Mercato obbligazionario, l’outlook di Marzotto Investment House

A cura di Jacopo Ceccatelli, Amministratore Delegato di Marzotto Investment House
Il 2018 si chiude con buona parte degli indici obbligazionari in negativo, con gli unici settori in terreno positivo, gli emittenti a rating molto elevato per effetto di un ulteriore ribasso dei rendimenti.
Di fatto le previsioni di un aumento generalizzato di tassi e rendimenti, pressoché unanime a inizio 2018, non si sono verificate né a livello dei tassi IRS, né rispetto alla curva dei titoli di stato tedeschi (le due curve più rappresentative dell’obbligazionario Euro). Per entrambe le curve, la riduzione dei rendimenti è stata tra i 5 e i 40 punti base.
Molto diverso invece, e più in linea con le previsioni di inizio anno, l’andamento delle emissioni con rating da medio (singola A) in giù, che hanno subito aumenti di rendimento (e quindi ribassi di prezzo) piuttosto significativi; in media tra i 30 e i 40 punti base per le scadenze dai tre anni in su.
Ovviamente infine, un caso a parte è rappresentato dalla curva dei rendimenti dei titoli di stato italiani, che ha subito rialzi notevoli dei rendimenti nella seconda parte dell’anno, con aumenti tra i 50 e i 100 punti base.
In generale in termini di ritorno assoluto, la tabella sottostante mostra il risultato del 2018 dei principali segmenti dell’obbligazionario Euro. Come si può notare, a parte i titoli con rating molto elevato (doppia A e tripla A), tutto il resto ha dato ritorni negativi agli investitori.
Si chiude quindi un anno non facile per gli investitori obbligazionari (tanto più quelli italiani) e se ne apre un altro con prospettive che non consentono di abbassare la guardia.
Nonostante i recenti rialzi, si parte infatti ancora da un livello di tassi e rendimenti che resta in termini assoluti sostanzialmente basso o molto basso (a seconda degli emittenti e delle scadenze), il che rende poco probabili ulteriori riduzioni. Pesa poi in maniera molto significativa la fine del Quantitative Easing (QE), circostanza che costringerà il mercato obbligazionario a cercare nuovi equilibri rispetto al recente passato. Il quadro economico poi presenta significative incertezze, che potrebbero continuare ad appesantire gli emittenti con rating da intermedio in giù. Infine, le dinamiche inflattive continuano a non offrire una chiara tendenza a rialzo nonostante tutti gli sforzi sin qui profusi dalla BCE, il che non consente di puntare con decisione su titoli inflation linked e a tasso variabile.
Cerchiamo ora di approfondire i principali fattori che potrebbero influenzare il mercato obbligazionario nel 2019.
Tassi – BCE e fine del QE
È abbastanza evidente a tutti che il 2019 si apre con dinamiche diverse rispetto al recente passato, legate soprattutto alla fine del QE e alla (ancora abbastanza lontana) prospettiva di un rialzo dei tassi di riferimento da parte della BCE.
Da un lato la mancanza di un compratore affidabile e inesauribile come lo è stato la BCE in questi anni, rappresenta un elemento di preoccupazione per gli investitori obbligazionari, dall’altro però va segnalato che la BCE non “sparirà”; continuerà infatti a reinvestire le cedole incassate e i titoli rimborsati. Le conseguenze quindi, da un punto di vista pratico, saranno molto graduali. Più difficile invece prevedere eventuali impatti emotivi derivanti dalla mancanza della “rete di sicurezza” a cui il mercato si era ormai assuefatto.
Un elemento di conforto può essere l’andamento dei Treasuries americani successivamente alla fine del terzo (e ultimo) QE della FED (ottobre 2014). Anche allora si erano moltiplicati allarmi e preoccupazioni su chi avrebbe comprato i titoli americani una volta che la FED avrebbe smesso di “ritirarli” dal mercato.
In effetti negli USA il rialzo dei rendimenti si ebbe più di un anno prima, quando si materializzarono le aspettative della fine del QE, ma sia rispetto a dicembre 2013 (data dell’annuncio) sia rispetto a ottobre 2014 (data di effettiva conclusione del QE), i rendimenti sono stati addirittura calanti nei 24 mesi successivi. Hanno ricominciato a salire solo successivamente all’elezione di Donald Trump e all’aumento dei programmi di spesa (e quindi di deficit).
