La stagione degli utili ha inizio. Ma il rimbalzo resta sotto scacco della volatilità

A cura di Corrado Caironi, strategist Ricerca Finanza

Gli investitori si chiedono cosa potrebbe far deragliare l’attuale recupero delle borse dopo le performance negative del terzo trimestre, mentre gli strategist manifestano prudenza indicando come problema di fondo la possibilità di vedere alcuni dati poco reattivi rispetto alle attese. In particolare il focus rimane su due lati contrapposti ma correlati ovvero quello della crescita economica, ancora incerta, e il secondo, quello legato alla profittabilità aziendale in avvio della earnings season.

Leggero aumento delle probabilità di recessione in Usa A segnare il tema della crescita è la diminuzione nelle anticipazioni degli economisti sulle stime sul GDP statunitense del terzo trimestre; queste ultime sarebbero scivolate dal +3% al +2% alimentate dai timori di un riflesso negativo delle prospettive più contenute dell’espansione cinese e dal rallentamento del mercato del lavoro interno. Nei sondaggi mensili si è assistito per la prima volta da 14 mesi ad un rialzo delle probabilità di recessione, dal 10% al 15%, un segnale ancora estremante basso, ma che ha fatto notizia. A fare da contrappeso è il Tran-Pacific Partnership trade agreement che apre le porte ad una semplificazione commerciale tra le due sponde del Pacifico coinvolgendo dodici paesi: Australia, Canada, Japan, Malaysia, Mexico, Peru, United States, Vietnam, Chile, Brunei, Singapore e New Zealand. La Cina rimane fuori dall’accordo ma ne potrebbe beneficiare indirettamente per gli stretti rapporti commerciali con alcuni paesi asiatici che hanno aderito all’accordo.

La stagione degli utili ha inizio Sul tema degli utili statunitense i primissimi dati del trimestre sono alquanto dubbiosi; le attese degli analisti sono per un leggero calo rispetto al trimestre precedente, anche se la differenza potrebbe arrivare ancora dalle strategie aziendali orientate da operazioni di buyback e rafforzamento strutturale del business per riassorbire le importanti variazioni di petrolio e rivalutazione del dollaro. La consegna dei dati sarà sicuramente occasione di discussione e spunti per le guidance.

Analisi di stagionalità Seguendo le indicazioni dei gestori di portafoglio, l’andamento dovrebbe prevedere una stabilizzazione dei mercati finanziari per questa parte finale dell’anno, nella quale si renderanno concrete le decisioni della Fed sui tassi di interesse e si potranno dissipare le incognite sulle prospettive di crescita economica il cui epicentro di attenzione rimane la Cina. Su questi presupposti la maggioranza degli operatori rimane convinto che la volatilità potrebbe essere il nemico numero uno perché impedirebbe il recupero delle borse azionarie sui livelli antecedenti l’estate, costringendo ad un anno negativo la maggior parte delle performance di portafoglio.

Analisi storica Come sempre in questi casi ci si affida alle statistiche sperando che si possano ritrovare situazioni simili in passato che in qualche modo si concretizzino nel presente. Il caso è quello dell’indice S&P500 nel 2011 dove il forte impatto della volatilità estiva aveva annullato le performance da inizio anno per poi ritrovare a fine anno un rialzo dell’11%. Storicamente si può inoltre sostenere che in quattro degli ultimi cinque anni le performance dell’ultimo trimestre si sono dimostrate molto positive per l’indice statunitense con rialzi superiori al 5%, tranne nel 2012 con un –0,6%.

Rimbalzo sotto scacco della volatilità Cosa succederà quest’anno? E’ ragionevole pensare che l’impatto estivo si possa rivelare un boost per l’ultimo trimestre? Gli strategist sono convinti che in primo luogo saranno i dati macroeconomici a fare la differenza in una situazione in cui le banche centrali stanno continuando a loro modo a supportare il sistema finanziario, compresa la FED che rimane attendista nelle sue decisioni proprio in attesa di indicazioni dall’economia ‘reale’. Una serie di dati macro poco convincenti potrebbe alimentare un insidioso aumento della volatilità.

