Non abbiate paura dei ribassi, c’è chi non aspetta altro

di Michele De Michelis, responsabile investimenti Frame Asset Management
Sappiamo tutti che ci sono i grandi fondi sovrani in questo momento sono venditori netti mentre i grossi compratori ancora non si vedono all’orizzonte. In tale contesto, aggiungete che i volumi di mercato allo stato attuale sono realizzati per un 75% dai robotrader e solo per il rimanente 25% dagli esseri umani. I robot non pensano, eseguono. Il lato positivo (perchè ce n’è sempre uno, a ben pensarci) è che se non  altro una volta avremmo dovuto attendere mesi per vedere questo ribasso (non dimentichiamoci che il mercato azionario europeo ha perso il 25% dal massimo relativo di aprile 2015 di cui il 20% soltanto nelle ultime 50 sessioni) mentre ora ci siamo levati il dente velocemente.
Ma tornando alla domanda del bear market, è finita qua oppure continuerà a scendere e dovremo levarci altri denti? Se proviamo a rimanere razionali e ad uscire da questo contesto di frenesia, possiamo affermare che questo ribasso a livello fondamentale non è totalmente incomprensibile, specie se prendiamo a titolo di esempio la possibile contrazione degli utili delle aziende presenti sullo Standard and Poors. Se a 118 dollari di utili composti l’indice americano poteva rimanere a 2100 punti con P/E di 17-18, nel momento in cui gli utili si contraggono del 10% anche il P/E è destinato a modellarsi su di una media più consona ad un periodo di deterioramento degli utili, diciamo 15-16.
A quel punto, l’esercizio sul fair value dell’indice dipende da quanto saranno gli utili del 2016. A 105 dollari potrebbe essere giusto un valore di 1650-1700, che vorrebbe dire una correzione del 20% circa dell’indice americano. Nulla di drammatico, visto che la storia abbonda di questi ribassi, che si sono peraltro rivelati degli ottimi affari per comprare. E attenzione, che anche i gestori più bearish (come per esempio Crispin Odey) indicano come 1600 un punto di arrivo per la correzione in atto. Ovviamente non sto dicendo che l’indice scenderà sicuramente a quel livello (purtroppo le sfere di cristallo al supermercato erano terminate), ma a quel punto molto probabilmente le mani pesanti (fat fingers)  rientrerebbero in gioco.
Questa cosa ci è stata confermata da parecchi gestori a Londra, che in alcuni casi sono quasi contenti di vedere scendere i prezzi dei titoli delle loro aziende preferite, perchè almeno avranno la possibilità di farne incetta mettendo a segno un potenziale guadagno per i propri investitori Morale, nessuno di loro vede all’orizzonte una nuova crisi finanziaria o sistemica come quelle che abbiamo visto nel 2008 e poi nel 2011. E In effetti, se ci pensate bene, a chi conviene che il petrolio vada a zero? Non certo ai produttori.
A chi conviene che il “banco” salti? Non certo agli avventori del casino, visto che poi non ci sarebbe più nessuno a pagarli.
Io spero di aver individuato un filo logico in quanto accaduto finora e agli investitori dico di non abbandonare la barca per buttarsi in mare perchè ci sono ancora  un sacco di pescecani. Che senso ha infatti tenere cash sul conto corrente quando i tassi di interesse bancari sono negativi, oltre ad avere un rischio controparte ormai alto (ricordiamo la legge sul bail-in oltre i 100.000 euro depositati)?
Molto meglio allora continuare con gestori market neutral o relative value, strategie sulla volatilità, sugli storni più importanti accumulare pian piano azioni di valore (come stanno già facendo i gestori bottom-up) e continuare a tenere in portafoglio (senza eccessi) la valuta più antica del mondo, l’oro, che sta offrendo segnali interessanti.

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