La fine di un’era: la view di Axa Im

A cura di Chris Iggo, Cio Axa Im
La Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse di 25 punti base. Ma non finirà qui. Gli economisti faranno a gara per indovinare il numero e le tempistiche dei prossimi rialzi, tuttavia possiamo senz’altro concludere che è finita l’era dei tassi a zero.
Forse è troppo presto per dire che è terminata anche l’epoca in cui le banche centrali accorrono in soccorso dei mercati, considerando che la Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone stanno ancora ampliando il proprio stato patrimoniale, ma probabilmente ci stiamo avviando verso una situazione in cui i mercati torneranno a determinare il costo del capitale. La correzione sarà lenta e parte da rendimenti molto bassi. Questo elemento di certo non favorisce chi investe in obbligazioni, che vedranno un altro anno di rendimenti scarsi.
La saga dei tassi di interesse non termina qui, sentiremo parlare ancora della Federal Reserve.
Un piccolo passo per la banca centrale americana. Alla fine la Fed ha annunciato un rialzo dei tassi di interesse. Si tratta però di un intervento di minima portata e nell’immediato l’impatto diretto del rialzo di 25 p.b. sarà trascurabile. I rendimenti obbligazionari a breve termine sono già saliti, con il rendimento dei titoli a 2 anni di poco superiore all’1,0%, ovvero 40 punti base in più rispetto a un paio di mesi fa. I mercati erano preparati. È un po’ come quando ti dicono mesi prima che devi andare dal dentista e hai paura di un’operazione complicata, ma poi si limita ad un controllo di routine.
L’ansia prima dell’incontro della banca centrale americana può spiegare la debolezza del mercato delle materie prime e dei mercati high yield a dicembre, ora dovremmo assistere a una fase di ripresa. Quel che è certo è che la Fed ha messo la parola fine a un anno alquanto deludente sul fronte dei total return per chi ha investito nei mercati obbligazionari.
Molti indici obbligazionari sono invariati rispetto alla fine del 2014, alcuni sono scesi. La liquidità ha fatto meglio del segmento high yield e i linker hanno superato la maggior parte delle obbligazioni. Ironicamente, niente di nuovo.
Una nuova era. L’intervento di per sé è stato limitato ma rappresenta un segnale importante. La Fed ha messo fine all’era dei tassi di interesse pari a zero negli Stati Uniti, oggi ci avviamo verso una stretta monetaria che andrà per le lunghe. Storicamente, durante i cicli di stretta monetaria la banca centrale americana ha incrementato i tassi in media di 350 punti base. Sarebbe una sorpresa, proprio come vedere il Leicester in cima alla classifica della Premier League. Il mercato sconta a mala pena altri due rialzi nel 2016, nonostante il FOMC abbia dichiarato che potrebbero essere anche quattro.
Perché la Fed sta cercando di aumentare le aspettative del mercato, per quanto in modo controllato? L’economia è fatta così! La disoccupazione oggi è inferiore a molte stime del tasso naturale, mentre l’inflazione sta salendo con l’indice dei prezzi al consumo core al 2,0% a novembre. La crescita è squilibrata, l’occupazione è robusta mentre l’attività manifatturiera è debole, ma la crescita del PIL è in media del 2,5%.
Il ritmo di crescita sembra abbastanza forte da far salire la domanda di manodopera, prima o poi la contrazione del mercato farà salire i salari e le aspettative inflazionistiche. Il mercato dei TIPS non è ancora su questi livelli, con il breakeven all’1,5%. Il prezzo del petrolio è sceso ancora di recente, ma non farà scendere in modo permanente l’inflazione effettiva.
Al contrario, gli effetti di base spingeranno l’inflazione dei prezzi al dettaglio al rialzo nel 1° trimestre. Si parla molto della trasformazione settoriale della crescita in Cina, ma gli Stati Uniti non sono da meno: la maggior parte dei posti di lavoro dall’inizio di questa fase di espansione è stata creata nei servizi, ed è dal settore dei servizi che ha origine l’aumento dell’inflazione. Quando il mercato obbligazionario se ne renderà conto, i rendimenti dei Treasury oltre il 3,0% non saranno una sorpresa.
Cicli. Il grande interrogativo per gli investitori è a che punto si trova la Fed nel ciclo economico US. I cicli economici normalmente non terminano senza una qualche forma di stretta monetaria, ma questa è diversa considerato il punto di partenza.
È vero che storicamente un tasso di disoccupazione inferiore al tasso naturale segnala l’inizio della fine del ciclo economico. Storicamente è stato associato anche a un periodo di contrazione in corso da un po’ di tempo e, per gli investitori, alla fine della sovraperformance degli strumenti più esposti al rischio. Siamo vicini a questo punto negli Stati Uniti? Il tasso di disoccupazione è inferiore al tasso naturale (secondo le stime del Congressional Budget Office). Si profila uno scenario in cui i salari inizieranno a salire erodendo i margini delle società, rallentando la crescita degli utili e aprendo la strada a un taglio degli investimenti fissi e della creazione di nuovi posti di lavoro.
