La guerra dei dazi può far deragliare i listini americani?

A cura di John Weavers, gestore del fondo M&G North American Dividend Fund, M&G Investments

Spesso mi chiedono quale sia a mio parere la minaccia maggiore che grava sul trend rialzista del mercato azionario degli Stati uniti. I tassi di interesse in salita? L’inflazione? Una possibile regolamentazione per i FAANG? Sebbene questi elementi pongano tutti rischi potenziali sulla forza degli utili, il tema che mi preoccupa maggiormente è quello dei dazi – e la prospettiva che quello che attualmente si configura come un battibecco di piccola scala possa trasformarsi in una vera guerra commerciale globale.

Oggi, è la Cina l’area su cui si concentrano le dispute sui dazi e dove abbiamo visto gli sviluppi più evidenti. Tuttavia, la situazione potrebbe allargarsi. Nonostante sia stata “firmata una tregua” con l’Europa, non servirebbe molto per riaccendere la miccia. In effetti, con le discussioni sulla riforma del NAFTA ancora in corso, la prospettiva di una guerra commerciale globale non è per nulla fuori questione.

I dazi cambiano materialmente il costo di fare impresa per le società americane. Basta guardare agli effetti del primo round di tariffe annunciato a marzo. Acciaio e alluminio erano i punti cruciali, e i loro prezzi sono saliti significativamente. I contratti future sull’alluminio, per esempio, segnano un +30% da inizio anno e si attestano sui massimi decennali.

Gli Stati Uniti sono il più grosso importatore al mondo di acciaio. Prezzi più elevati significano costi di input più alti per moltissime aziende: molte di queste stanno cercando di controbilanciare tali costi addizionali alzando i prezzi per il consumatore finale. Lo abbiamo visto spesso durante la stagione delle trimestrali, con società come Coca Cola e Caterpillar che hanno annunciato aumenti dei prezzi al di fuori del consueto ciclo.

E gli effetti dei prezzi più elevati si riflettono anche sui dati economici. Di recente, i prezzi core alla produzione (che escludono elementi più volatili come i beni alimentari e le materie prime energetiche) negli Stati Uniti sono saliti dello 0,3% a luglio, portando l’aumento generale annuale al +2,8%. Gli economisti hanno collegato direttamente questa inflazione ai dazi sulle importazioni di beni cinesi.

Al momento, sembra che l’economia sia abbastanza solida da assorbire questi aumenti di prezzo, ma ciò potrebbe cambiare in caso di un’ulteriore escalation. Ad ogni nuovo round di dazi corrisponderanno costi più elevati per il sistema, che in qualche modo devono essere assorbiti: ciò avverrà tramite prezzi più elevati per i consumatori finali o tramite una minor redditività per le aziende. Tutti gli occhi sono puntati sulle decisioni prese a Washington, sull’implementazione o meno di un ulteriore round da 200 miliardi di dollari di dazi contro la Cina.

Se dovessimo raggiungere il punto in cui gli aumenti dei prezzi non potranno più essere controbilanciati, saranno i margini ad essere impattati. Impieghiamo molto tempo a cercare di capire quali delle nostre posizioni in portafoglio sono maggiormente esposte ai dazi e quali hanno il maggior potere di determinazione dei prezzi. Le società su cui investiamo nel segmento delle ferrovie, per esempio, sono grandi consumatrici di acciaio: stiamo esaminando attentamente i possibili effetti dei dazi sui loro corsi azionari, notando che tali aziende tendono ad avere una forte influenza nel determinare i prezzi, con una distruzione di domanda limitata. Ciò significata che l’impatto è stato, sin qui, ridotto.

Un’altra area di attenzione riguarda le società che esportano verso la Cina. Non sorprende che i titoli i cui ricavi sono esposti al gigante asiatico abbiano registrato un significativo sell-off negli ultimi mesi.

I beni maggiormente esportati dagli USA alla Cina sono prodotti agricoli, componenti per velivoli e automobili. Molte società attive in questi settori sono state colpite nella recente stagione delle trimestrali. A fine luglio, Ford ha abbassato le attese sugli utili, citando “le sfide nel mercato cinese” come motivo di questa revisione. Queste sfide sono legate ai dazi, guidate da “fattori di mercato sfavorevoli per le importazioni in Cina e un pricing ancora negativo nel settore”.

E non sono solo gli esportatori diretti a risentire del peso dei dazi. Dazi più elevati sulla carne suina e sul pollame hanno fatto sì che quantità maggiori di questi beni siano rimaste negli Stati Uniti, deprimendo i prezzi domestici. Ottimo per i consumatori, ma pessimo per società come Tyson Food, che realizza il 90% dei propri profitti sul mercato interno. Di conseguenza, il mese scorso la società ha rivisto al ribasso del 10% le attese sugli utili.

Non ci sono però soltanto cattive notizie. Le vendite sui titoli esposti alla Cina sono state spesso indiscriminate e iniziamo a vedere opportunità di acquisto a significativo sconto su titoli che potrebbero beneficiare della situazione sul lungo termine. Yum China, la società che possiede i brand KFC e Pizza Hut per il mercato cinese, è un buon esempio di titolo azionario su cui le vendite sono state eccessive. L’azienda ha molto spazio di crescita e non ha assolutamente alcuna esposizione alla Cina in termini di importazioni o esportazioni; nonostante questo ha perso il 20% in Borsa da inizio anno, considerando i livelli minimi toccati a luglio. Il driver di tale movimento è l’esposizione degli utili al cambio in renminbi. La valuta cinese si sta avvicinando ai minimi pluriennali rispetto al dollaro – un fattore che stiamo considerando attentamente nelle nostre analisi.


In generale, non ci sono molti dubbi che i dazi abbiano il potenziale per pesare significativamente sui listini americani. Tuttavia, mantenere un approccio focalizzato sui fondamentali di lungo termine aiuterà a navigare in acque agitate e, potenzialmente, a trasformare le minacce in opportunità.

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