L’S&P 500 dei record verso un rischio “evento”. L’asset allocation di Ubs WM

A cura di Mark Haefele, Global Chief Investment Officer, Ubs WM

Settimana nuova, record nuovo. L’indice S&P 500 ha segnato un nuovo massimo storico, sorpassando il record di gennaio. In base ad alcuni parametri, il listino registra ormai il rialzo più lungo della storia, avendo superato quello del 1990-2000.

I mercati rialzisti non muoiono di vecchiaia e per ora non si registrano segnali concreti di una recessione imminente o di un’accelerazione della stretta monetaria della Federal Reserve (Fed) in grado di porre fine alla corsa del mercato in tempi brevi. Le trimestrali americane volgono al termine e i profitti aziendali dovrebbero aver segnato una crescita complessiva del 26%. Più dell’81% delle società ha battuto le stime di utile, la percentuale più alta mai registrata dall’inizio delle rilevazioni nel 1998. Inoltre, le valutazioni non sono eccessive. L’attuale rapporto prezzo/utili passati delle azioni statunitensi, pari a 19x, supera solo del 3% la media a 20 anni. Il rialzo è quindi giustificato dai fondamentali, ma a nostro avviso le quotazioni di mercato non scontano ancora il rischio di evento a breve termine.

Ci aspettiamo che le tensioni sul fronte commerciale si aggravino ancora, prima di migliorare. La scorsa settimana abbiamo assistito all’ultimo botta e risposta a colpi di tariffe tra Stati Uniti e Cina, i cui governi hanno attuato nuovi dazi reciproci su beni del valore di 16 miliardi di dollari. L’amministrazione Trump sembra ancora intenzionata a introdurre una tariffa del 10-25% su altre importazioni cinesi per 200 miliardi di dollari. Le trattative tra i due Paesi, riprese di recente dopo oltre due mesi di pausa, si sono concluse senza progressi degni di nota. Inoltre, il mercato non sembra scontare la possibilità di effetti secondari di rilievo, come eventuali interruzioni delle catene logistiche internazionali, un calo delle assunzioni e una contrazione degli investimenti. Nel verbale della sua ultima riunione, la Fed ha avvertito che le dispute commerciali non hanno ancora determinato una diminuzione degli investimenti aziendali e delle nuove assunzioni, ma questi sviluppi potrebbero verificarsi presto in mancanza di una soluzione in tempi brevi, con «notevoli impatti negativi sulla crescita economica.

Inoltre, la forza del dollaro e l’aumento dei tassi d’interesse americani mettono in luce le fragilità del complesso dei mercati emergenti e favoriscono un ulteriore incremento della volatilità, come dimostra la recente flessione dei listini della Turchia. In un clima simile, le economie emergenti più vulnerabili, ovvero quelle con un ingente deficit delle partite correnti e un elevato fabbisogno di finanziamenti in valuta estera, si ritrovano sotto pressione, poiché gli afflussi di capitali diminuiscono. Date le dimensioni ridotte dei Paesi colpiti, questa dinamica non basta a frenare la crescita mondiale, ma può alimentare l’avversione al rischio.

Anche l’Italia continua a rappresentare un rischio e nel corso dell’autunno potrebbe far riaccendere le tensioni nell’Eurozona. I timori circa la politica finanziaria del governo hanno fatto allargare lo spread tra i Btp e i Bund tedeschi a 10 anni, dal minimo di 115 punti base (pb) toccato ad aprile a quota 279 pb il 24 agosto. La spesa per infrastrutture da 80 miliardi di euro, resa necessaria dal tragico crollo del ponte Morandi a Genova, violerebbe i vincoli di bilancio previsti dal Trattato di Maastricht. Tuttavia, la decisione di rinunciare a questo investimento per adempiere ai regolamenti europei sarebbe altamente controversa.

In termini strategici, riteniamo opportuno mantenere le posizioni azionarie. La crescita dell’economia e degli utili aziendali rimane robusta e la fine della fase di espansione del ciclo non ci sembra imminente. In termini tattici, tuttavia, deteniamo un orientamento sostanzialmente neutrale nei confronti degli strumenti rischiosi, alla luce del forte rialzo del mercato e dei rischi crescenti. Implementiamo questo posizionamento mediante un modesto sovrappeso sulle azioni globali, un sovrappeso sul debito sovrano dei mercati emergenti in dollari e un sottopeso sulle obbligazioni high yield in euro.

 

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