L’economia Usa non si ferma, Bce cauta

A cura di Adrien Pichoud, Economist Syz Asset Management
L’economia statunitense non si ferma: continua a crescere a un ritmo abbastanza sostenuto e a rinvigorirsi ed espandersi in termini di consumi delle famiglie, investimenti produttivi e spesa pubblica. Inoltre la possibilità di nuovi tagli fiscali prima delle elezioni di metà mandato, previste per novembre, controbilancia eventuali perdite potenziali di slancio nel secondo semestre dopo l’impennata del primo semestre. In un tale contesto il messaggio veicolato dalla Fed a giugno era inequivocabilmente positivo e chiaro: tranne nel caso in cui si verifichi un importante rallentamento, la Fed seguirà il percorso di normalizzazione della sua politica monetaria, aumentando i tassi a breve termine di 25 pb per trimestre e continuando a lasciare che il bilancio diminuisca man mano che giungono in scadenza le obbligazioni acquistate tramite il QE.
Non potrebbe infatti fare diversamente dato che ha appena rivisto al rialzo le stime di crescita del PIL, prevede che il tasso di disoccupazione raggiunga il minimo pluridecennale e assiste finalmente all’attestarsi dell’inflazione al di sopra dell’obiettivo del 2%. Sull’altra sponda dell’Atlantico il grado di visibilità sulle previsioni di politica monetaria è ora simile, ma si tratta dell’unica caratteristica in comune con gli Stati Uniti. In realtà la dinamica di crescita nell’Eurozona ha registrato un costante rallentamento nel primo semestre dell’anno e le pressioni relative all’inflazione core restano abbastanza contenute. Se nei prossimi mesi si prevede una stabilizzazione della crescita sulla base di una domanda interna sostenuta, le tensioni riguardanti il commercio mondiale e la minaccia rappresentata dall’applicazione dei dazi continueranno a penalizzare i settori industriali legati alle esportazioni.
In questo contesto di una dinamica di crescita positiva anche se più debole del previsto e di un aumento di rischi di ribasso (per non parlare dei rischi politici in Italia), Mario Draghi ha dovuto dimostrare nuovamente doti di “equilibrista”. La BCE si mantiene formalmente sulla strada della normalizzazione della politica monetaria, data la riconferma di previsioni economiche costruttive, ma i rischi di ribasso e le incertezze la portano a definire con estrema cautela le scadenze di questo percorso: una conclusione probabile, ma non certa, del QE a fine anno, e un primo rialzo dei tassi di interesse rimandato a oltre la metà del 2019.
L’idea sottostante è chiara: la BCE fa consapevolmente affidamento sulla cautela e intende mantenere condizioni finanziarie molto accomodanti fino a quando sarà maggiormente convinta che nulla intralcerà l’espansione in corso nell’Eurozona. Questo scenario di inflazione in debole crescita o bassa, che implica politiche monetarie accomodanti per un periodo più lungo, caratterizza non solo l’Eurozona, ma più o meno, Stati Uniti a parte, tutto il mondo sviluppato, Giappone e Australia inclusi.
Economie emergentiLa dinamica di crescita sta rallentando in tutti i paesi emergenti. In Cina le preoccupazioni riguardanti l’impatto dei dazi statunitensi sui settori legati alle esportazioni si sommano a uno scenario di crescita più debole. Le autorità cinesi possiedono comunque gli strumenti per gestire fino a un certo punto tali ostacoli, facendo leva sulla politica monetaria (che di recente è diventata decisamente accomodante) e sulla politica dei cambi (con un deprezzamento del 5% dello yuan nei confronti del dollaro USA in due mesi).
L’andamento della politica monetaria in generale nei ME è invece orientato verso un inasprimento delle condizioni di credito per contenere il deprezzamento delle valute e risulta in pressioni inflazionistiche provenienti dall’esterno. L’aumento dei tassi in Turchia, Indonesia, Messico, India o la fine del ciclo di allentamento monetario in Sudafrica, Brasile o Russia sono tutti elementi che testimoniano il cambiamento dello scenario macroeconomico sui mercati emergenti provocato dalla stretta della politica monetaria della Federal Reserve e dal suo impatto sulle economie basate sul finanziamento in USD.

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