Seguirebbe un rallentamento dell’economia ed il ciclo di stretta della Federal Reserve sarebbe di breve durata. Ma non siamo ancora giunti a questo punto. In passato il tasso di disoccupazione è sceso anche dell’1% al di sotto del tasso naturale stimato, ovvero oggi non dovremmo preoccuparci prima che il tasso scenda al di sotto del 4,25%-4,5%. Inoltre, il tasso di partecipazione potrebbe salire ancora, alleviando le preoccupazioni per la contrazione del mercato del lavoro, soprattutto perché gli indicatori più ampi del mercato del lavoro mostrano ancora una certa stagnazione.
L’espansione potrebbe andare avanti ancora per un altro anno almeno. Potrebbe essere necessaria una stretta più aggressiva da parte della banca centrale americana per assistere a un rallentamento, sulla base dei dati storici. In ogni caso, è difficile essere bullish sulla maggior parte della curva dei Treasury nell’immediato futuro.
Avvolti nella bambagia. La Fed cercherà di non far preoccupare troppo il mercato. Nelle dichiarazioni ufficiali è stato sottolineato che i rialzi saranno graduali, mentre si discute di “stagnazione a lungo termine” e di “nuova normalità”. Solamente se l’inflazione inizierà ad accelerare la Fed potrebbe diventare più aggressiva.
Credo che intenda portare i tassi al 2,0% senza arrecare grossi danni al mercato; è un po’ come correre una maratona in 26 giorni anziché in 4 ore. Considerato che negli ultimi dieci anni gli investitori si sono abituati agli interventi di salvataggio delle banche centrali, è improbabile che il patto sociale tra il mercato e la Fed cambi in modo significativo nel breve termine.
Per questo motivo staimo assistendo ad un rimbalzo degli strumenti più esposti al rischio dopo il rialzo dei tassi da parte della banca centrale americana (anche se parlare di rialzo sembra quasi eccessivo visto che si è trattato di una minima rettifica). E per questo motivo le azioni, il credito e i titoli high yield potrebbero registrare ottime performance nel primo trimestre dell’anno.
Outlook del mercato obbligazionario. Cinicamente potremmo chiederci perché investire in obbligazioni quando siamo alla fine di un prolungato ciclo di manovre sui tassi di interesse, visto anche che i fondamentali del credito difficilmente miglioreranno. I rendimenti previsti sono bassi, se non negativi.
Per l’investment grade, soprattutto in Europa, un rendimento complessivo dell’1,5% non produce reddito sufficiente a tutelare gli investitori, né da un ampliamento degli spread dato da un deterioramento delle prospettive macroeconomiche, né da un rialzo delle aspettative sui tassi di interesse in uno scenario di crescita più robusta, trainata dal QE. Il rendimento più alto nei mercati investment grade negli Stati Uniti e nel Regno Unito giustifica un po’ più di ottimismo, ma in questo momento una caratteristica fondamentale della maggior parte dei settori del credito è la dispersione dei rendimenti.
La maggior parte degli strumenti di qualità offre rendimenti bassi e poco interessanti, mentre il rendimento degli indici sale grazie alla debolezza di qualche titolo che riflette un rischio di credito e di liquidità più alto. È particolarmente evidente nell’high yield, e in particolare nel mercato americano. I settori dell’energia e dei materiali di base hanno riportato rendimenti inferiori: per il sottoindice sull’energia del mercato high yield il rendimento è del 15%, con total return da inizio anno a -13%.
Durante la scorsa settimana abbiamo assistito alla liquidazione in massa di posizioni high yield nei fondi comuni e negli ETF in un mercato dove la liquidità rappresenta effettivamente un problema. Questi sviluppi hanno poco a che vedere con la Federal Reserve e molto più con il fatto che buona parte del mercato deve affrontare un rialzo dei tassi di insolvenza, amplificato dai deflussi di hot money.
La chiave è il petrolio. Fondamentalmente continuiamo a privilegiare il segmento high yield negli Stati Uniti, tranne i settori dell’energia e dei materiali. Tuttavia la liquidità ha sovraperformato quest’anno, e vi è stato del contagio in altre parti del mercato. È chiaro che serve una certa stabilizzazione dei prezzi delle materie prime globali per migliorare il sentiment verso l’high yield ed i mercati emergenti. Questa stabilizzazione non è ancora in corso, sebbene recentemente le società minerarie abbiano dichiarato che sta iniziando una fase di correzione dell’offerta a fronte del calo della domanda di materie prime proveniente dalla Cina. Questo fattore potrebbe risolvere gli squilibri tra domanda e offerta e sostenere i prezzi.
