La lunga estate calda dei mercati

A cura di Donatella Principe, Director, Market and Distribution Strategy di Fidelity International

Ci sono estati come quella del 2012 che regalano un inatteso quanto gradito “whatever it takes”, ma più di frequente negli ultimi 30 anni estate è stata sinonimo di turbolenza su mercati finanziari tutt’altro che a riposo. Si può andare indietro al luglio 1997, con lo scoppio della crisi asiatica; o all’agosto dell’anno successivo, con quella russa, che vide il rublo svalutarsi del 40% in un solo giorno. La crisi dell’Argentina dello scorso anno, con il FMI costretto al più grande piano di salvataggio della sua storia, richiama facilmente alla memoria quella esplosa tra giugno e agosto del 2001. Ovviamente la madre di tutte le crisi estive è stata quella dei subprime, la cui prima avvisaglia si vide già nel luglio 2007 con un pessimo dato sui default sui mutui Usa; ma che esplose nella sua piena violenza solo un anno dopo, portando a settembre 2008 al fallimento di Lehman Brothers.

Da allora, nel decennio del rally più lungo della storia dei mercati finanziari, si contano paradossalmente ben poche estati tranquille. Tra le peggiori certamente quella del 2011, con la crisi dei debiti sovrani in Europa, sfociata nell’autunno caldo per l’Italia. Ma ad agosto di quell’anno la crisi del debito attraversò anche l’oceano: l’America perse la AAA e le parole rassicuranti di Obama sulla gestione del “tetto del debito” non bastarono a evitare il peggior crollo di Wall Street dalla crisi del 2008. Nel 2015 le vacanze estive furono rese turbolente dal crollo del mercato cinese, che da metà giugno perse in un mese 1/3 del suo valore. Se l’estate 2016 partì all’insegna della Brexit, quella del 2018 è stata testimone tra giugno e agosto del botta e risposta nella battaglia tariffaria Usa-Cina e la difficile stagione politica post-elezioni di marzo in Italia aveva fatto salire ancora di più la temperatura dei mercati estivi.

Le incognite dell’estate 2019

E quest’anno? Fino a ora la partenza dell’estate sembra essere delle migliori. Chi ha ceduto al vecchio adagio “sell in May and go away” deve fare i conti con grandi rimpianti: giugno è stato il miglior mese per il Dow Jones in 80 anni, chiudendo un semestre che per l’indice azionario globale è stato il migliore di sempre nella storia dei mercati finanziari (in 22 anni per l’S&P 500). Se luglio sta facendo registrare nuovi massimi assoluti per la borsa Usa, anche risky assets come il BTP stanno vivendo una pausa nell’altalena dello spread.

Potrà durare? Un primo banco di prova sarà la riunione della Fed a fine luglio. Fin qui i mercati più che sul miglioramento dei dati fondamentali stanno continuando a festeggiare sulla scia del “tanto peggio, tanto meglio”, visto il passaggio delle principali banche mondiali, dalla Fed alla Bce, verso una nuova stagione di allentamento monetario. Il consensus è quasi unanime su un primo taglio a luglio: la decisione della Fed in quella sede, i suoi commenti sulle future mosse saranno cruciali per comprendere se e fino a che punto il mercato si è spinto troppo avanti. Le ricadute saranno rilevanti per i mercati azionari, ma non meno per quelli obbligazionari che, anticipando questa nuova espansione monetaria, hanno visto i rendimenti contrarsi al punto che siamo ai massimi storici di obbligazioni al mondo con rendimenti negativi: oltre 12,5 trilioni di dollari, superando il precedente record dell’estate del 2016 e raddoppiando la dimensione dalla fine del 2018.

L’asimmetria del rischio nel mondo obbligazionario cresce di pari passo con il ritorno a un “search for yield” che sembra sempre più un “hunting for yield”. Ma, come sottolineato anche nel recente report della Bank for International Settlements, i rischi legati alla leva mondiale sono cresciuti rapidamente e si fanno particolarmente sensibili nel settore del credito. In un contesto nel quale alcune variabili non sembrano più seguire le dinamiche del passato (in primis l’inflazione) la lettura del quadro macroeconomico diventa estremamente complessa, aggiungendo incertezza al quadro generale. Alcune distonie complicano ulteriormente lo scenario: se azioni e obbligazioni (massimo storico e minimo dei rendimenti) sembrano raccontare storie diverse, in America il traguardo della più lunga fase di espansione economica viene “festeggiato” dal mercato con un’inversione della curva dei rendimenti che in passato parlava di recessione.

Tuttavia, per quanto lo scenario globale continui a mostrare elementi di fragilità, a nostro avviso, non vi sono rischi di recessione all’orizzonte. Anche le tensioni geo-politiche Usa-Cina possono al massimo rallentare la crescita mondiale ma certo non portarla in negativo. D’altra parte, problemi come quello della guerra commerciale sono tutt’altro che risolti e continueranno a incidere sul rischio di mercato.

La percezione d’incertezza del quadro generale, unita a un tasso di crescita sì positivo ma debole, ha continuamente spinto negli ultimi anni gli investitori verso posizioni quasi unidirezionali: Growth e Quality hanno dominato, insieme a scelte settoriali come la tecnologia. Le valutazioni appaiono spesso eccessive e in molti casi sempre meno sostenibili, con il rischio di correzioni idiosincratiche. La fragilità della situazione è accresciuta dal fatto che sempre più negli ultimi mesi la salita dei mercati è stata guidata dall’espansione dei multipli più che dalla crescita degli utili.

Investimenti sotto l’ombrellone

Le prospettive per quest’anno si confermano per un netto rallentamento dei profitti rispetto al 2018 e le previsioni molto positive sul recupero del 2020 sono già ampiamente nei prezzi. Con elementi positivi ancora presenti, ma d’intensità inferiore al passato, e crescenti nubi che si addensano all’orizzonte, l’approccio alla gestione del portafoglio nell’estate 2019 dovrebbe ricordare i buoni comportamenti da tenere al mare: va bene esporsi ma senza dimenticare la crema protettiva. La ricerca di rendimenti deve essere quindi bilanciata da un focus crescente sul premio per il rischio; il posizionamento sui risky assets va implementato con grande attenzione alle valutazioni; e non va dimenticato che più che mai c’è bisogno di un approccio modello-assicurativo al portafoglio, diversificando le posizioni più rischiose con attività difensive e de-correlate. E se quella 2019 non dovesse rivelarsi “la lunga estate calda”, la disciplina di portafoglio sarà utile ad arrivare pronti per un autunno dall’agenda molto fitta, specie in Europa: dalla fine del mandato di Draghi, con un passaggio di testimone “politico”, alla finanziaria in Italia. Senza dimenticare la nuova deadline per la Brexit il 31 ottobre.

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