sia ridotta del 95% rispetto al 2017, come testimoniano i numeri degli sbarchi in Italia (-84% rispetto al 2017, -83% rispetto al 2016), ogni rappresentante al Consiglio si è irrigidito sulle proprie posizioni e di fatto le decisioni sancite dal summit hanno formalmente impedito una crisi istituzionale grave, ma di fatto ribadito la vittoria delle non scelte:
•verranno istituiti “centri controllati” di immigrati nei paesi di primo arrivo in cui collocare coloro che hanno diritto a rimanere in Europa, per quindi distribuirli, su “base volontaria”, negli altri Paesi europei disponibili ad accoglierli e quindi non nei Paesi dei governi sovranisti;
•i centri disporranno di risorse finanziarie ed organizzative europee, ma senza toccare il Regolamento di Dublino;
•il Consiglio europeo ha confermato l’impegno finanziario preso con la Turchia, affinché continui ad ospitare i milioni di profughi siriani fuggiti dalla guerra civile e, soprattutto, ha riconosciuto il diritto degli stati membri, in primis la Germania, ad adottare “tutte le necessarie misure amministrative e legislative per contrastare i movimenti secondari”, penalizzando di fatto i paesi di primo approdo.

Nella sostanza si è assistito ad una serie di veti incrociati che hanno prodotto un testo condiviso che simula un accordo di mera facciata. Le questioni da dirimere sono rimaste sul tappeto, o forse sarebbe meglio dire sono state nascoste sotto il tappeto.

Di fatto si è assistito alla prova di forza dei diversi sovranismi, che non possono trovare soluzioni collettive in quanto ognuno dei protagonisti si preoccupa di preservare il proprio specifico interesse politico, scaricando sugli altri partecipanti la soluzione della crisi. Il metodo di lavoro applicato alla gestione della crisi migratoria è purtroppo il medesimo attuato nella gestione anche di questioni riguardanti la politica finanziaria dell’Eurozona, come la trasformazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM).

La prevalenza dell’interesse particolare su quello generale è di per sé l’antitesi del cardine costitutivo e fondativo del meccanismo europeo. Il sovranismo è il fattore che più di tutti determinerà l’implosione dell’architettura comunitaria, se non verranno attuate delle scelte politiche differenti, illuminate e sicuramente coraggiose, che le attuali cancellerie non sembrano essere in grado di poter porre in essere.

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