Mercati emergenti pronti ad accelerare nel 2020. Stati Uniti permettendo

A cura di Chia-Liang Lian, Head of Emerging Markets Debt di Western Asset (affiliata Legg Mason)

Quando si parla di investimenti nei mercati emergenti, un tema ricorrente è quello del supporto dato dai fattori secolari. Nel decennio precedente al Taper Tantrum del maggio 2013, gli asset dei mercati emergenti hanno goduto di un periodo ininterrotto di ottime performance. Durante quella fase, il debito sovrano denominato in dollari ha garantito un robusto 9,5% all’anno, mentre quello in valuta locale ha registrato un rendimento annuo addirittura dell’11,4%, stando agli indici JPMorgan Embig e Gbi-EM.

Qual è stato lo stimolo che ha aiutato il debito dei mercati emergenti ad affermarsi come asset class? Per rispondere a questa domanda può essere utile guardare alle dinamiche di crescita globali. Non è un caso che, durante questo periodo, la crescita media del Pil nei mercati emergenti sia stata decisamente superiore a quella dei mercati sviluppati. Nel momento di picco (ovvero nel 2009), la crescita dei mercati emergenti ha superato quella dei mercati sviluppati di ben sei punti percentuali (+2,8% contro il -3,3%, come mostrato dal grafico). Al contrario, negli anni ’90 il differenziale di crescita fu piuttosto modesto e altalenante.

A nostro parere, la luna di miele dei mercati emergenti fu dovuta fondamentalmente a un elemento specifico del processo di liberalizzazione del commercio globale: l’adesione della Cina al Wto alla fine del 2001, che ha avuto un impatto fondamentale nell’accelerare l’espansione industriale globale. Gli effetti a catena della costruzione di nuove infrastrutture in Cina sono stati avvertiti in particolare dai paesi emergenti esportatori di materie prime, specialmente da quelli dell’America Latina. Poiché una stretta regolamentazione rendeva difficile investire direttamente in Cina, i flussi di portafoglio che volevano approfittare della crescita cinese si sono reindirizzati verso i mercati emergenti. La crescita porto con sé un miglioramento dei profili creditizi, e i Paesi emergenti furono in grado di estendere il loro profilo di maturità del debito e di ridurre la vulnerabilità esterna con più emissioni in valuta locale. Nel 2005 gli afflussi nei mercati onshore dei paesi emergenti sono stati abbastanza significativi da giustificare il lancio di indici obbligazionari in valuta locale.

Negli ultimi anni la performance dei mercati emergenti è stata decisamente più volatile, riflettendo un contesto globale meno favorevole, anche a causa dei crescenti rischi in ambito geopolitico e commerciale. Allo stesso tempo, l’influenza dei trend secolari nei mercati emergenti è diventata meno evidente. Il cambiamento più significativo è forse quello legato alla traiettoria di crescita cinese: dopo anni di crescita in doppia cifra, ora le performance tendono sempre verso il basso, arrivando a proiezioni inferiori al 6% per il 2020. E nessun’altra grande economia emergente potrà arrivare a replicare la corsa cinese. Al contrario, molti paesi emergenti stanno affrontando le stesse sfide socioeconomiche dei paesi sviluppati, tra cui l’invecchiamento demografico, le disuguaglianze economiche e i problemi con l’immigrazione. Ad aggiungere un ulteriore pressione tecnica ai paesi emergenti vi è la progressiva inclusione della Cina tra i benchmark più ampiamente utilizzati. La Cina, infatti, compete ora direttamente con gli altri mercati emergenti per i capitali dei portafogli di investimento.

Ne consegue che gli investitori globali nei mercati emergenti debbano prestare oggi grande attenzione ai fattori ciclici di breve termine. L’analisi dei fondamentali di lungo periodo rimane un pilastro del processo di investimento, ma una valutazione dei driver ciclici e tecnici è ora più necessaria che mai, soprattutto vista le oscillazioni che periodicamente gli asset dei mercati emergenti sperimentano. Questo ci porta ad almeno due considerazioni in relazione agli investimenti in paesi emergenti: la necessità di valutare i singoli emittenti caso per caso e l’importanza di saper navigare nelle mutevoli correnti globali.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la natura eterogenea dell’asset class dovrebbe essere maggiormente evidente nelle performance all’interno del benchmark, composto ora da oltre 75 stati. Riguardo il secondo, gestire i rischi a breve termine ed effettuare degli spostamenti tattici – in particolare con la copertura sul cambio – potrebbero contribuire a limitare le fluttuazioni nei valori degli asset e la volatilità dei rendimenti totali. Per superare gli imprevisti dell’asset class, si possono sviluppare strategie di approccio personalizzate per il singolo investitore, che mirino a migliorare la capacità di raggiungere gli obiettivi di rischio/rendimento desiderati.

La notizia incoraggiante è che il differenziale di crescita tra mercati emergenti e mercati sviluppati è destinato ad allargarsi nuovamente a partire dal 2020. In tempi recenti, un grosso ostacolo per i mercati emergenti è stata la sovraperformance degli Stati Uniti. Secondo le ultime stime del Fmi, la crescita dei mercati emergenti è pronta ad accelerare e a toccare il 4,6% nel 2020, ovvero il valore più alto degli ultimi tre anni. A eccezione della Cina, si prevede che la maggior parte delle economie emergenti avrà un rimbalzo, grazie all’aggressiva politica di allentamento da parte delle loro banche centrali e alla potenziale riduzione delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. Da segnalare anche l’abbattimento del rischio di inflazione in tutti i paesi emergenti. In effetti, dal punto di vista della valutazione, i rendimenti reali in questi paesi rimangono convincenti, con una media che attualmente si aggira sui 170 punti base in più rispetto a quelli dei mercati sviluppati.

Le nostre convinzioni sui mercati emergenti si concentrano su alcuni Paesi specifici con fondamentali e istituzioni solide, in cui le riforme strutturali e la flessibilità della politica monetaria dovrebbero aprire la strada a un rimbalzo della crescita. La nostra focus list si concentra su Paesi di alta qualità tra cui Indonesia e Russia, oltre ad alcuni emittenti selezionati nell’area del Golfo. Nelle strategie crossover, il credito dei mercati emergenti è attraente in ottica di diversificazione rispetto alle valutazioni “quasi riskfree” degli emittenti dei paesi sviluppati.

Ciò detto, le incertezze macro globali possono mettere pressione sulla crescita dei mercati emergenti, soprattutto se le tensioni commerciali dovessero riacuirsi. Per quanto riguarda l’economia Usa, una nuova sovraperformance rispetto ai mercati emergenti, come quella di quest’anno, potrebbe indurre la Fed a una politica più restrittiva e danneggerebbe i mercati emergenti. Specularmente, uno scenario di hard-landing della Cina, nonostante sia da considerarsi un evento poco probabile, potrebbe comunque portare a un riprezzamento del premio di rischio dei mercati emergenti. Inoltre, necessitano di uno stretto monitoraggio anche i rischi derivanti dall’escalation dei disordini sociali e delle questioni geopolitiche.

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