La strada verso la normalizzazione

A cura di Hermes IM

Il panorama degli investimenti del 2017 è stato dominato dagli shock geopolitici (Corea del Nord, connessioni russe con la Casa Bianca, ritorno del populismo in Europa), ma tutto questo non ha portato incertezza sui mercati. Apparentemente solo la volatilità macroeconomica si tradurrà in oscillazioni sui mercati finanziari, e con una crescita costante diffusa, seppure poco entusiasmante, e liquidità in abbondanza, anche in un momento in cui la Fed compie comincia a ridurre il proprio bilancio, gli asset rischiosi hanno continuato a raggiungere nuovi massimi.

Che la crescita globale sia migliore e più sincronizzata di quanto lo sia stata per molti anni è incontestabile, eppure la seconda più lunga fase rialzista azionaria nella storia del dopoguerra resta decisamente poco considerata, tanto che gli investitori sembrano in gran parte spinti dal timore di perdere un’occasione piuttosto che da una convinzione vera e propria. I mercati sembrano poco propensi a dare credito al percorso di rialzo dei tassi della Fed, ma se l’inflazione comincerà nel 2018 esiste la possibilità che i mercati reagiscano negativamente.

Il 2018 sarà guidato dal modo in cui i mercati reagiranno all’avvio di una graduale riduzione degli stimoli di politica monetaria non convenzionali che hanno sostenuto l’economia negli ultimi otto anni in risposta alla crisi finanziaria globale. Questo orientamento meno accomodante porterà gli investitori a riconsiderare i fondamentali di tutti i loro investimenti: la leva finanziaria e l’autocompiacimento dovrebbero essere evitati a tutti i costi. Gli investitori più flessibili, quindi, si troveranno nella posizione migliore per affrontare un ambiente di investimento in cui la prudenza sarà auspicabile.

A dispetto della dimostrazione di forza, la strada verso la normalizzazione politica sarà lunga e lenta, offrendo altri due anni di tassi reali negativi negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone e nella zona euro. La frustrazione è dovuta al fatto che con un gap di produzione e una crescita dei salari limitata la ripresa non ha ancora generato un’inflazione sufficiente a innescare le consuete funzioni di reazione delle banche centrali. Molti potrebbero cercare cambiamenti di paradigma.

Dopo 14 mila miliardi di dollari di QE iniettati dalle banche centrali, la domanda che sorge spontanea è come sia possibile prosciugare il pozzo evitando conseguenze impreviste. Le forze in gioco suggeriscono che le banche centrali non possono permettersi di sorprendere i mercati. La Federal Reserve farà piccoli passi avanti con la sua seconda leva, il quantitative tightening, per allentare la pressione sui tassi, permettendo loro di arrivare a un massimo molto più basso di quello a cui eravamo abituati. L’unica grande economia con inflazione è il Regno Unito, sebbene i rialzi della Bank of England saranno limitati durante la Brexit. La BCE prevede di ridurre ulteriormente il QE nel 2018, ma sarebbe indubbiamente un passo indietro se le crescenti tensioni politiche in Europa finissero col disgregare l’unione economica necessaria all’unione monetaria.

Quanto alla Cina, anche se il presidente cinese Xi si interessa delle bolle dei prezzi degli asset, del debito delle imprese e dello shadow banking, l’inasprimento dovrebbe essere limitato. Il rischio più grave è rappresentato dai dazi commerciali statunitensi che, come negli anni Trenta, potrebbero diffondersi a macchia d’olio. Resta da vedere se le relazioni tra Stati Uniti e Cina si complicheranno riguardo alla questione della Corea del Nord. Dunque, a distanza di dieci anni, questi fattori danno credito alla visione del “new normal” in termini di tassi e rendimenti bassi ancora a lungo, piuttosto che di un imminente ritorno dei livelli pre-crisi. Pertanto, il massimo che ci si potrebbe attendere per il 2018 non è che la politica torni a inasprirsi, ma che diventi semplicemente meno accomodante.

Sarebbe facile non dare troppa importanza alla mancanza di volatilità sui mercati del credito nel 2017 a fronte di uno scenario di elevati rischi geopolitici e finanziari. I mercati liquidi del credito si sono ristretti e compressi. Quelli meno liquidi hanno visto un maggior numero di investitori, alla ricerca di strumenti più complessi, illiquidi e di un qualsiasi altro premio per il rischio disponibile.

Dal punto di vista dell’offerta, sul credito abbiamo visto strumenti non più indicati per banche e assicurazioni dell’era post Solvency II e Basilea III. Alcuni mercati sembrano caricati a molla e gli eterni pessimisti si sono scottati così spesso che ormai anche loro tendono al consenso sulle posizioni lunghe! Per noi questo significa che i mercati del credito nel 2018 saranno ampiamente caratterizzati da meno beta e più alpha, dove i rendimenti potranno essere conseguiti attraverso la selezione di titoli ed emittenti, piuttosto che attraverso la leva finanziaria, e allargando ancora di più gli orizzonti di investimento al fine di avere a disposizione quante più opportunità possibili.

Non vi è dubbio che alla fine assisteremo a una correzione di qualche tipo, ma dato l’attuale posizionamento, molto lontano da coverage ratio estremi sui tassi e con un anno potenzialmente più prevedibile in termini di crescita per le maggiori economie, dovremo aspettare ancora qualche tempo per vederla.

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