La sottile linea rossa

A cura di Aqa Capital

Arriviamo dal periodo storico, più lungo di sempre, segnato dall’assenza di gradi conflitti. Le battaglie oggi non si combattono con le armi ma sul piano economico. Durante la guerra fredda  con la Russia, non sono stati sparati colpi, eppure la situazione era tesissima. Ora sembra che gli Stati Uniti vogliano riadottare uno schema simile con la Cina.

Venerdì, dopo i dazi sull’acciaio (25%) e alluminio (10%), il presidente Usa, Donald Trump, ha annunciato un pacchetto di dazi da 60 miliardi di dollari su 1.300 prodotti, per lo più tech. Il Paese della Grande Muraglia ha esportato nel 2017  apparecchi tlc per 241,7 miliardi di dollari, di cui 106,7 verso gli Stati Uniti. Per fare un paragone, la Germania ha esportato, in tutto il mondo, 176,5 miliardi di auto.

I dazi non sono mai uno strumento lineare, chirurgico. Le bombe intelligenti, anche in economia, non esistono. Per capire con precisione l’impatto di una guerra commerciale, basta un esempio per tutti, un prodotto che spesso si trova nelle nostre tasche.  L’iPhone X costa 370 dollari, viene venduto a 1.200. Circa un terzo del costo, 110 dollari li incassa, per la fornitura degli schermi, la coreana Samsung (prima concorrente di Apple sui cellulari). 44 dollari vanno alla giapponese Toshiba e alla coreana Sk Hynx per i chip. Altri fornitori arrivano da Usa, Europa, Taiwan. Solo il 3-6% dei costi finisce alla cinese Foxconn. Il problema è che, nelle statistiche ufficiali, appare un’altra situazione, quasi l’intero  costo viene attribuito alla Cina, perché è il Paese che li assembla.

“Tutte bugieun uomo può fare solo una sola cosa, trovare una situazione che sia sua, crearsi un’isola attorno”. Non è più chiaro chi sia il vero protezionista, chi si isola, chi la vera vittima. Un economista, come Allen Sinai, paragona la situazione ad  uno sciatore nella parte alta della pista, “può partire con cautela, ma sa che la sua velocità non potrà che aumentare”. Il circolo vizioso scatterà se agli Usa, la Cina risponde con un’ulteriore chiusura. La seconda tornata di dazi sarà così più pericolosa e coinvolgerà tutti, Europa compresa.

Per ora, sembrano essere gli Stati Uniti a usare il bastone e la carota.  A gettare acqua sul fuoco, durante il fine settimana, ci ha pensato il segretario del Tesoro USA, Mnuchin, dichiarando che il governo “sta avendo dialoghi molto produttivi con la Cina” e di “essere cautamente ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo” che eviti l’applicazione dei dazi.  Le Borse hanno reagito bene. Nessun crollo ma un moderato ottimismo dopo il rosso della settimana scorsa.  Le tensioni hanno avuto ripercussioni anche sui prezzi delle commodity, con il rialzo delle quotazioni petrolifere nonostante l’aumento delle trivellazioni negli USA. Il Brent sta quindi scambiando intorno ai 70 dollari al barile. Tonici i preziosi con l’oro stabilmente sopra i 1.340 dollari l’oncia. Sul comparto agricolo spicca ancora il cacao, la migliore commodity da inizio anno (+40%), salito al massimo da novembre 2016 su tensioni legate all’offerta in Africa.

Insomma più di una guerra, come stanno sbandierando in molti, sembra che le due superpotenze stiano trattando lungo una sottile linea rossa. Con toni talvolta più alti del dovuto ma la porta del dialogo sempre aperta. Son tutti ben consapevoli di essere elefanti che si muovono fra i cristalli.

Ma se un tempo le guerre si combattevano sulla pelle dei soldati, oggi a rischiare sono i capitali.  Non si tratta di vita o di morte ma di soldi e posti di lavoro. Una sottile linea rossa tra un capital gain e un capital loss. Per non scottarsi è meglio non andare in prima linea ma affidarsi a una solida strategia di diversificazione. Consapevoli che in guerra non vince mai nessuno.

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