La fine del QE da parte della BCE non deve quindi necessariamente portare a tassi e rendimenti più elevati, molto infatti dipenderà dagli scenari economici che si materializzeranno nei prossimi mesi.
Più certo è forse l’impatto sul mercato delle emissioni “corporate”, in particolare quelle con rating intermedio: da tripla B a singola A. Questo segmento del mercato infatti ha beneficiato degli acquisti della BCE in misura molto massiccia, tanto da generare negli investitori un atteggiamento quasi “acritico” rispetto all’effettivo merito di credito degli emittenti. L’uscita di scena della BCE, oltre a ricalibrare verso l’alto lo spread medio (e quindi il rendimento) richiesto dagli investitori, potrebbe riproporre rispetto al recente passato un atteggiamento più selettivo. Questa possibile evoluzione, può essere vista come una sorta di “normalizzazione” del mercato obbligazionario, il che dovrebbe tutto sommato rappresentare uno sviluppo positivo, a patto che avvenga in maniera graduale e controllata (circostanza purtroppo tutt’altro che scontata).
A questo proposito, rispetto al recente passato c’è da attendersi maggiore volatilità. Fino a pochi mesi fa qualsiasi correzione era considerata un’opportunità di acquisto (“tanto c’è la BCE che compra”). D’ora in poi non sarà più così e un’anticipazione si è forse avuta negli ultimi mesi del 2018.
Scenario economico e dinamiche inflattive
Il 2019 si apre con previsioni meno ottimistiche sul ciclo economico, rispetto a quanto ci si poteva attendere solo qualche mese fa.
A livello globale sono aumentate le preoccupazioni per le politiche economiche dell’amministrazione USA, legate soprattutto alle imposizioni di dazi e (più recentemente) ai tentativi di interferenza sulla FED.
Riguardo proprio alla FED, il percorso di rialzo dei tassi di riferimento, passati in tre anni da poco più di 0% all’attuale 2,40%, rappresenta un ulteriore elemento di preoccupazione. Il timore è che il percorso di rialzo sia eccessivamente aggressivo e possa portare ad un rallentamento della crescita economica statunitense. Più in generale, in molti si interrogano sulla possibilità che l’economia USA continui ad espandersi a ritmi elevati, posto che siamo già ad oggi nel mezzo della seconda più lunga fase di espansione di sempre.
Passando all’area economica europea, i primi mesi dell’anno vivranno sull’incertezza dell’uscita della Gran Bretagna dalla UE, con modalità ancora tutte da chiarire. Nel caso, purtroppo tutt’altro che teorico, di “no deal” o di “hard Brexit” l’impatto sulla crescita economica del Vecchio Continente potrebbe essere tutt’altro che marginale. Inoltre, sempre in Europa a maggio ci saranno le elezioni europee, che questa volta potrebbero essere più importanti e influenti rispetto al passato. Una possibile affermazione di movimenti populisti-sovranisti-anti europeisti, potrebbe impattare in maniera importante sulle politiche comunitarie del prossimo quinquennio, con evidenti conseguenze sulle aspettative di crescita economica.
Per quanto riguarda il resto del mondo, due sembrano essere gli elementi di maggiore criticità: il primo è il prezzo del petrolio, in forte calo rispetto a pochi mesi fa, che da un lato potrebbe rappresentare un fattore positivo della crescita, ma dall’altro potrebbe invece essere il sintomo di una riduzione della domanda a livello globale.
Il secondo è legato alle “eterne” incertezze dell’economia cinese, il cui tasso di crescita è minacciato dall’esterno dalle politiche protezionistiche dell’amministrazione Trump, e dall’interno dal tentativo di ridurre la crescita del debito (passato in pochi anni dal 150% del PIL a quasi il 300%). Un segnale di queste preoccupazioni, sono stati l’andamento della borsa e della valuta cinese nel 2018.
