L’Argentina torna nell’indice dei mercati emergenti

A cura di Pablo Riveroll, Head of Latin American equities, Schroders

Nel 1903, Schroders ha avviato la sua prima attività in Argentina, l’emissione di un bond da 185.000 sterline per la Buenos Aires Electric Tramways Company. All’epoca l’Argentina era tra le maggiori economie mondiali a livello di Pil pro capite, in competizione con le principali nazioni europee come Francia e Italia. Alla fine del 2017, il Paese era all’89esimo posto, e per gran parte degli ultimi dieci anni, è stato considerato un mercato di frontiera dal punto di vista degli investimenti.

Il 28 maggio MSCI ha re-incluso il Paese nel suo famoso Emerging Markets Index. L’Argentina fu infatti uno dei membri fondatori dell’indice alla sua nascita nel 1988, ma subì una regressione allo status di mercato di frontiera nel 2009 a causa delle restrizioni imposte sui flussi di capitale in entrata e in uscita dal Paese.

Cosa rappresenta questa “promozione” per gli investitori?

Il ritorno dell’Argentina allo status di mercato emergente è una notizia positiva per il mercato azionario nel breve termine e potrebbe portare a un afflusso netto di capitali da parte degli investitori passivi superiore a 1 miliardo di dollari. Per gli investitori attivi di lungo termine, tuttavia, l’attenzione sarà probabilmente incentrata sulla continuità delle politiche governative post-elezioni. Gli ultimi sondaggi mostrano un elettorato polarizzato.

Al di là delle elezioni, anche in caso di continuità politica, la strada verso la ripresa economica resterà sensibile alle oscillazioni della crescita globale e alle condizioni finanziarie mondiali, date le attuali esigenze di finanziamento fiscale. Stiamo monitorando gli sviluppi con attenzione, mantenendo per il momento un approccio prudente.

La storia degli investimenti in Argentina

Negli anni, chi ha investito in Argentina ha sperimentato un’ampia volatilità, anche per gli standard dei mercati emergenti. Ciò è stato particolarmente evidente negli ultimi anni, con l’MSCI Argentina Index che è tornato vicino al 74% – in dollari, prima di scendere attorno al 51% nel 2018. Infatti, il Paese è stato uno dei mercati azionari emergenti più volatili sin dal lancio dell’MSCI Emerging Markets Index. Anche se il peso del Paese all’interno dell’indice ha superato il 5% nei primi anni di esistenza di quest’ultimo, oggi l’Argentina rappresenta solo lo 0,3% all’interno dell’indice MSCI Emerging Markets e soltanto il 2,5% nell’indice MSCI Latin America. Di conseguenza, il suo impatto sulle performance totali degli indici è limitato.

Pur essendo stata tra le economie più prospere del mondo all’inizio del 20esimo secolo, l’economia argentina, vista la sua natura più aperta e dipendente dalle esportazioni, specialmente agricole, è stata più esposta agli shock esterni. I diversi periodi di politiche pubbliche interventistiche, in gran parte avvenuti sotto la guida di diverse fazioni del Partito Peronista, hanno creato disequilibri nell’economia, inclusi periodi di iperinflazione, accumulo di debito estero e conseguente default (il più recente nel 2014), contribuendo a diverse svalutazioni monetarie. Di conseguenza il Paese detiene il record di default sul debito, incluso il più ampio default mai visto.

Le riforme hanno portato all’upgrade dell’Argentina

L’elezione del Presidente Mauricio Macri del partito “Proposta Repubblicana” ha creato nel 2015 ottimismo attorno alla possibilità che un ritorno verso politiche economiche più convenzionali, insieme a riforme favorevoli per il mercato, potesse supportare una ripresa sostenibile dell’economia. Sotto la guida di Macri, i controlli valutari sono stati rimossi. Questo è stato uno dei principali fattori che hanno permesso la “promozione” dell’Argentina nell’indice MSCI.

Macri ha intrapreso misure per ridimensionare un gonfiato settore pubblico e tagliare il deficit fiscale. Nell’ambito della manovra di austerity, i sussidi pubblici sono stati ridotti in settori come energia e trasporti e sia la riforma fiscale che quella pensionistica sono state approvate. Tuttavia, in parte a causa della mancata maggioranza della sua coalizione al congresso, Macri ha perseguito un ritmo abbastanza lento di aggiustamento economico, definito da molti “Gradualismo”, finanziato da capitali esteri.

Il ritorno alla crisi economica nel 2018

Il processo di riforme ha funzionato bene nei primi anni dell’amministrazione, ma l’inflazione è rimasta elevata, superiore al 20% all’anno. Nel 2018, la crescita del dollaro in seguito all’aumento dei tassi negli Usa, il deterioramento dei conti esteri e fiscali e il crollo delle esportazioni agricole a causa della siccità, hanno innescato una crisi valutaria e l’economia è entrata in recessione.

Dopo un forte deprezzamento del Peso, la Banca Centrale ha alzato i tassi di interesse, portandoli a oltre il 60% e il Governo è stato costretto a concordare un programma di prestiti da 56 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), il più grande mai concesso dall’istituto.

La crisi ha portato a una riduzione nei miglioramenti delle politiche, e i dazi sulle esportazioni sono stati reintrodotti temporaneamente fino alla fine del 2020. Nel frattempo, i prezzi di diversi beni di consumo sono stati congelati, nello sforzo di limitare l’inflazione e supportare i consumatori in vista delle elezioni.

L’upgrade nell’indice è una notizia positiva, ma l’incertezza rimane

Riteniamo che l’upgrade dell’Argentina abbia il potenziale per rivelarsi una notizia molto positiva per gli investimenti nel Paese. Inoltre, è ora meno probabile un ritorno al controllo sui capitali, dato che una delle condizioni per la “promozione” nell’indice era proprio l’eliminazione di tale misura. Tuttavia, l’upgrade è arrivato in un periodo di incertezza, in cui l’economia è in recessione, l’inflazione non è controllata e le elezioni presidenziali sono all’orizzonte, ad ottobre. L’indice di gradimento del Presidente Macri è diminuito e sono aumentate invece le prospettive di un ritorno al potere del Partito Peronista.

La preoccupazione più immediata per gli investitori riguarda il risultato delle elezioni. La capacità del Governo di domare l’inflazione in aumento e di far ripartire l’economia rappresenteranno probabilmente due fattori chiave. Le prospettive per tali misure sono incerte e di conseguenza anche quelle per le riforme di lungo termine e circa la capacità del Paese di gestire l’ampio deficit estero. Il quadro dovrebbe diventare più chiaro dopo il 22 giugno, data entro cui i candidati dovranno annunciare la loro intenzione di presentarsi alle elezioni, anche se il primo turno di votazioni non avverrà prima del 27 ottobre.

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