La stella americana e i suoi pianeti

Di Alessandro Fugnoli, Kairos Partners

Consideriamo le performance delle principali Borse dei Paesi sviluppati dall’inizio dell’anno. Brillano come è noto gli Stati Uniti, con un rialzo del 9 per cento per l’S&P 500 e del 15 per il Nasdaq. Al secondo posto troviamo il Giappone, positivo del 5 per cento. Segue l’Europa, compresa tra il rialzo di Parigi del 2 per cento e la discesa del 3 di Londra e del 5 per Francoforte. All’ultimo posto la Cina, con Shanghai che perde il 15 e Shenzhen, in pieno bear market, che lascia sul terreno un quarto del suo valore.

Si possono dare spiegazioni locali per ognuno di questi risultati, ma se vogliamo provare a dare una lettura che li comprenda tutti diremo che il mondo è in questo momento un sistema solare. Al centro c’è una stella che produce e irradia calore, gli Stati Uniti, e intorno dei pianeti che, man mano aumenta la distanza politica dalla stella sono sempre più freddi. Il Giappone è, tra i grandi, il paese più vicino a Washington. Oltre a un’eredità storica e a una sintonia politica c’è, nei calcoli di Tokyo, una evidente considerazione geopolitica. Per contenere la Cina il Giappone, paese senza atomica, ha bisogno della copertura militare dell’America, indispensabile anche per proteggersi dalla Corea del Nord. Di quest’ultima non inganni la nuova versione apparentemente addomesticata. Con una Corea del Sud pacifista e pronta a subordinarsi di fatto a Pyongyang, una Corea in qualche modo unificata sarebbe, vista da fuori, una potenza economica e militare di assoluto rispetto.

L’America, dal canto suo, sta perdendo il controllo dei mari prospicenti la Cina, con le Filippine in lento allontanamento da Washington e la Corea del Sud fatalmente attratta dal ricongiungimento con il Nord. L’America deve quindi tenersi stretta Tokyo (e l’India assediata dai tentacoli della Nuova via della seta). Non è un caso, quindi, che sul tema delle tariffe doganali Trump abbia di fatto concesso un’esenzione speciale per il Giappone, includendolo solo nei casi di sanzioni erga omnes.

L’Europa è il secondo pianeta del sistema solare ed è quindi più fredda del Giappone e più calda della Cina. È difficile sottovalutare l’effetto che una guerra commerciale americana all’auto tedesca, se portata fino in fondo, potrebbe avere sull’economia dell’intera Europa. Le borse europee hanno preso perfettamente coscienza di questi rischi e li hanno combinati con i travagli strategici del comparto automobilistico globale. Nonostante il piccolo deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro, laddove a inizio anno era previsto 1.25-1.30, l’Europa azionaria non è riuscita a stare nella scia dell’America.

Quanto alla Cina, lungi dall’essere parte di quella chimerica di cui si è favoleggiato molto negli anni scorsi, essa è oggi il pianeta strategicamente più distante dall’America. Una cortina di ferro elettronica sta cominciando a prendere forma tra i due paesi. La separazione delle filiere produttive richiederà molti anni, ma è ormai avviata. Un cambio di orientamento politico a Washington potrà variare la velocità del processo, ma non il senso e la direzione. Le borse cinesi hanno preso atto di questo nuovo mondo e sono scese in modo pronunciato nonostante i dazi non abbiano ancora prodotto danni immediatamente evidenti e nonostante le contromisure di rilancio fiscale e monetario adottate da Pechino e la rilevante svalutazione del renminbi.

Che sarà del sistema solare e delle divergenze di performance tra sole e pianeti nei prossimi anni?

Il sole diventerà più tiepido, ma non si raffredderà subito del tutto. Le dure leggi del ciclo politico dicono che una rivoluzione, in regime di alternanza, produce gran parte dei suoi effetti il primo anno. Mitterrand fece tutto quello che aveva da fare il primo anno e passò i restanti tredici anni all’Eliseo a mantenere, correggere e perfino smontare parzialmente quello che aveva prodotto all’inizio.

Trump, dovesse anche essere confermato nel 2020 e rimanere alla Casa Bianca fino al 2024, ha già fatto il 90 per cento di quello che realisticamente potrà comunque realizzare, ovvero riforma fiscale, deregulation, revisione delle politiche commerciali e riconquista della Corte Supr ema. Gl i r imar r anno i l mantenimento e l’implementazione delle sue iniziative e la politica internazionale, cose molto importanti ma non necessariamente determinanti per i mercati.

D’altra parte, un’eventuale uscita di scena di Trump, ridotto ad anatra zoppa da un Congresso democratico fra un mese o sostituito fra due anni alla Casa Bianca, porterà con sé, di rilevante per i mercati, un piano per le infrastrutture nel 2020 e aumenti delle tasse dal 2021 in caso di vittoria democratica. Il piano per le infrastrutture potrà compensare psicologicamente, almeno in parte, il venir meno degli effetti positivi della riforma fiscale tra fine 2019 e 2020. Gli aumenti delle tasse, se e quando ci saranno, saranno ovviamente negativi per i mercati.

I pianeti, dal canto loro, o non avranno correzioni di rotta strategiche (Giappone) o accelereranno la riconversione già programmata al mercato interno come motore della crescita (Cina) o si avvicineranno un po’ al sole americano adottando come questo politiche fiscali più espansive (Europa in caso di riassetto politico l’anno prossimo).

Difficilmente, quindi, rivivremo le clamorose divergenze di performance tra il sole e i pianeti più lontani che hanno caratterizzato il 2018. Non per questo suggeriamo di puntare fin da subito su una chiusura di questa divergenza. Per il momento ci limitiamo a dire che comincia a essere tardi per puntare tutto sugli Stati Uniti e sui settori finora trainanti delle borse americane. Venendo al breve, quella che Chris Potts ha previsto da tempo come la terza ondata di rialzo dei rendimenti americani è in pieno svolgimento, aiutata anche da fattori tecnici. Questa ondata non spezzerà la schiena al rialzo azionario di Wall Street, ma lo costringerà a procedere a velocità ridotta per qualche mese. L’Italia dei titoli di stato offre valore, in particolare nella parte uno-due anni. Un po’ di valore anche nelle borse europee, perché i dazi sulle auto stanno trasformandosi da guerra lampo a lunga trattativa.

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