Data la serie di elementi di incertezza sulle prospettive di crescita sia a livello mondiale che europeo, non sorprende quindi che le aspettative di inflazione siano decisamente calate. In Europa. a fronte di un dato puntuale di crescita dei prezzi che sembra finalmente essere in linea con gli obbiettivi della BCE al +2%, la previsione di crescita dei prezzi (quotazione degli inflation swap) per i prossimi 12 mesi è inferiore all’1% (+0,76%), mentre per i prossimi 5 anni è prevista un’inflazione media di poco superiore all’1% all’anno (+1,09%).
Nel complesso quindi il 2019 inizia con aspettative di crescita economica in deciso ridimensionamento, il che è stato recentemente positivo per le obbligazioni più sensibili al rischio tasso (rating elevati e scadenze lunghe), ma più problematico per tutte le emissioni con rating intermedi o bassi. Chiaramente, se il pessimismo di queste ultime settimane dovesse rientrare, le recenti tendenze potrebbero invertirsi.
Andiamo quindi ad approfondire le prospettive sui segmenti più rilevanti per gli investitori obbligazionari basati in Euro rispetto a quelli che riteniamo i tre scenari più plausibili per il 2019:
Scenario “base”: Nonostante i molti elementi di potenziale preoccupazione, non si concretizzano situazioni di gravità tali da compromettere crescita economica e/o la stabilità dei mercati finanziari. La crescita economica si mantiene più o meno sui valori previsti dal FMI (+3,7% a livello mondiale – +2,0% a livello europeo);
Probabilità assegnata da Marzotto: 60% – (rispetto a un 55% assegnato attualmente dal mercato)
Scenario “positivo”: Tutti (o gran parte) degli elementi di potenziale preoccupazione trovano soluzioni positive o di minimo impatto per economia e mercati. La crescita economica supera le attese creando i presupposti per un aumento delle aspettative di inflazione e un rialzo dei tassi.
Probabilità assegnata da Marzotto: 25% – (rispetto a un 20% assegnato attualmente dal mercato)
Scenario “negativo”: Uno o più degli aspetti “critici” di inizio anno (o altri di nuovi) creano situazioni di forte stress che compromette la crescita economica e/o scatena una fase di “risk-off” sui mercati finanziari. La crescita economica rallenta vistosamente e alcuni paesi si avvicinano o entrano in una fase di recessione.
Probabilità assegnata da Marzotto: 15% – (rispetto a un 25% assegnato attualmente dal mercato).
Titoli di stato Europa “core”
Includiamo in questo segmento i titoli di: Germania, Austria, Olanda e Finlandia. I titoli di Francia, Belgio e Irlanda li riteniamo “prevalentemente” legati all’Europa “core” ma non al 100%.
Come già accennato, questo segmento è stato uno dei pochissimi a generare nel 2018 (contro tutte le aspettative) ritorni positivi. Proprio per questo il punto di partenza per il 2019 è ancora meno appetibile rispetto a inizio 2018. In effetti, solo a inizio 2017 il livello di tassi e rendimenti era stato inferiore a quello attuale.
Con rendimenti sotto lo zero per tutte le scadenze brevi e intermedie, ne consegue che le prospettive per questo segmento sono positive solo nello scenario “negativo”, che farebbe confluire il denaro degli investitori in titoli di paesi considerati estremamente solidi e sicuri, anche al costo di impiegare le proprie disponibilità a rendimenti negativi. Nello scenario positivo, questo segmento potrebbe dare ritorni negativi tra -1% (scadenze brevi) e -10% (scadenze ultra-decennali). Dopo il movimento delle ultime settimane, anche nello scenario base ci attenderemmo nel 2019 un ritorno su rendimenti più elevati di quelli attuali; di conseguenza anche in questo caso i ritorni potrebbero essere negativi per gli investitori.
Titoli di stato Europa “periferica”
Includiamo in questo segmento i titoli di: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.
Vanno fatti dei chiari “distinguo” tra Spagna e Portogallo da un lato e Italia e Grecia dall’altro. I primi due paesi hanno avuto un comportamento decisamente simile ai titoli dei paesi “core”, seppure ovviamente partendo da livelli di rendimento molto più elevati, con una chiusura di anno su livelli di rendimento inferiori all’inizio. Grecia e Italia invece hanno seguito andamenti diversi, con rendimenti in crescita seppure con entità e motivazioni differenti.