Le attese ancora sul USD Dal punto di vista tattico i temi che sembrano rimanere privilegiati sono quelli di una tenuta dell’azionario sviluppato rispetto ad un rischio di perdite sui corsi obbligazionari con l’avvio delle iniziative di politica restrittiva della Federal Reserve statunitense. L’ulteriore rafforzamento del dollaro contro le maggiori divise potrebbe solo allora prendere di nuovo spazio dopo un lungo trading range, anche in contrapposizione ad un possibile allargamento degli interventi della Banca Centrale Europea in caso di dati macro anemici per l’area Euro. In questo caso si tornerebbe a guardare favorevolmente ai comparti High Yield, mentre sui settori azionari è tornata l’attenzione su Consumer Discretionary e Healthcare dopo il ridimensionamento delle valutazioni.

Emerging Markets in attesa della FED I Gestori stimolano la Riflessione Le analisi che i gestori di portafoglio portano a riscontro di una situazione forse “esagerata” sulle aspettative legate al ribasso del mercati finanziari emergenti, sembrano sostanzialmente ancora deboli per essere prese in seria considerazione dagli investitori. In primo luogo si parla di forti disinvestimenti in uscita dai mercati emergenti che da inizio anno hanno superato i deflussi del 2008; un secondo punto riguarda il calo dei prezzi delle commodities che avrebbero almeno dovuto avvantaggiare i grandi paesi importatori di materie prime e petrolio mentre questi hanno subìto la medesima pressione di quelli produttori e esportatori; in terzo luogo la capacità di riconvertire le esportazioni in consumi interni affidata alle riforme strutturali; infine la crescita economica che nonostante rimanga positiva dopo il recente decoupling tra aree sviluppate ed emergenti vede incertezza sul futuro.

Segnali da valutare Insomma le notizie negative sarebbero ormai scontate nelle attuali valutazioni: il rallentamento dei deflussi in questi ultimi giorni ha fornito un segnale positivo agli operatori; anche sulle materie prime alcuni gestori hanno iniziato a fare un distinguo rispetto al complesso mondo emergente nel suo insieme, selezionando i paesi virtuosi. Sul tema dei consumi interni il processo di crescita della classe media nei paesi in via di sviluppo è sicuramente avviato: se nel 2010 la metà delle persone appartenenti alla “classe media” della popolazione era nel mondo sviluppato, entro il 2030 la maggior parte sarà nel mondo emergente. Infine sui temi di crescita economica la partita risulta legata a doppio filo con l’economia cinese e alla sua capacità di rimanerne una guida solida verso i paesi più vicini nei flussi commerciali.

Il dollaro Usa ago della bilancia Dall’analisi si evidenzia che l’espansione monetaria nei paesi emergenti è venuta meno con il rialzo del dollaro statunitense che da un lato ha reso più costoso il finanziamento in valuta forte aperto durante i Quantitative Easing della FED e dall’altro ha forzato un corrispettivo calo dei prezzi delle materie prime. A questo si è aggiunto un affievolimento della crescita economica che ha coinvolto in primo luogo l’area Euro e provocato una svalutazione competitiva dell’Euro. Non è quindi un caso che gli stessi gestori sottolineano che una stabilizzazione del dollaro sia un requisito necessario per le economie in via di sviluppo per poter fare ripartire il processo di rientro dei capitali e che nello stesso modo ci sia una base per stabilizzare i prezzi delle materie prime. Anche una ripartenza dell’economia euro centrica potrà tornare utile nel riequilibrio di espansione. Insomma l’impressione dei gestori, dopo un periodo difficile, ritorna costruttiva sulla possibilità che nei prossimi mesi si possano aprire opportunità da valutare con visibilità sui tanti punti sotto analisi.

Focus della settimana Negli Usa: Advance Retail Sales, Consumer Price Index, University of Michigan Confidence. In Europa: CPI per i paesi dell’Euro zona, Indici ZEW, Industrial Production, in UK: Retail Price Index. In Cina: FDI CNY. Negli Emerging Markets: Bank Indonesia reference rate, Brasile: Retail Sales.

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