Le scelte strategiche d’investimento per il 2018 di MoneyFarm

A cura di MoneyFarm
I portafogli strategici sono il risultato di un lavoro di ricerca specifico su tutte le principali asset class. Il documento racchiude le valutazioni e le previsioni del Team di Asset Allocation e Comitato Investimenti Moneyfarm, con lo scopo di individuare i rendimenti attesi (a 10 anni), la volatilità attesa e la correlazione.
 Azionario. Le alte valutazioni a livello di price/earnings (prezzo delle azioni in rapporto agli utili) rendono le azioni storicamente care. Anni di politiche monetarie espansive hanno spinto i corsi azionari ai massimi di sempre e sono relativamente poche le opportunità di investimento con valutazioni di partenza al di sotto della media storica. Seguendo questo ragionamento, notiamo che i mercati emergenti presentano a oggi un miglior punto di partenza per il rendimento atteso, anche se ovviamente bisogna tenere conto della maggiore incertezza relativa a questa asset class.
Se ad esempio guardiamo all’azionario statunitense, dove per l’S&P500 abbiamo dati disponibili dal 1927, notiamo come la relazione tra fondamentali e successiva performance delle azioni sia decrescente; in altre parole, più alte sono le valutazioni di partenza, minore è il rendimento che potremo attenderci nei successivi 10 anni. D’altro lato, notiamo come gli utili societari mostrino una solidità che non si vedeva dal 2009/2010. Con i multipli in espansione, riteniamo che il vero carburante delle performance dell’anno scorso siano stati i profitti in crescita delle società. Crediamo che anche per il 2018 sarà fondamentale valutare il peso degli utili.
Un altro tema attuale sul versante azionario è la volatilità molto bassa. Il barometro del rischio si è mosso attorno ai livelli più bassi di sempre. La volatilità è cresciuta improvvisamente in corrispondenza di eventi come il crollo di mercato del 1987, la crisi del fondo Long Term Capital Management, la parabola delle dot-com, la crisi del 2007-08, la crisi dell’Eurozona e la svalutazione dello Yuan nell’agosto 2015, ma dopo questi eventi l’indicatore è tornato a scendere, per poi rimanere su livelli bassi anche per periodi prolungati. Riteniamo che la volatilità eccezionalmente bassa raggiunta quest’anno sia parte di un ciclo, come se ne sono già visti in precedenza (seppur mai con questa intensità). Per i prossimi anni è logico aspettarsi una variabilità dei rendimenti più alta rispetto al passato recente, che si rifletterà in un peggioramento complessivo del profilo rischio/rendimento per l’asset class azionaria.
 Obbligazioni governative e inflazione. Il 2018 a nostro avviso sarà un anno importante per tutto il comparto obbligazionario, specialmente per quanto riguarda il segmento governativo. Nel prossimo anno la politica di tapering della Fed entrerà nel vivo e anche le misure di stimolo messe in campo dalla Bce con ogni probabilità verranno progressivamente ritirate. I fondamentali economici (crescita del Pil e inflazione) sembrano ormai abbastanza solidi da non giustificare più un impegno così profondo da parte dell’istituto di Francoforte e le dichiarazioni dei vari membri del board della banca centrale suggeriscono una costante riduzione e uscita dal programma di quantitative easing.
Il ciclo elettorale e fiscale, inoltre, non sembra essere del tutto allineato a quello monetario. Negli Usa, la riforma fiscale di Trump, approvata a dicembre 2017, causerà probabilmente un aumento del deficit pubblico nei prossimi in anni. L’Eurozona è invece caratterizzata da alcune istanze sociali molto accese con cui la politica si troverà a fare i conti. Probabilmente vedremo un allentamento fiscale generalizzato e pertanto riteniamo che l’offerta di debito pubblico non si contrarrà in modo proporzionale alla domanda.
In aggiunta a ciò si noti che i mercati stanno ancora prezzando una restrizione della politica monetaria inferiore a quella dichiarata dai policy maker. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, le proiezioni dell’organo direttivo della Fed implicano un percorso di rialzo dei tassi maggiore di quello previsto dai mercati. Nell’Eurozona, dove comunque non sono disponibili proiezioni ufficiali, gran parte del percorso di normalizzazione dei tassi è stato invece rimandato a dopo il 2021.
Se dovessimo ritagliare un ruolo all’inflazione di questi 10 anni sarebbe quello del gigante dormiente. L’inflazione è rimasta ostinatamente bassa nella maggior parte dei paesi sviluppati ed è lecito pensare che questo abbia avuto un impatto significativo sui prezzi degli asset finanziari: ha mantenuto i tassi obbligazionari generalmente bassi e ha spinto gli investitori verso attività sempre più rischiose. Il processo di normalizzazione monetaria nei mercati sviluppati potrebbe essere lungo e cauto e questo dovrebbe rendere meno probabile l’impennata dei prezzi. Da tenere d’occhio sarà sicuramente la dinamica del mercato del lavoro: tradizionalmente, la teoria economica ha sostenuto un trade-off tra tasso di disoccupazione e inflazione, tuttavia, negli anni, la validità di questo modello è stata messa in discussione. È possibile che l’inflazione sia semplicemente in ritardo, che essa arriverà nel 2018 invece che nel 2017. Le aspettative sono quindi per un’inflazione in crescita, seppur moderata.
Per quanto riguarda l’asset allocation strategica, il rendimento atteso per le obbligazioni Inflation Linked (gli strumenti il cui andamento è legato all’inflazione) è più alto di quello dei corrispettivi bond nominali. Questo si spiega essenzialmente con la minor sensibilità di questi ultimi ai movimenti del tasso nominale (a parità di scadenza, gli Inflation Linked presentano infatti una minor reattività al cambiamento dei tassi d’interesse) e con le aspettative di inflazione attualmente molto smorzate.
Obbligazioni societarie e dei Paesi emergenti.  Per quanto riguarda le obbligazioni societarie, i fondamentali (tassi di default, metriche di profittabilità delle società, ecc.) rimangono solidi. Un contesto di tassi bassi e una discreta crescita economica ha favorito questa asset class che dal punto di vista del rendimento aggiustato per la volatilità è stata la vera regina degli ultimi anni. Tuttavia, dopo questa grande rincorsa, le valutazioni sono al momento piuttosto elevate.
Per questo motivo l’asset allocation strategica prevede ritorni attesi più bassi rispetto al passato. Il contesto caratterizzato da tassi bassi ha spinto gli investitori a prendere più rischio, e questo ha generato molta domanda non solo di azioni ma anche di bond societari, spingendo in basso gli spread e in alto le valutazioni. A favore dei bond societari rema il contesto economico solido: non ci aspettiamo un immediato deterioramento dei fondamentali dovuti a uno shock economico.
 La situazione per i bond governativi dei paesi emergenti è molto simile. Il rendimento è vicino ai minimi storici, a fronte di fondamentali in miglioramento. Se guardiamo alle prospettive strategiche di lungo termine, il debito emergente rimane comunque in una posizione migliore rispetto al resto del mondo obbligazionario. Resta da considerare il rischio valutario ma per ora i flussi a sostegno delle valute sono incoraggianti e riflettono la correlazione positiva tra crescita globale e sentiment sui mercati emergenti.

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