Obbligazionario, occhio alle mosse delle banche centrali

A cura di John Greenwood, Chief Economist di Invesco

I mercati azionari hanno subito una flessione a maggio, ma a giugno hanno recuperato la maggior parte del terreno perduto e i principali indici azionari statunitensi hanno toccato nuovi massimi. Ciò è in linea con la tesi che sosteniamo da tempo, ossia che i prezzi degli asset sono sostanzialmente dettati dalla politica monetaria e dal ciclo economico.

Alla luce della salute soddisfacente dei bilanci dei consumatori statunitensi, della buona tenuta dei dati occupazionali nel settore non agricolo a giugno (incremento di 224.000 posti di lavoro) e di un’inflazione ancora al di sotto dell’obiettivo, la Fed ha pochi motivi, se non nessuno, per procedere a una stretta. Per contro, è più probabile che il Fomc tagli i tassi d’interesse per prolungare l’espansione, il che significa che i livelli massimi dei prezzi azionari sono probabilmente ancora un po’ lontani.

I possibili interventi della Fed

D’altra parte, l’andamento del mercato obbligazionario è dettato dalle aspettative in merito all’evoluzione dei tassi a breve termine e dell’inflazione. Dopo che nelle prime settimane del 2019 la Fed ha virato verso una politica monetaria più accomodante, il rendimento delle obbligazioni decennali del Tesoro è sceso dal 2,78% al 21 gennaio all’1,95% al 4 luglio, essenzialmente a causa delle crescenti attese di tre tagli dei tassi, per un complessivo 0,75%, entro la fine dell’anno. La notizia della nomina di Christine Lagarde quale prossimo presidente della Bce ha impresso un ulteriore slancio, soprattutto nei mercati obbligazionari dell’area euro.

Queste aspettative sono ragionevoli solo nel caso in cui la Fed intervenga per soddisfare le attese dei mercati obbligazionari, il che non è inevitabile e i tagli dei tassi non siano accompagnati da un’accelerazione della crescita monetaria e del credito.

Tuttavia, qualora la crescita monetaria e del credito aumenti a seguito dei tagli dei tassi, l’attività economica si rafforzerà, la domanda di credito aumenterà e l’inflazione salirà. Tutto questo è destinato a trasformare il contesto di rendimenti in calo in uno scenario di rendimenti in aumento, in quanto le preoccupazioni per l’inflazione assumerebbero il ruolo di propulsori chiave dei rendimenti obbligazionari, al posto dell’andamento dei tassi a breve termine.

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