Le quattro fasi del populismo

A cura di Stephanie Kelly, Political Economist di Aberdeen Standard Investments
Ogni relazione attraversa quattro fasi. Prima c’è la fase dell’euforia. È quella in cui si perdona all’altro ogni difetto e i pregi sembrano superare di gran lunga gli aspetti negativi. La seconda fase è quella dell’attaccamento iniziale. L’euforia diminuisce gradualmente e viene sostituita da uno stato di appagamento. Poi, inevitabilmente, arriva la crisi. Le cose cambiano all’improvviso e si arriva a una svolta decisiva. Se, e solo se, si riesce a superare con successo la crisi, si entra in una fase di profondo attaccamento. A questo punto la relazione si stabilizza e dura a lungo.
Nel 2019, la relazione tra i cittadini e i politici populisti plasmerà lo scenario politico anche per i mercati. Ci aspettiamo che questo rapporto segua lo stesso schema in quattro fasi. La fase dell’euforia è durata dal 2016 al 2018: gli elettori hanno scelto in massa i candidati populisti abbracciando le loro battaglie. È stata in parte una reazione alle difficoltà economiche che hanno fatto seguito alla crisi finanziaria globale, ma anche il riflesso di un risentimento che maturava da tempo nei confronti delle élite e degli effetti della globalizzazione sullo standard di vita nei Paesi sviluppati. Si tratta di problemi complessi ai quali i partiti populisti hanno tentato di dare soluzioni semplici per attirare le masse. E buona parte dell’elettorato ci ha creduto.
Questa catarsi euforica si è concretizzata in una serie di terremoti elettorali. Abbiamo assistito alla vittoria di Victor Orban in Ungheria, di Rodrigo Duterte nelle Filippine, del partito Diritto e giustizia in Polonia e di Jair Bolsonaro in Brasile. Nel Regno Unito, la campagna per il Leave, fiore all’occhiello del partito populista UKIP, ha portato alla vittoria nel referendum sulla Brexit. Negli Stati Uniti, Donald Trump è stato eletto Presidente per il suo programma basato sul protezionismo commerciale e sul controllo dell’immigrazione. In Italia, la Lega e il Movimento 5 Stelle quest’anno sono riusciti a formare un governo di coalizione.
Dopo tali sconvolgimenti, il rapporto tra la popolazione e i partiti populisti ha attraversato diverse fasi ottimistiche tipiche dell’attaccamento iniziale. Finora l’elettorato ha avuto quello per cui ha votato. Negli Stati Uniti, Trump ha introdotto i tagli fiscali e il protezionismo commerciale. Nel Regno Unito è stato avviato il processo per la Brexit, e l’uscita dall’Unione Europea è prevista per marzo 2019. Il governo italiano ha programmato nuove misure in campo fiscale con una politica espansiva e un programma di tagli.
Nel corso del 2019 entreremo però probabilmente nella fase della crisi, quando inizieranno a farsi sentire gli effetti negativi di queste politiche. I populisti eletti dovranno confrontarsi con gli aspetti pratici del governo, probabilmente in uno scenario economico più debole. Negli Stati Uniti, i Democratici ora controllano la Camera dei Rappresentati e minacciano di indagare continuamente sulle decisioni del Presidente, paralizzando la politica locale. Per riconquistare l’attenzione dei media, Trump dovrà alzare la posta in gioco con provvedimenti più appariscenti, per esempio attraverso politiche commerciali ancora più aggressive. È probabile che questi provvedimenti colpiscano maggiormente i suoi sostenitori più fedeli dove fa più male, ovvero nel portafoglio.
In Italia, il nuovo governo dovrà affrontare la realtà intrinseca in una coalizione composta da partiti estremamente diversi. Dovrà anche tentare di far funzionare il suo piano fiscale senza intaccare la capacità del Paese di rimborsare il debito. I contrasti con l’UE e l’impatto sui rendimenti saranno ostacoli difficili da superare, con la costante minaccia di nuove elezioni o dello scoppio di una crisi nell’Eurozona.
Nel frattempo, il Regno Unito entrerà nella fase di crisi quando la Brexit inizierà a farsi sentire e il Paese si troverà di fronte una nuova realtà, con o senza accordo. Emergerà l’impossibilità di mettere in pratica alcune idee populiste dei sostenitori della Brexit, che hanno promosso l’indipendenza dall’UE contemporaneamente al proseguimento, senza attriti, degli scambi commerciali con l’Europa.
In breve, i politici populisti saranno messi alla prova nel corso del prossimo anno. Sarà una prova dura anche per gli elettori, perché i populisti cercheranno di sviluppare un attaccamento profondo attraverso la retorica e politiche non ortodosse. Per qualche populista, un contesto economico e politico difficile potrebbe rappresentare un vantaggio: darebbe al popolo qualcosa contro cui prendersela. Resta da vedere se le sfide del 2019 spingeranno gli elettori a cambiare opinione o se li avvicineranno maggiormente a questi partiti.
 Sarà interessante inoltre soffermarsi sulla reazione dei politici più moderati. In Germania, Paesi Bassi e Svezia, i moderati hanno adottato un approccio più populista proprio per allontanare i loro sostenitori dai partiti veramente populisti. La maggior parte preferirebbe, comprensibilmente, che i populisti soccombessero sotto il peso delle loro stesse politiche.
Il fatto è che non ci sono soluzioni semplici per nessuno, bensì problemi profondamente radicati nell’economia moderna globalizzata. Nel 2019 questa realtà probabilmente emergerà con più forza. Chissà se gli elettori resteranno al fianco dei partiti populisti in questo momento di difficoltà. Nel frattempo, i mercati probabilmente faranno ancora fatica a scontare il populismo, indipendentemente dalla fase in cui si trova.

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