Mercati finanziari infettati dal virus. Le prospettive secondo Intermonte

A cura di Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte SIM

La settimana è iniziata all’insegna della percezione di una diffusione del coronavirus in senso più allargato rispetto alla Cina, in modo particolare Sud Corea e Italia con il Bel Paese che al momento ha superato il Giappone in termini di nuovi infetti (al netto di quelli rilevati sulla nave crociera Diamond Princess).

L’altro fattore da tenere in considerazione è, inoltre, il fatto che la Cina sta concedendo a diversi cittadini dichiarati guariti/non infetti di potersi muovere anche dalle aree ad alto contagio per potersi recare sui posti di lavoro, al fine di rimettere in moto la macchina produttiva della seconda economia al mondo.

La prima reazione, pertanto, è all’insegna della preoccupazione con cali marcati dei listini azionari e corsa all’acquisto di Treasury Bund e oro.

Proviamo a vedere dietro le quinte come il mercato sta reagendo al di là dell’impatto direzionale evidente a tutti. Parto dalle volatilità ossia i future sul Vix, la cui curva a termine presenta nuovamente una pendenza negativa di circa l’1% sulle scadenze fino a 5/6 mesi.

Il tasso Treasury 10y si è posizionato circa 50 punti al di sotto delle aspettative di inflazione, avvicinandosi ai circa 60 pb raggiunto a metà 2016, quando il Treasury 10y raggiunse il minimo storico in prossimità dell’1,30%.

La curva dei tassi negli Usa si è nuovamente fortemente invertita sul segmento 3 mesi 10 anni, con marcato aumento delle aspettative di quasi 50pb di taglio tassi entro marzo 2021.

Il petrolio e il rame son in calo ma al di spora dei minimi di metà febbraio.

Cosa si può ricavare da questo quadro?

L’impressione è che, di fondo, si stia ancora ripetendo quanto visto da inizio anno e cioè forte impatto emotivo inziale con calo dei listini azionari concentrati soprattutto dove il focolaio del virus in quel momento è più forte e/o dove più forte è il timore del contagio. Contestualmente lo sguardo si rivolge di nuovo alle banche centrali, in particolare la Fed cui viene di fatto chiesto implicitamente un marcato taglio dei tassi ma soprattutto un eventuale maggiore flusso di iniezioni di liquidità in forma più estesa e duratura rispetto allo status quo. Le ultime dichiarazioni di membri Fed sono state piuttosto contrastanti ma con diversi esponenti di peso (tra cui il vice presidente Clarida) che di fatto hanno etichettato come temporaneo l’effetto del virus. Si tratta di dichiarazioni allo scorso venerdì che sarà bene verificare questa settimana (oggi e domani attesi i discorsi di membri Fed tra cui nuovamente Clarida) ma che riflettono in parte l’impressione dal lato Usa di una situazione tutto sommato sotto controllo, forti di un numero di infetti al momento poco al di sotto di 40. Del resto, recentemente la Fed ha ribadito l’intenzione anche di ridurre progressivamente le iniezioni di liquidità iniziando dai Repo (dal 3 marzo il cap delle operazioni a 14 giorni verrà ulteriormente ridotto da 25 a 20 Mld di dollari) con possibilità (si veda quanto scritto nelle minute dell’incontro di fine gennaio) di procedere d una riduzione degli acquisti anche di bills , al momento fermi a 60 Mld di dollari mensili.

L’estensione dell’impatto del virus diventa pertanto sempre più la cartina tornasole per comprendere quanto i mercati azionari stiano davvero beneficiando di un mare crescente di liquidità piuttosto che della percezione di un quadro macro in miglioramento a breve, in attesa cioè di un’ipotesi di ripresa a “V” in Cina, appena passato il picco del virus.

Le possibili manovre fiscali in arrivo potrebbero rappresentare l’importante ulteriore ingrediente utile soprattutto su un’ottica di medio termine, ma nel breve l’appeal esercitato dalla maggiore liquidità da parte delle banche centrali rimane probabilmente ancora l’oggetto primario del desiderio.

In questo contesto, se la Fed continuasse a ribadire l’atteggiamento intransigente in nome dell’effetto temporaneo del virus e del miglioramento del mercato monetario e del livello di riserve in eccesso delle banche US (arrivato sopra la soglia di guardia di circa 1500 Mld di dollari citata dalla stessa Fed), allora la prospettiva di riduzione/rimozione della liquidità immessa soprattutto da settembre diventerebbe lo scenario centrale nel corso del secondo trimestre.