Spagna e Portogallo sembrano abbastanza stabili e offrono rendimenti comunque positivi, per cui potrebbero “tenere” abbastanza bene nello scenario “base”. Difficilmente verrebbero risparmiati nello scenario “negativo” e soffrirebbero comunque l’aumento dei tassi dello scenario “positivo”. In sostanza ci si potrebbe attendere un “pareggio” (scenario “base”) o due “sconfitte” (scenario “positivo” e “negativo”) dai titoli di questi due Paesi.
Tra i due, da preferire le emissioni spagnole, che potrebbero beneficiare di un upgrade di rating a singola A. Poco appetibili invece ci sembrano ai livelli attuali i titoli portoghesi, che non rispecchiano a nostro parere le debolezze strutturali dell’economia (deficit commerciale e dipendenza dagli investitori esteri). In caso di scenario “negativo” le emissioni portoghesi potrebbero velocemente sganciarsi dalle dinamiche dell’Europa “core” e riavvicinarsi ai paesi percepiti come più deboli: Italia e Grecia.
Venendo proprio a questi due paesi, segnaliamo che il percorso di “normalizzazione” della Grecia sembra continuare. È recentissima la notizia di un ritorno alla creazione di un mercato vero e proprio, attraverso primary dealers ufficialmente autorizzati alla trattazione sia sul mercato primario che secondario. Ciò nonostante, i titoli di questo paese restano estremamente rischiosi, soprattutto a causa della forte debolezza strutturale del tessuto economico greco. In caso di scenario “negativo” il rialzo dei rendimenti (e quindi il calo dei prezzi), sarebbe estremamente significativo. In caso di scenario “base” o “positivo” invece i ritorni potrebbero essere assai interessanti, anche perché si parte da una base di rendimento decisamente elevata.
Per l’Italia infine va fatto un discorso a parte. Rispetto ai fondamentali economici generali, i rendimenti offerti dai titoli di stato del nostro paese sembrano di gran lunga quelli con il miglior rapporto rischio/rendimento, anche dopo i recenti recuperi. È però indubbio che per una serie di circostanze (non strettamente economiche) i titoli di stato italiani siano diventati uno degli strumenti preferiti da chi vuole puntare (o se si preferisce “speculare”) su un peggioramento del quadro economico. A ciò contribuisce non poco l’esistenza di contratti Future sui BTP sia a lunga che a breve scadenza. Ne consegue che in caso di scenario “negativo” i titoli italiani sarebbero decisamente presi di mira. Nello scenario “base” invece, dovrebbe proseguire la tendenza delle ultime settimane, con un ritorno nel corso dei prossimi mesi su livelli di rendimento non troppo superiori a quelli portoghesi. Nel caso di scenario positivo infine, i titoli di stato italiani potrebbero essere tra quelli in grado di sopportare meglio l’aumento dei tassi, senza subire particolari correzioni grazie alla progressiva riduzione dello spread.
Titoli inflation linked
Il drastico calo delle aspettative di inflazione degli ultimi tre mesi ha creato i presupposti per una significativa underperformacne dei titoli legati all’indice di crescita dei prezzi. Un altro fattore che ha contribuito a questa underperformance è stato il crollo del prezzo del petrolio, che pone i presupposti per dati di crescita dei prezzi molto bassi (o negativi) per i prossimi mesi. Questo andamento potrebbe rivelarsi un’opportunità se i timori di un rallentamento dell’economia mondiale dovessero rivelarsi eccessivi e/o il prezzo del petrolio dovesse rimbalzare dai livelli attuali. I titoli inflation linked dell’Europa “core”, il cui andamento è stato particolarmente negativo nell’ultimo trimestre, potrebbero quindi essere un’opportunità molto interessante soprattutto nello scenario “base”. Negli scenari “negativo” continuerebbero a performare peggio dei titoli a reddito fisso, mentre in quello “positivo” l’impatto del rialzo dei tassi sarebbe ovviamente attenuato dalle aspettative di rialzo dell’inflazione. Anche le emissioni di Italia o Spagna possono offrire buone opportunità nello scenario “base” ma la differenza rispetto ai normali titoli a reddito fisso è decisamente minore.
