La situazione turca non è un campanello d’allarme per gli Emergenti

A cura di Sam Finkelstein, co-deputy CIO Global Fixed Income team di Goldman Sachs Asset Management e global head Emerging Markets
Una combinazione di incertezza politica ed economica, insieme a una accesa disputa diplomatica con gli Stati Uniti, hanno contribuito alle recenti forti vendite che hanno interessato gli attivi turchi. Per quanto riguarda il contesto politico: la concentrazione del potere, la mancanza percepita di un sistema adeguato di controllo delle istituzioni e l’intolleranza del presidente Erdogan nei confronti dei propri oppositori hanno scosso profondamente i mercati. Inoltre, l’allontanamento dei funzionari governativi favorevoli a politiche di libero mercato e la nomina di personalità con punti di vista poco ortodossi hanno generato ulteriore malcontento tra gli investitori.
Venendo alle politiche economiche, la banca centrale da inizio anno ha alzato i tassi di interesse del 9.75%, portandoli al 17.75%. Saranno tuttavia necessari ulteriori rialzi per gestire l’elevata inflazione, ridurne le aspettative future, e stabilizzare la valuta turca. I mercati nutrono scarsa fiducia nella risposta dell’autorità di politica monetaria, poiché non gode della necessaria indipendenza o di una chiara traiettoria di manovra futura. La scorsa settimana il governo ha annunciato un piano di crescita a medio termine, che però non conteneva sufficienti dettagli, soprattutto in materia di politica fiscale.
Infine, il quadro geopolitico: il recente deteriorarsi dei rapporti con gli Stati Uniti deriva dal disaccordo sulla detenzione di un pastore americano in Turchia e sulla mancata estradizione di un predicatore turco residente negli Stati Uniti. Successivamente il Dipartimento del Tesoro statunitense ha congelato i beni detenuti da due ministri turchi, e il presidente Trump ha annunciato l’intenzione di raddoppiare i dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio provenienti dalla Turchia. Questi sviluppi hanno ulteriormente pesato sulla performance degli attivi turchi, evidenziando la sensibilità dei mercati alle vicende geopolitiche.
Alcune delle ragioni di preoccupazione che hanno mosso il mercato negli ultimi giorni erano note da tempo; molti altri investitori monitorano da anni le elevate esigenze di finanziamento in USD della Turchia, ovvero il livello di debito estero a breve termine e il deficit delle partite correnti del paese. Le esigenze finanziarie turche sono simili a quelle dei cosiddetti “mercati di frontiera” (frontier markets), e non si discostano molto dalle necessità dei paesi dell’America Latina negli anni ’80 o da quelli dell’Asia negli anni ’90.
Tuttavia, l’emergere nelle scorse settimane di nuovi timori legati alle politiche economiche poco ortodosse della Turchia, unitamente all’acuirsi delle tensioni geopolitiche, hanno determinato un’impennata nei premi per il rischio degli attivi turchi.
Riteniamo che le preoccupazioni sulle mosse future degli Stati Uniti in materia di politica commerciale e sulle potenziali sanzioni continueranno a esercitare pressione sulla performance degli attivi turchi, fino a quando la disputa diplomatica tra Stati Uniti e Turchia non verrà risolta.
La presenza di volatilità negli attivi dei mercati emergenti è una caratteristica relativamente comune e non preclude una performance positiva nel medio-lungo termine. Non crediamo che la situazione turca rappresenti un campanello di allarme per il più ampio contesto dei mercati emergenti; tuttavia, l’entità della volatilità degli attivi turchi probabilmente metterà alla prova il sentiment degli investitori nei confronti di tali mercati nel breve termine.

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