L’arte del negoziato e la parola che inizia per “R”

Di Ann-Katrin Petersen, Vice President, Global Economics & Strategy di AllianzGI

Donald Trump sta negoziando contemporaneamente diverse questioni di politica commerciale, con esiti potenzialmente diversi.

  • Questa settimana il presidente degli Stati Uniti è sembrato di nuovo ottimista sulle trattative con la Cina. Gli operatori di mercato sperano che lo scontro bilaterale si risolva presto, e di conseguenza il dollaro si è deprezzato.
  • Nello stesso tempo è tornata all’ordine del giorno la minaccia di una guerra commerciale con l’Unione Europea (UE). Secondo quanto riportato domenica scorsa dal Dipartimento del Commercio USA, le importazioni di auto sono un “rischio per la sicurezza nazionale”. Il presidente ha tempo fino a metà maggio per decidere dell’aumento dei dazi sulle auto al 25%. Oggi la tariffa doganale sui veicoli europei esportati in America è solo il 2,5%.

Le case europee diverrebbero molto meno competitive, almeno sui prezzi.

Come evolverà il conflitto commerciale con l’UE?

  • Con ogni probabilità, nelle prossime settimane vedremo nuove dimostrazioni di forza di Washington e Bruxelles, con la minaccia di ritorsioni. È possibile che Trump cerchi di far leva sui dazi sull’auto per ottenere concessioni dall’UE nei negoziati in corso sui beni industriali in altri settori. Tuttavia, data la crescita economica più moderata su entrambe le sponde dell’Atlantico e in considerazione del fatto che l’Europa (a differenza della Cina) non è considerata una minaccia strategica, non si può dare per scontata una rapida escalation dello scontro. La prossima riunione negoziale è prevista per i primi di marzo.
  • Ma se non si trovasse un accordo? Un aumento dei dazi USA sulle importazioni di auto sarebbe un duro colpo per l’economia europea, sostanzialmente aperta al commercio e con aziende altamente integrate nella filiera globale. La crescita dell’export ne risentirebbe notevolmente, in particolare in Germania, Italia e Regno Unito, dove oltre il 10% delle esportazioni di auto è destinato agli USA. Sono inoltre probabili degli effetti secondari. In una situazione di continua incertezza le imprese potrebbero essere più caute nell’investire e i consumatori rinviare gli acquisti. In breve, risuonerebbe ancora la parola che inizia per “R”: i rischi di recessione aumenterebbero. Nello stesso tempo, l’Europa ha un margine di manovra limitato per allentare le politiche monetarie e fiscali in risposta agli effetti economici delle decisioni di politica commerciale. Dopo tutto, è appena cominciata la normalizzazione della politica monetaria e molti governi europei sono fortemente indebitati.

Nel frattempo, il verbale del FOMC pubblicato mercoledì ha confermato che la Federal Reserve aspetterà prima di alzare ulteriormente i tassi e sarà flessibile nella normalizzazione del bilancio (in termini di volume totale e di singole posizioni in titoli). In altre parole, la Fed potrebbe ridimensionare il portafoglio di obbligazioni governative e MBS più lentamente per drenare meno liquidità dai mercati.

Nel complesso, ribadiamo la nostra visione strategica:

  1. I rischi politici terranno sotto pressione i mercati, alimentando la volatilità.
  2. Con la fase di maturità del ciclo economico, nell’immediato è possibile un rallentamento della crescita globale, ma non vediamo segnali di recessione imminente.
  3. Le Banche Centrali agiranno in modo più prudente, ma porteranno avanti il processo di normalizzazione a fronte della solidità dei mercati del lavoro e di output gap positivi.

La settimana

In settimana saranno in primo piano:

  • negli USA il deflatore PCE (venerdì), il parametro di inflazione preferito dalla Fed. Nonostante il previsto rallentamento della crescita, siamo convinti che la solidità del mercato del lavoro porterà a maggiori aumenti salariali e a un ulteriore graduale rialzo dell’inflazione core (e non solo negli USA);
  • nel Regno Unito la politica. A un mese circa dalla Brexit, si respira ancora grande incertezza e non è chiaro se il parlamento voterà di nuovo sull’accordo per l’uscita dall’UE mercoledì prossimo. La ratifica dipenderà dalla capacità della Premier Theresa May di ottenere concessioni sulla questione del backstop irlandese a Bruxelles. Con l’approssimarsi del 29 marzo, aumenta la probabilità di una proroga del periodo negoziale per evitare una Brexit senza accordo.

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Una Fed più “paziente” e le ulteriori misure di stimolo in Cina hanno risollevato il sentiment sul mercato, ma nel medio periodo potrebbero non essere sufficienti a controbilanciare la debolezza della crescita economica e degli utili a livello globale, soprattutto se permangono le tensioni commerciali.

Nel complesso, in vista di una fase finale del ciclo caratterizzata da rendimenti di mercato (“beta”) più moderati che negli ultimi dieci anni e da una maggiore volatilità, per gli investitori sarà sempre più importante un approccio attivo sia nell’asset allocation sia nella selezione titoli. Tale approccio consente di trarre vantaggio dalla volatilità: le correzioni possono offrire interessanti opportunità di ingresso nel mercato e i rally rappresentare occasioni per prendere profitto.

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