Non esiste bear market senza un bear market rally

A cura di Eoin Murray, Head of Investments per la divisione internazionale di Federated Hermes

È assodato che l’attuale crisi pandemica abbia creato uno shock esogeno per il nostro sistema economico e finanziario. Per questo motivo riteniamo sia molto utile pensare a come potrebbe svilupparsi attraverso la medesima “lente virale”.

Dallo shock alle conseguenze

Durante le crisi, solitamente i mercati attraversano diverse fasi e la crisi attuale non fa differenza. In primo luogo, abbiamo la fase uno, “lo shock iniziale”, dove i mercati crollano in maniera indiscriminata, gli asset rischiosi registrano significative flessioni, la correlazione tende a uno e i governi e le banche centrali rispondono con un vero e proprio triage politico che sperano possa evitare (in parte) i danni. La fase due, quella delle “conseguenze”, porta a una pausa di riflessione, in quanto gli investitori prendono in considerazione gli effetti di secondo ordine, prima di godersi un ingannevole breve rally falso, noto come il cosiddetto “rimbalzo del gatto morto”. Dopo un’ulteriore riflessione, tuttavia, gli investitori considerano gli effetti di terzo ordine e decidono che effettivamente le loro scelte iniziali erano corrette e ne consegue un ulteriore consolidamento del mercato.

La fase due può ripetersi più volte ed è questo il momento che credo stiamo attraversando adesso. Alla fine, si attende la fase post-orso, o in questo caso post-virus, con l’inizio della ripresa e gli investitori possono prendersi una pausa per riflettere su una prospettiva a più lungo termine e iniziare ad analizzare la natura precisa dei cambiamenti e delle tensioni che seguiranno. Affinché questa fase possa iniziare, avremo bisogno di una maggiore certezza circa l’immunità di gregge (insieme ai test di massa) e/o di progressi significativi per lo sviluppo di un vaccino valido.

Mercati orso nel passato

Non c’è dubbio che il recente rally ci abbia dato un po’ di respiro e ora possiamo riflettere su alcune delle ragioni di base. Iniziamo prendendo in esame quattro dei più noti bear market e analizzare i loro rispettivi rally, in confronto con la crisi di oggi.

Non mancherà naturalmente qualche differenza, in quanto vi è una completa assenza di indicazioni disponibili provenienti da esempi precedenti, dato che la crisi attuale, rispetto al passato, è di una natura completamente diversa. Ma forse gli elementi generali del percorso standard continueranno a essere validi.

Il rimbalzo del listino statunitense

Non esiste un bear market senza un rally. Siamo nel bel mezzo di questo momento, dai minimi toccati a metà marzo, le large cap statunitensi hanno riguadagnato circa il 56% delle perdite, riportandosi tecnicamente in una nuova fase rialzista (circa +25.5%), anche se siamo ancora in un mondo dominato da un’incertezza estrema per l’economia globale e per le prospettive societarie. Quindi i profondi ripiegamenti sono una caratteristica comune dei mercati nelle fasi immediatamente successive alle crisi e, da questo punto di vista, l’attuale fase ribassista non ha mostrato particolari differenze. Nonostante i recenti guadagni messi a segno dalle large cap statunitensi, riteniamo poco probabile gli investitori seguano ancora a lungo questo trend. Il mercato si preoccupa delle perdite cumulative e del tempo necessario per recuperare i guadagni: ipotizzando un calo del 25% degli Eps statunitensi nel 2020 e un recupero del 20% nel 2021, ciò dovrebbe lasciare il livello nominale degli utili societari 10 punti percentuale al di sotto del picco pre-Coronavirus e dei multipli forward che sembrano attestarsi a un livello più alto su base storica.

È il tech che prende il toro per le corna

Esaminando il Nasdaq e l’azionario tecnologico statunitense, registriamo un quadro ancora più radicale. Il Nasdaq ha perso solo il 32,9% dai massimi e ha recuperato il 23,4%, con una ripresa che rappresenta il 67,6% delle perdite originarie. Questo è un valido esempio di rally tipico di un bear market e indica un cambiamento più fondamentale nella leadership di mercato (proseguendo un trend in atto ormai da diversi anni), sia durante il calo iniziale sia certamente nel corso del rally. La concentrazione della capitalizzazione di mercato nei titoli più grandi è aumentata costantemente durante il rally che ha seguito la grande crisi del 2008-09, ma è significativemente cresciuta durante la crisi attuale. In un certo senso il mercato azionario è sostenuto da un ristretto numero di società a elevatissima capitalizzazione attive nel settore tecnologico.

I cinque maggiori titoli dell’S&P 500 rappresentano oggi oltre il 20% della totale della capitalizzazione di mercato, superando il livello di concentrazione del 18% raggiunto durante la bolla delle dot-com. L’ampiezza del mercato azionario è un indicatore di quante azioni si stiano muovendo al rialzo rispetto a quante stiano invece seguendo un andamento ribassista e quando l’ampiezza è limitata significa che un gruppo relativamente piccolo di azioni sta guidando il rialzo, mentre la maggioranza non sta performando in modo simile, ma molto probabilmente anche in calo. Quindi, anche se l’indice nel suo complesso è solo 16 punti percentuale inferiore rispetto ai massimi record raggiunti a febbraio, il titolo mediano rimane del 27% circa al di sotto dei precedenti massimi. Analoghi episodi del passato tendono a essere seguiti da rendimenti inferiori alla media, con l’attuale momentum invertito.

La storia si ripete?

Tutti i bear market presentano alcune analogie e da ciò si può ipotizzare come potrebbero andare le cose. Ma ognuna di queste fasi ha ovviamente caratteristiche uniche e le cose non funzionano mai esattamente come in passato. Durante questa crisi, i mercati europei non hanno messo a segno una ripresa così rapida come quella registrata sull’altra sponda dell’Atlantico; anche altri asset di rischio, come il mercato del credito si sono ripresi, ma anche in questo caso non quanto i leader azionari. I rendimenti obbligazionari globali sono ancora ai minimi storici, mentre le materie prime cicliche (compreso il petrolio) rimangono per la maggior parte sotto pressione.

Più in generale, mentre i prezzi dell’oro sono in rialzo, le valute dei mercati emergenti stanno facendo fatica nei confronti del dollaro. Non c’è dubbio che dietro questo rally di rischio vi sia stata una potente spinta dal fronte politico (governi e banche centrali) e dalle autorità di regolamentazione, oltre al crescente ottimismo sul fronte sanitario. Allo stesso modo, il comportamento del mercato ha iniziato a normalizzarsi, anche se persistono ancora sacche di illiquidità. La probabilità di effetti di secondo e terzo ordine sui mercati del rischio, in particolare sul fronte del credito, è certamente ridotta, ma lungi dall’essere completamente eliminata. I default, per esempio, si verificheranno inevitabilmente.

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