Dal punto di vista operativo

Treasury: la rottura al ribasso dell’importante soglia di 1,50% propone il possibile posizionamento vicino al minimo del 2016 intorno all’1,30%. Se lo spread verso aspettative di inflazione si avvicinasse ad area 60pb come accadde nel 2016, a quel punto le indicazioni di un eccesso sul Treasury diventerebbero più solide, soprattutto se dall’incontro Fed del 18 marzo non emergesse un effettivo addolcimento di Powell sul tema tapering di liquidità tramite minore infusioni con i canali repo/bills nel secondo trimestre.

Pertanto, nel breve le posizioni lunghe di Treasury possono aiutare ad attraversare le incertezze del virus ma in ottica secondo trimestre (ovviamente virus permettendo) emerge la possibilità di un temporaneo rialzo dei tassi treasury, soprattutto se la Fed davvero insistesse nel suo progetto di tapering. Operativamente nel breve potrebbe essere opportuno cavalcare ancora la parte a lungo termine dei Treasury ma progressivamente prendere profitto e spostarsi sulla parte a breve (entro i 2/5 anni) nel corso del secondo trimestre in chiave di sedimentazione dei profitti fin qui realizzati e difesa dai possibili rischi ulteriori. Questo posizionamento potrebbe poi dare beneficio nei primi mesi del secondo semestre, se la Fed davvero ritornerà in campo con una sorta di QE 2.0 come evocato recentemente dal membro Brainard: non più piani di acquisto lineari di bond ma piuttosto controllo della curva tassi Treasury a breve fissando dei cap di rendimento obiettivo oltre i quali la Fed si impegnerebbe a intervenire tramite acquisti.

SPREAD BTP/BUND: prima ancora dell’estensione del virus in Italia nel week-end, l’analisi dell’open interest aggregato congiuntamente con l’andamento direzionale del Btp future decennale suggerisce un posizionamento già fortemente avvenuto sui Btp. In questo caso la componente nipponica potrebbe aver accentuato il movimento, in seguito alla possibilità dichiarata dal principale fondo pensione giapponese GPIF di poter trattare i titoli esteri con copertura dal rischio cambio alla stregua di quelli domestici. A riprova di ciò, anche il recente andamento dello yen in senso opposto rispetto alla norma, ossia in deprezzamento malgrado il clima di risk off. In altri termini, gli operatori domestici, potrebbero aver sfruttato la nuova normativa sui bond per aumentare lo yield dei portafogli aumentando il peso di quelli esteri tra cui i Btp a cambio coperto.

Il citato open interest segnala però un possibile eccesso di posizionamento. Lo scenario in ottica secondo trimestre rimane pertanto di temporaneo rialzo dello spread fino ad area 170/200pb, supportato da un contesto generale temporaneamente rialzista dei tassi con accentuazione del movimento sui Btp a causa del peggioramento del quadro macro domestico e di possibili toni più accesi in vista delle regionali attese tra fine maggio/inizio giugno. Da sottolineare che tale movimento potrebbe essere solo temporaneo, in attesa della ripresa del trend calante dei tassi nella seconda parte dell’anno.

EUR/USD: la chiusura del gap del 2017 (area 1,0750) ha prodotto una prima fase di assestamento intorno a 1,08. La maggiore diffusione del virus in area Euro, con il conseguente peggioramento del quadro macro prospettico, è stata in parte bilanciata dall’aumento dell’attesa di un taglio Fed. Nel frattempo, i differenziali di volatilità tra call e put a parità di delta a 3 mesi (cosiddetto risk reversal) segnalano un aumento del costo relativo delle put e quindi una maggiore propensione degli operatori verso l’ipotesi di ulteriore deprezzamento dell’eur vs usd. Tale differenziale presenta però ulteriori margini di ampliamento, soprattutto laddove la percezione dell’espansione del virus in area Euro fosse più ampia e la Fed dall’altro lato continuasse a rinnegare le attese di mercato di un taglio tassi entro fine anno. Di conseguenza il cambio, al di là di temporanei recuperi di breve fino ad area 1,10, potrebbe spingersi fino ad area 1,05 entro questo semestre, prima di invertire la rotta in vista del ritorno in campo della Fed.

Petrolio: l’impatto dell’estensione del virus potrebbe riportare il Wti fino ad area 50 dollari per barile nel brevissimo. Il peggioramento del quadro della domanda globale potrebbe però funzionare da stimolo alla Russia per accettare la proposta araba di riduzione ulteriore della produzione di 600.000 barili con proroga dei tagli almeno fino a giugno, in occasione dell’incontro Opec+ del 5/6 marzo. Di conseguenza il WTI potrebbe registrare un rapido recupero verso area 56 dollari per barile in vista del citato incontro. In tale direzione spinge anche la constatazione del livello storicamente contenuto delle posizioni nette lunghe della componente speculativa.

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