L’economia cambia più rapidamente delle statistiche

A cura di Matteo Ramenghi,  Chief Investment Officer UBS WM Italy

In Europa la manifattura ha subìto una brusca frenata e l’indice PMI (indicazioni dei direttori degli acquisti) è sceso a 45,7 in settembre, un livello considerato recessivo. Nelle principali economie si è registrata una contrazione della produzione negli ultimi mesi, soprattutto in Germania. La guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina, e che rischia di sconfinare in Europa, insieme alla Brexit mina la fiducia delle imprese, che reagiscono tagliando gli investimenti in nuova capacità produttiva, un’importante voce del PIL.

Il modello economico europeo è più vulnerabile di altri in questo scenario

La strategia economica seguita dall’Europa è centrata su competitività ed export, rendendoci un’economia più aperta ed esposta a shock esterni. È una differenza importante rispetto agli Stati Uniti che, essendo concentrati sulla domanda interna, risultano meno esposti. Nella zona euro le esportazioni lorde rappresentano il 28% del PIL, oltre il doppio rispetto agli Stati Uniti e quasi 10 punti percentuali più di Giappone e Cina.

Quest’ultima è cresciuta soprattutto grazie all’export, ma sta ora trasformando il proprio modello economico in favore della domanda interna.

Comunque, anche se l’economia europea ha rallentato la propria corsa, si è trattato di una decelerazione meno marcata rispetto a quella della produzione industriale e si registrano ancora tassi di crescita positivi per il PIL.

Questa dicotomia si spiega con i cambiamenti del tessuto economico, che non vengono riflessi correttamente nelle principali statistiche economiche. Infatti, gli indicatori economici che utilizziamo più spesso sono stati concepiti dopo la seconda guerra mondiale, quando l’economia era fortemente sbilanciata nei confronti della produzione industriale. Abbiamo sotto gli occhi tanti esempi di prodotti industriali che si sono smaterializzati o che si sono trasformati in servizi.

L’industria della musica e cinematografica ha visto una drastica riduzione del proprio prodotto «fisico» a favore di file scaricati da Internet. Girando per le principali città europee non si può non notare come anche l’automobile spesso venga offerta come un servizio dai diversi operatori di car sharing. Le nuove generazioni sono meno legate al possesso fisico dei beni e vivremo un’accelerazione in questa direzione.

A livello globale probabilmente l’Europa è l’area economica più orientata all’industria, ma anche nel nostro caso i servizi rappresentano la quota maggiore dell’economia. In Germania la manifattura rappresenta solo un quinto dell’economia, in Italia un sesto, in Francia un decimo. Proprio per queste ragioni, una recente ricerca della nostra Investment Bank suggerisce che, nel caso di una contrazione significativa della manifattura, c’è solo il 30% di possibilità che l’intera economia entri in recessione.

Tutto ciò non significa che una contrazione dell’economia non sia possibile nel prossimo anno. Infatti, se il periodo d’incertezza politica dovesse protrarsi molto a lungo – tra protezionismo e Brexit – la gelata sul fronte degli investimenti potrebbe contagiare occupazione e consumi. Probabilmente è proprio questo che temono le principali banche centrali globali, che hanno reagito con tempestività tagliando i tassi d’interesse e immettendo nuova liquidità. Rendendo svantaggioso detenere liquidità, le banche centrali spingono gli investitori e le imprese ad accelerare i propri progetti di crescita, che sono vitali per far ripartire l’industria.

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