L’Europa “emergente” vale ancora. Nel lungo periodo

A cura di Morningstar

L’Europa emergente è ancora un’area di opportunità per gli investitori o va affrontata con cautela? Il dubbio viene guardando i dati che mostrano una certa difficoltà della regione a tenere il ritmo dell’anno scorso. L’indice Morningstar dedicato alla parte in via di sviluppo del Vecchio continente nel 2016 è salito del 34,2% (in euro) mentre da gennaio (fino al 18 aprile), ha portato a casa +0,5%. La categoria Morningstar dedicata ai fondi specializzati sull’Europa emerging nel 2016 ha guadagnato il 27,4% mentre da inizio anno ha segnato +1%.

“Il Vecchio continente – nel suo complesso e nel breve – termine può essere considerato una zona a rischio, ma ci sono alcune aree che offrono opportunità di lungo periodo”, spiega Dan Kemp, responsabile degli investimenti di Morningstar Investment Management. “Noi siamo postivi sull’Europa emergente come lo eravamo nel 2016. Certo, si può dire che altre regioni, come ad esempio gli Stati Uniti, danno un altro livello di sicurezza. Ma là le valutazioni sono ormai troppo alte”.

Due Bronzi
All’interno della categoria dedicata all’Europa emergente, ci sono due fondi con Analyst rating positivo. Quello che da inizio anno si sta comportando meglio è BGF Emerging Europe C2 (Bronze, 3 stelle). Da gennaio ha segnato un progresso dell’1,4%, mentre nel 2016 è cresciuto del 23,4%. “Il gestore e il suo team ricercano azioni con liquidità sufficiente, preferendo quelle scambiate con un volume minimo di 10 milioni di dollari al giorno. Almeno l’80% del portafoglio deve poter essere venduto in una settimana senza influire negativamente sui prezzi. Resta così un universo di circa 250 titoli”, spiega Lena Tsymbaluk, fund analyst di Morningstar. “Il processo abbina ricerca top-down e bottom-up. Con l’aiuto del team dedicato all’Europa emergente, il manager decide l’allocazione per paese in riunioni settimanali dove si determina il potenziale relativo di ciascun paese in base a fattori macro quali Pil, crescita, valuta e inflazione. Una volta definito il peso generale dei paesi, si identificano i titoli che presentano opportunità di crescita – con particolare attenzione all’aumento dei flussi di cassa – valutando strategia, solidità del prodotto e concorrenza. Si verifica inoltre che il management aziendale sappia realizzare il potenziale di crescita e presti la dovuta attenzione alle modalità di finanziamento della crescita, privilegiando le società dai bilanci sani e con solidi flussi di cassa disponibili. I titoli devono poi presentare una valutazione interessante; per individuarli, il team utilizza una serie di parametri quali P/B (Price/Book), P/E (Price/earning) e ROE (Return on equity). Il team cerca di evitare un posizionamento in linea con il consenso di mercato, adottando un approccio leggermente contrarian”.

JPM Emerging Europe Equity D (acc) EUR (Bronze, due stelle) ha segnato -2,5% da inizio anno mentre nel 2016 ha registrato +29,7%. “Il portafoglio è costruito con un approccio bottom up, utilizzando criteri sia qualitativi che quantitativi”, spiega Tsymbaluk. “Gli analisti valutano il potenziale di rendimento delle azioni utilizzando quattro elementi: le prospettive di crescita degli utili, i dividendi, i cambi di valutazione e la divisa di riferimento. A questo punto il team definisce le prospettive di miglioramento della società e del settore in cui lavora insieme alla qualità del management, alla struttura del capitale e al vantaggio competitivo. Il portafoglio di solito è formato da 45-65 titoli. La parte core è composta da investimenti di lungo periodo. C’è una chiara preferenza per le società private, mentre il sottopeso riguarda le aziende presenti nel benchmark controllate dallo stato. Il portafoglio sovrappesa i finanziari e i consumer staple e sottopesa gli energetici e i materiali di base”.

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