Obbligazioni Corporate e Financial
L’andamento di questa tipologia di obbligazioni è stato fortemente dipendente dal livello di rating. Le pochissime emissioni con rating “tripla A” e “doppia A” hanno seguito in buona sostanza i dei titoli di stato dell’area “core”. I ben più numerosi titoli a rating intermedio (in buona sostanza tutti i “tripla B”), hanno subito nel secondo semestre 2018 forti aumenti di rendimento (e quindi calo dei prezzi). Come già accennato in precedenza, pesa su questa categoria di emissioni più che su altre, il venir meno di un compratore come la BCE, di fatto “acritico” rispetto al rischio emittente ma molto “pesante” in termini di volumi. Anche dopo il recente aumento, siamo ancora su livelli di rendimento medio e di spread molto “compressi”, per cui è difficile pensare che questa tipologia di titoli possa  già rappresentare un’opportunità interessante in ottica di rapporto rischio/rendimento.
Nello scenario “negativo”, gli spread continueranno ad aumentare, mentre nello scenario “positivo” subiranno l’aumento dei tassi. Solo nello scenario “base” si può sperare in una sostanziale tenuta e forse addirittura in un temporaneo recupero, posto che per alcuni settori (quello finanziario in primis), l’aumento di spread e rendimenti è stato decisamente importante. A questo proposito, vanno segnalati i titoli di emittenti corporate e (soprattutto) finanziari italiani, che hanno subito fortissime correzioni (di prezzo) e quindi potrebbero performare molto bene sia nello scenario “base” che in quello “positivo”.
Infine, va sottolineato che nello scenario “positivo” i titoli di emittenti corporate e finanziari a tasso variabile potrebbero rappresentare una valida alternativa.
In ogni caso, riteniamo molto probabile che il mercato ricominci a distinguere e selezionare gli emittenti in misura molto superiore al recente passato. Un’approfondita e attenta analisi degli emittenti, a prescindere dal Rating sarà quindi assai più importante di quanto non lo sia stata negli ultimi 4-5 anni.
Obbligazioni High Yield
L’aumento dei rendimenti medio negli ultimi 12 mesi è stato piuttosto significativo sia in termini relativi che assoluti. In effetti i livelli attuali di spread sono compatibili se non addirittura interessanti rispetto allo scenario “base”. Chiaramente questa tipologia di obbligazioni è particolarmente rischiosa, e quindi in caso di scenario “negativo” darebbe ritorni molto negativi agli investitori. In caso invece di scenario “positivo”, l’entità attuale degli spread dovrebbe consentire di attutire l’aumento dei tassi. Nel complesso quindi, questa tipologia di obbligazioni offre, dopo le recenti significative correzioni, un rapporto rischio/rendimento relativamente interessante per quegli investitori che non sono troppo negativi sulle prospettive del ciclo economico e hanno una propensione al rischio sufficientemente elevata per questa tipologia di strumenti.
Conclusioni
Nel complesso per gli investitori obbligazionari il 2019 si apre all’insegna della prudenza. L’atteggiamento che ci sembra più opportuno è quello di costruire un portafoglio diversificato che abbia come obiettivo quello di difendere il valore più che di inseguire obiettivi di rendimento eccessivamente ambiziosi, che quindi costringerebbero a correre rischi troppo elevati.
In quest’ottica segnaliamo le tipologie di investimento che ci sembrano più interessanti per ciascuno dei tre scenari individuati, e proviamo ad “azzardare” una sorta di portafoglio modello per il 2019.
Scenario “base”
BTP scadenze da 1 a 6 anni
Bonos scadenze da 2 a 7 anni
GGB scadenza da 3 a 5 anni
OAT inflation linked scadenze da 7 a 10 anni
BTP inflation linked scadenza da 3 a 5 anni
Bonos inflation linked scadenze da 3 a 7 anni
Financials scadenze da 3 a 7 anni
High Yield scadenze da 1 a 5 anni
Scenario “positivo”
CCT scadenze da 5 a 7 anni
GGB scadenze da 5 a 7 anni
Financial frn scadenze da 5 a 10 anni
High Yield scadenze da 3 a 7 anni
Scenario “negativo”
Europa core scadenze da 7 a 10 anni
Bund inflation linked scadenze da 7 a 12 anni
Corporate AAA – AA scadenze da 4 a 7 anni

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