Comunque, nel mercato del petrolio pochi fornitori sembrano propensi a tagliare la produzione per paura di perdere la loro quota di mercato. Questo vale per l’OPEC e i produttori di gas di scisto che sono più inclini a tagliare i costi di produzione che a ridurre la produzione stessa. A livello macroeconomico, il contributo del petrolio alla crescita non è stato visibile quanto le implicazioni dell’impatto a livello di reddito per produttori e consumatori. I mercati si concentrano sulla flessione dei flussi di cassa e sui ricavi delle esportazioni e il brusco calo degli investimenti fissi nel settore dell’energia.
Dietro a tutto questo c’è la domanda locale in miglioramento in molte parti del mondo, trainata dalla crescita dell’occupazione e dall’aumento del reddito reale. Non è facile formulare previsioni di crescita in questo momento, considerando anche il semaforo rosso sul prezzo del Brent. Ma tornando all’high yield, le valutazioni ci portano ad avere una view positiva sul segmento, se si investe nei titoli e nei settori giusti. Poche altre componenti del mercato obbligazionario offrono rendimenti così interessanti.
Un altro anno di rendimenti bassi. Se il 2015 non è certo stato un buon anno per i rendimenti dei mercati obbligazionari, il 2016 non sarà meglio. I rendimenti a inizio anno saranno bassi. Il rendimento core a 10 anni dei titoli di stato è del 2,2% negli Stati Uniti, dell’1,9% per i gilt britannici, dello 0,6% per i bund e dello 0,3% in Giappone. I titoli sovrani periferici in Europa sono un po’ più brillanti, ma anche il rendimento delle obbligazioni decennali in Spagna e Italia è solamente dell’1,6%-1,8%.
Nel segmento investment grade si può trovare un carry un po’ più alto, ma l’indice investment grade europeo riporta un rendimento dell’1,4% soltanto. Gli Stati Uniti e il Regno Unito sembrano più interessanti, con il 3,7% e il 3,5% e potrebbero beneficiare di cambiamenti dell’asset allocation degli investitori, nonostante la liquidità e le opportunità sul fronte delle nuove emissioni restino scarse nel mercato in sterline. Si può ottenere un rendimento moderatamente positivo sul credito in dollari e sterline e nei portafogli globali sovrappesati su questi due mercati.
A un grado di rischio inferiore, i rendimenti sono più interessanti ma lo scenario macroeconomico resta poco favorevole per i mercati emergenti. Almeno su questi mercati e nell’high yield abbiamo assistito a una correzione delle valutazioni verso fine 2015 che apre la possibilità di ottenere un rendimento complessivo positivo durante il prossimo anno. Nelle componenti meno liquide del mercato, dove l’esposizione a tassi variabili è la norma, ci sono spread interessanti superiori al Libor nei mercati ABS e CLO, mentre le componenti a più basso rating offrono spread assai superiori alle obbligazioni investment grade equivalenti.
Il premio per la liquidità è salito in linea con la volatilità del mercato, ma per gli investitori che cercano di ottimizzare il rendimento dei portafogli obbligazionari gli strumenti cartolarizzati con un buon portafoglio di crediti sottostanti rappresentano un buon punto d’ingresso.
E passiamo ad altro, o forse no. Non tutto ruota attorno alla Fed (anche se nei miei 26 anni di carriera nei mercati finanziari, nella maggior parte dei casi così è stato). La BCE è altrettanto importante e Draghi forse vorrà lavorare sulle proprie capacità comunicative durante la pausa natalizia per assicurarsi di non fuorviare nuovamente i mercati. Lo stesso vale per Mark Carney che forse dovrà comunicare il momento in cui attendersi un rialzo dei tassi in Inghilterra il prossimo anno.
Banche centrali a parte, il percorso di crescita in Cina proseguirà, ma il calendario politico sarà altrettanto importante considerate le elezioni negli Stati Uniti e il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. I temi macroeconomici riguarderanno le fratture generate dal ribilanciamento del mercato delle materie prime e della Cina e il ritmo con cui le economie occidentali usciranno da regimi straordinari di politica monetaria. Non è ancora così in Europa e Giappone, pertanto è possibile che assisteremo a un nuovo rafforzamento del dollaro.
Non ci sono state molte opportunità di acquistare la sterlina al di sotto di 1,40 dollari negli ultimi 30 anni e, visto che oggi siamo a 1,4950 dollari, potrebbe non passare molto tempo prima che una posizione al rialzo sterlina/dollaro diventi interessante. Carney alza i tassi, i gilt scendono e il tasso di cambio sale a 1,60 dollari: sembra un buon programma!

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!