Miti e leggende su Bitcoin e blockchain: fermiamo la caccia alle streghe… e non perdiamo l’opportunità

A cura di Fabio Pezzotti, Fondatore e Amministratore Delegato di Iconium – prima startup italiana a investire in progetti blockchain e ICO

Mille quotazioni all’anno. Venture capital del calibro di Sequoia Capital, Andreessen Horowitz, Union Square Ventures, Mangrove Capital, Boost VC, che già figurano tra gli investitori più attivi. Un fenomeno che è stato definito “venture capital 3.0”. E il cui funzionamento è semplice: attraverso il libro contabile condiviso, chi vuole lanciare un progetto può raccogliere fondi vendendo token, ovvero pezzetti del progetto, senza intermediari, ai finanziatori. I token possono essere comprati in pre-sale o durante il periodo di ICO e scambiati successivamente su piattaforme di exchange – il che rende l’asset immediatamente liquido: a chi vuole cimentarsi nei panni di investitore in ICO, sono richieste doti di venture capital. Ovvero capacità di analisi del progetto e soprattutto di comprensione e valutazione dei business plan.

In un mercato, quello delle ICO (Initial coin offering), che aveva una dimensione di 100 milioni nel 2016, schizzata a 5 miliardi da inizio 2018 e che, secondo l’RBC Capital Markets Report, varrà 5 trilioni di dollari in un quinquennio. Ma non basta: fallimenti inclusi, il settore ha segnato un ritorno di 13 volte l’investimento nel 2017, secondo le rilevazioni di Mangrove Capital. Numeri da capogiro che, come sempre accade, mettono in allarme il mondo della finanza tradizionale e intorno a cui sorgono rumors nefasti. Che però vale la pena analizzare e – se possibile – sfatare.

Quali sono i rischi?

Come ogni investimento quello in ICO non è esente da rischi, che gli derivano principalmente  dall’essere un sistema nascente in cui i cambiamenti sono ampi e veloci, le regole frammentate e non sempre chiare, le terze parti non sempre immediatamente identificabili come affidabili. Si tratta inoltre di un mercato volatile, adatto a un target di investitori professionali e che, dati i rendimenti molto elevati, se opportunamente inserito in un portafoglio diversificato può contribuire a sostenere le complessive performance in epoca di rendimenti risicati da parte degli strumenti tradizionali.

Bitcoin è una bolla?

Si, per alcuni aspetti, “si” ma questa non è necessariamente una cattiva notizia.

Giusto per ricapitolare: a marzo 2017 il bitcoin quotava 900 dollari, a dicembre 2017 è arrivato ai clamorosi 20.000 dollari per poi correggere ai 7.000 dollari di marzo 2018 (vedi scala logaritmica sottostante).

Prima dello scoppio della bolla di Internet, nel 2000, su Nasdaq si quotavano mille dot.com all’anno: lo stesso numero di ICO lanciate oggi in tutto il mondo.

La frenesia generata dal successo indiscriminato di queste quotazioni portava a investire massicciamente in quella asset class in un circolo vizioso che si auto-alimentava. Quando nel 2000 esplose la bolla, molte società uscirono di scena.

Venti anni dopo questo fenomeno abbiamo internet, il fintech, società come Amazon o la più domestica Yoox Net a Porter.

Le bolle, da sempre, rappresentano un momento di selezione nei mercati.

L’abnorme creazione di moneta (negli ultimi dieci anni superiore a quella dei precedenti 50) ha fatto sì che tutti i mercati crescessero all’unisono. Bitcoin si inserisce in questo contesto di liquidità in eccesso: driver di una crescita sincrona e compatta di tutte le asset class nel corso dell’ultimo anno.

Chi scomoda le speculazioni legate alla nascita di Internet negli anni 2000 o quella, ancora più suggestiva dei tulipani olandesi del 1636, ha probabilmente omesso di confrontare i grafici relativi. Prima di quello che è ricordato come il più antico crack finanziario della storia, si era arrivati a pagare un bulbo (il future del fiore) l’equivalente del reddito di un anno e mezzo di un muratore, un valore completamente slegato dalla realtà. Il crollo fu repentino e verticale.

ICO è sinonimo di truffa?

Lo spauracchio della truffa: ovvero che le ICO in quanto asset immateriali siano l’humus ideale per il proliferare delle iniziative di malintenzionati.

