L’ultimo colpo di bazooka di Draghi scompiglia i mercati

A cura di Wings Partners Sim

In una settimana che fino ad ora non aveva riservato grosse novità, la riunione della Bce ieri scompagina, seppur brevemente, le carte in tavola con un Draghi che, sfatando i timori della vigilia di una eccessiva timidezza negli interventi, saluta la platea a poco più di un mese dal suo avvicendamento con la Lagarde sparando l’ultimo colpo di Bazooka. Al di la dell’ampiamente scontato taglio di 10 punti base (a -0,5%) ai tassi di deposito (a cui viene associato un meccanismo di tiering per non penalizzare troppo i depositi delle banche) la Bce infatti interviene anche sui prestiti Tltro III (per adeguarli ai nuovi tassi ed a scadenze più protratte) e soprattutto si imbarca, a soli 9 mesi dalla conclusione del precedente, in un nuovo programma di Qe per 20 miliardi di euro al mese, che partirà il 1° novembre e soprattutto senza un termine ultimo prefissato (open ended).

A vederla così sembrerebbe che la banca centrale abbia dato fondo alla Santa Barbara degli interventi monetari a diposizione, e infatti la prima reazione dell’euro è stata quella di un brusco arretramento nei confronti del dollaro con nuovi minimi di periodo, salvo poi repentinamente tornare al punto di partenza una volta entrati un po’ più nel dettaglio.

Nessun accenno infatti a una modifica degli attuali limiti del 33% per gli emittenti, il che vuol dire che il programma di acquisti senza fine in realtà raggiungerà la sua scadenza naturale per esaurimento tra soli 9 mesi (data alla quale la Bce possiederà anche circa il 50% dei titoli di stato tedeschi); ancor di più, una decisione non certo condivisa che registra forti dissensi tra i governatori delle banche centrali dei singoli stati (Germania, Francia, Austria, Estonia e Olanda) oltre che all’interno dello stesso executive board della Bce (Coeure e Lautenschlaeger)…insomma, tanti auguri alla Lagarde per il mese prossimo.

Nel frattempo decisamente consistenti le revisioni apportate dalla Bce sulle stime di crescita (Pil del 2019 all’1,1% dal 1,2%, Pil del 2020 all’1,2% dal 1,4%) ed alle stime di inflazione, di pari passo all’ennesimo deludente dato in salsa tedesca con un indice Ifo che punta a un terzo trimestre nuovamente in contrazione emanando segnali tecnicamente recessivi (due trimestri consecutivi in contrazione) per la più grande economia europea.

Trump tende la mano alla Cina in vista delle Presidenziali

Ma la riunione della Bce non è stato l’unico dato saliente della giornata con l’apparente apertura degli Usa a un “interim deal”con la Cina che se siglato potrebbe portare non solo a un arresto dell’attuale escalation nella politica dei dazi incrementali, ma anche alla rimozione delle tariffe al 15% su 112 miliardi di importazioni cinesi applicata a partire dal 1° settembre che riporterebbe la situazione alle originarie tariffe applicate su 250 miliardi di importazioni marcando al contempo la prima riduzione tariffaria dall’inizio della disputa commerciale tra i due paesi.

Se in Europa le banche si adeguano prontamente dalle mosse della Bce (la banca centrale turca taglia i tassi di un consistente 325 punti base alimentando un rialzo della lira turca nell’ordine del 1%, la banca centrale danese taglia i tassi di 10 punti base a -0,75% e infine i decennali italiani scivolano sui minimi record a 0,791%), in Usa Trump non sembra manifestare eccessivo entusiasmo, né per la decisione della Bce (non mancando di lanciare nuove critiche all’immobilismo della Fed, che però nel frattempo deve vedersela con una crescita dei prezzi al consumo “core” che è la più rapida a far data dal 2008) né per l’idea della sua amministrazione di siglare un accordo sub-ottimale con i cinesi dove pesa più la strategia per le elezioni del 2020 che l’opportunità negoziale.

Perplessità apparentemente condivise dai mercati azionari che mettono a segno una reazione invero assai pacata agli eventi della giornata, sia sul comparto americano ieri sera che quello asiatico questa mattina (con oltretutto Cina ed Hong Kong chiuse per festività).

A segnalare come l’attuale fase di avversione al rischio sia tutt’ora attiva, seppure in background, le quotazioni dell’oro rimangono ancorate al supporto posto a 1.500 dollari l’oncia mentre il petrolio si appresta a chiudere la peggiore settimana da due mesi a questa parte malgrado i generici impegni dell’Opec+ a mantenere contingentata la produzione per ovviare all’eccesso di offerta, offuscando i festeggiamenti per una delle Ipo più importanti della stagione, quella di Saudi Aramco.

Metalli non ferrosi parimenti in ripiegamento dopo l’allungo della mattinata con il rame sempre a ridosso di quota 5.800 dollari (anche se i traders si dicono progressivamente sempre più ottimisti sulle prospettive del metallo rosso, complice l’apparente ripresa della domanda cinese, di pari passo agli ingenti investimenti previsti sulla rete elettrica locale nel quarto trimestre, con i premi sui catodi a Shanghai ai massimi di 9 mesi) e attenzione sempre focalizzata sul nickel, dove malgrado la persistente backwardation in atto sulle scadenze brevi (il cash-3 mesi si è portato ieri a 169 dollari a tonnellata e a ridosso dei massimi storici databili al luglio del 2007 con 193 dollari a tonnellata) il metallo manca di venire attratto nei magazzini Lme, con anzi ieri oltre 6.000 tonnellate di materiale cancellato dalle disponibilità alla consegna.

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