L’alfabeto della ripresa: U, V o W? Lo scenario secondo Capital Group

“L’espansione decennale dell’economia globale ha registrato una brusca battuta d’arresto a causa dell’epidemia di coronavirus. Il Pil Usa è sceso del 5% nel primo trimestre e un calo ancor più importante è atteso per il secondo trimestre. Altre notizie negative ci attendono nel breve periodo, prime fra tutte quelle sul bilancio di vite umane tragicamente colpite dal virus. Il probabile tasso di disoccupazione ai massimi storici avrà un impatto duraturo sull’economia e molte imprese stanno già fallendo. La strada della ripresa economica dipenderà dallo sviluppo del virus e dalla risposta della sanità pubblica. Ci aspettiamo una ripresa a ‘U’ più graduale con qualche scossone lungo la strada. Ma, nel momento in cui la riapertura delle attività economiche sarà più diffusa, alcuni settori come viaggi e ristorazione potrebbero registrare una ripresa a ‘V’. Nel lungo periodo c’è un risvolto positivo: dato che il rallentamento è il risultato dei vari lockdown e non di particolari problemi nei fondamentali economici sottostanti, una ripresa robusta è possibile. Oggi possiamo vedere l’altro lato della valle e sapere come potrebbe essere la ripresa dopo il rilassamento delle politiche, rassicurandoci”. E’ l’analisi di Robert Lind, Economista di Capital Group. Di seguito la sua visione sugli scenari della ripresa economica post-Covid.

Il Pil reale dell’Eurozona è sceso del 3,8% nel primo trimestre 2020, con notevoli debolezze di Francia, Italia e Spagna. L’attività manifatturiera si è indebolita fino ad attestarsi sui livelli raggiunti durante la crisi finanziaria globale. L’attività del terziario ha toccato i minimi storici.

A seguito di una parziale riapertura dell’economia dell’Eurozona, la maggior parte degli esperti prevede una ripresa nella seconda parte del 2020 ma, anche in tal caso, è improbabile che si riesca a tornare agli stessi livelli di attività del periodo antecedente il virus, dato che le stime indicano una contrazione del Pil dell’Eurozona dell’8-10% nel 2020 prima di una ripresa del 4-6% nel 2021.

Secondo gli ottimisti, l’enorme shock economico dovuto allo shutdown richiesto dal coronavirus ha messo in luce i limiti delle istituzioni dell’Eurozona responsabili delle politiche dell’Unione e potrebbe costringere il mondo politico ad apportare alcuni cambiamenti, con la costituzione di un’unione fiscale a sostegno di quella monetaria. I pessimisti ritengono invece che la portata dello shock economico potrebbe provocare una crisi esistenziale dell’Eurozona e dell’Ue nel suo complesso, portando alla frammentazione e forse persino al crollo dell’intero progetto alla base dell’Unione. In Europa, l’aumento dei premi al rischio azionario induce a ritenere che gli investitori guardino ancora con incertezza alle prospettive economiche e alla potenziale stabilità dell’Eurozona. Tuttavia un’attenuazione del rischio di coda di una frammentazione dell’Unione potrebbe contribuire a ridurre i premi al rischio azionario nei principali mercati europei.

Nonostante questo difficile contesto, è possibile individuare alcune interessanti opportunità di investimento di lungo periodo tra le azioni quotate sui listini europei. I titoli azionari europei sembrano convenienti rispetto a quelli di altri mercati. Inoltre, molte di queste società non dipendono esclusivamente dalla solidità dell’economia europea interna, dato che hanno una diffusione globale e flussi di ricavi diversificati.

Si possono distinguere tre possibili problematiche che possono emergere nel lungo periodo. La prima riguarda l’evolversi del Covid-19 nel lungo termine: sicuramente dovremmo conviverci per i prossimi due anni, con la reale possibilità di vedere effetti di lungo periodo sul comportamento dei consumatori e delle società. In particolare, il consumo sarà più cauto soprattutto in quei settori come la ristorazione, l’intrattenimento e i viaggi. Anche le società saranno più ponderate negli investimenti.

La seconda è relativa alla natura degli stimoli che sono stati implementati, più rapidi e di maggiore portata rispetto a quelli introdotti durante la Crisi Economica del 2008. Proprio per questo c’è il rischio che non si verifichino i naturali aggiustamento strutturali dell’economia sottostante, con possibili conseguenze per la crescita nel lungo termine.

A livello di politiche fiscali, gli Stat Uniti hanno emanato un piano fiscale pari al 50% del Pil con l’obiettivo di garantire disponibilità monetarie ai cittadini e ai consumatori. Mentre nell’Unione Europe si sono introdotti stimoli fiscali pari al 50% del Pil in aggregato con lo scopo di garantire i posti di lavoro e permettere ai lavoratori di tornare operativi una volta iniziata la fase di riapertura.

La terza infine è il sostanziale incremento del debito di lungo termine. Gli Stati potrebbero vedere un aumento del rapporto debito/Pil compreso tra il 10% e il 50%, un problema a cui dovranno fare fronte. Difficilmente i governi implementarono politiche di austerity simili a quelle viste durante la crisi finanziari globale. Sarà quindi necessario trovare altre modalità per gestire gli elevati livelli di deficit, come ad esempio le imposte sul patrimonio o nuove tasse sulle società che hanno generato alti livelli di profitto durante la crisi. Non escludiamo anche la possibilità delle banche centrali di monetizzare il debito, generando un aumento dell’inflazione.

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