Certo, ce ne sono, ce ne sono state e ancora ce ne saranno come spesso accade, durante le fasi iniziali, ai fenomeni in grande fermento: l’ultima in ordine di tempo è stata quella promossa dallo sfortunato pugile Floyd Mayweather, che – sembrerebbe in maniera inconsapevole – ha sponsorizzato sui suoi social le ICO della truffaldina società Centra, fondata da Sohrab “Sam” Sharma e Robert Farkas.

 Si sono verificate anche iniziative di phishing che hanno sfruttato nome e fermento intorno ad ICO reali promuovendo iniziative fraudolente che nulla avevano a che vedere con la reale ICO.

Quello che però sappiamo con certezza è che, storicamente, i maggiori scandali riportati dalle cronache hanno riguardato la finanza tradizionale. Qualche esempio? Vicino a noi, il fallimento di una decina di banche italiane, controllate da Bankitalia e Consob, sono costate qualcosa come 60 miliardi in un triennio.

Tutto sommato un’inezia se paragonata al costo della crisi subprime. Un disastro epocale per il cui risanamento è stata necessaria una cifra stimata in 13mila miliardi di dollari, se si calcolano i vari Talf, Tarp della Fed e il Qe delle banche centrali di Europa, UK e Giappone.

Le asset class, insomma, tradizionali o alternative che siano, non sono buone o cattive in quanto tali: è l’uso che se ne fa a renderle tali.

E non è vero che basta un sistema di controllo per garantire rettitudine e trasparenza.

Come ci insegna la storia un sistema cripto-friendly, che permettesse di sviluppare in modo sano questa industria potrebbe essere solo un amplificatore di valore per gli operatori del settore, a partire dagli investitori.

I tempi potrebbero essere maturi, visto che Christine Lagarde, direttore  generale del Fondo Monetario Internazionale, ha di recente dichiarato che “c’è spazio per sviluppare principi regolatori internazionali per i cripto-asset, incluse le initial coin offerings”  con l’obiettivo di “di sfruttare il potenziale della tecnologia sottostante, la blockchain, e    allo stesso tempo garantire la stabilità finanziaria e mitigare i rischi dati dal riciclaggio di denaro e dai finanziamenti al terrorismo.

Lo auspicano, senza dubbio, anche gli operatori del settore.

Quale futuro per blockchain e ICO?

Si prospetta una crescita del mercato ma anche una selezione naturale che permetterà solo ai migliori (team e progetti) di accedere a questo nuovo mercato dei capitali.

Basti pensare che Telegram, il sistema russo di messaggistica online, ha varato un progetto ambizioso di ICO con obiettivo raccolta complessiva a 2,5 miliardi di dollari in tre round. E i primi due, da 850 milioni ciascuno, si sono chiusi con un anno di anticipo in pre-sale. Con l’ultimo, a fine anno, il gruppo avrà le risorse per competere, tra gli altri, anche con Facebook e il cinese WeChat. Più vicino a noi, la prima ICO “italiana” (team italiano ma realizzata in Svizzera), lanciata il 16 gennaio, ha raccolto in 90 minuti l’equivalente – in Aidcoin – di 16 milioni di dollari da tutto il mondo, con una oversubscription di altri 6 milioni. Parliamo della piattaforma Charity Star, su cui esponenti dello spettacolo e dello sport possono contribuire a una causa non-profit associandole il proprio brand.

La blockchain, la tecnologia resa mainstream da Bitcoin, è destinata a diventare lo strumento principe del crowdfunding. E non è un caso che, appunto, i migliori team e le idee di impresa più brillanti, insieme ai progetti più promettenti, stiano valutando di andare in quella direzione per la raccolta dei capitali, che sarà resa ancora più semplice proprio dall’ingresso di colossi dell’investimento in startup.

Ci sarà sicuramente un processo di maturazione del mercato, regole più chiare, maggiore protezione per gli investitori, ma questo non fermerà il mercato, anzi. Oggi ci sono milioni di persone nel mondo già coinvolte nel mondo delle criptovalute, tutte alla ricerca di nuove e interessanti opportunità di investimento e di rendimenti in un mondo dove il rendimento sicuro non esiste più e i rendimenti degli strumenti tradizionali sono ridotti all’osso, e comunque altrettanto esposti a rischi.

L’eccesso di liquidità – fino ad ora riversatosi nelle borse di tutto il mondo – sta cercando nuovi sbocchi e opportunità, che la blockchain e le sue applicazioni possono fornire.

Questo fenomeno cambierà radicalmente internet e il mondo che noi conosciamo nel giro di 10 anni.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!