Oro sotto i riflettori: il difficile rapporto fra industria estrattiva ed Esg

A cura di Joe Foster, Portfolio Manager e Strategist di VanEck

Il 2020 è cominciato bene per l’oro, trainato dai rischi legati agli sviluppi geopolitici. Il 3 gennaio, l’attacco con un drone a un generale iraniano da parte degli Stati Uniti ha visto la risposta dell’Iran l’8 gennaio con un attacco contro una base militare congiunta di Stati Uniti e Iraq. In questo contesto, il metallo giallo ha temporaneamente toccato quota 1.600 dollari l’oncia per la prima volta dal 2013. Il 14 gennaio l’oro è sceso ai minimi del mese, per poi risalire a seguito dello scoppio dell’epidemia di coronavirus in Cina. La diffusione dei contagi ha spinto in forte ribasso i prezzi dei metalli e del greggio, poiché gli investitori hanno cominciato a temere le possibili ricadute sulla crescita economica in Cina e nel resto del mondo. I Treasury statunitensi hanno guadagnato terreno e l’oro ha chiuso il mese in rialzo di 71,89 dollari l’oncia (+4,7%) a quota 1.589,16 dollari. Le azioni aurifere hanno invece sottoperformato rispetto al metallo giallo, probabilmente a causa della mean reversion dopo la robusta sovraperformance di dicembre.

La quotazione dell’oro nell’ultimo mese (fonte: Bloomberg)

Le quotazioni aurifere non sono indicative della domanda di oro fisico

Secondo i dati del World Gold Council (Wgc), nel 2019 la domanda complessiva di oro è diminuita dell’1%. La domanda di beni di consumo (gioielleria, lingotti e monete) è stata particolarmente debole ed è scesa ai livelli più bassi degli ultimi dieci anni (-11%), principalmente a causa dell’andamento sotto tono di India e Cina.

Se la domanda è calata, a cosa è dovuto il rialzo del 18% registrato dalle quotazioni aurifere nel 2019? L’oro si comporta più come uno strumento finanziario che come una materia prima. I prezzi delle materie prime sono determinati dalla domanda fisica; quelli dell’oro dalla domanda finanziaria. I forti acquisti di oro come copertura finanziaria e valutaria da parte delle banche centrali e degli exchange traded products (Etp) sull’oro fisico hanno quindi sospinto le quotazioni aurifere, malgrado i livelli molto modesti della domanda dei beni di consumo, più importante in termini di volumi. La domanda d’investimento sul mercato degli strumenti finanziari (futures e over-the-counter) ha contribuito a propria volta al rialzo dell’oro nel 2019.

Ci aspettiamo che queste dinamiche di domanda e prezzo proseguano anche nel 2020, se le quotazioni aurifere si manterranno solide. Al momento sembra che l’oro possa superare quota 1.600 dollari l’oncia nel primo semestre.

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Il settore aurifero definisce i propri principi Esg globali

Diversamente dalla maggior parte degli altri settori, le aziende estrattive non possono scegliere il clima, la comunità o l’ubicazione più consone alla loro attività. Devono costruire là dove si trovano i giacimenti auriferi, per lo più dispersi in località molto remote. L’attività estrattiva, inoltre, presenta un’elevata intensità di capitale, poiché richiede un maggiore uso di attrezzature, materiali ed energia rispetto alla maggior parte degli altri settori. Riteniamo quindi che non abbia senso per gli investitori confrontare la performance Esg di un’azienda mineraria con quella di una società di distribuzione al dettaglio, di un operatore aerospaziale o di un’impresa di semiconduttori. In generale, più un settore è vicino al consumatore o all’utente finale, minore è il suo rischio Esg. A nostro avviso, però, nessun altro settore potrebbe esistere senza i materiali di base forniti dall’industria estrattiva.

Ogni attività svolta nel settore dell’oro presenta centinaia di aspetti ambientali e sociali, molti dei quali sono caratteristici di quell’area specifica. Le aziende aurifere con cui ci siamo confrontati interagiscono regolarmente con le agenzie di rating. Temono però che l’ingente volume di dati Esg sia semplicemente ingestibile per le agenzie specializzate, che secondo loro non hanno le capacità o le competenze necessarie per effettuare una valutazione adeguata. È emersa anche la preoccupazione che le agenzie di rating reperiscano buona parte delle informazioni attingendo dalle notizie di stampa, dagli articoli sul web e dalle relazioni delle organizzazioni non governative (Ong), che spesso sono prevenuti nei confronti dell’industria mineraria e mancano di oggettività ed equilibrio.

Bisogna anche tenere conto dell’aspetto “black box” (scarsa trasparenza metodologica) e della mancanza di standardizzazione dei processi utilizzati da ogni agenzia per stilare le proprie graduatorie. Ad esempio, Sustainalytics descrive il proprio modello come “una serie di indicatori beta sub-settoriali che generano i cosiddetti segnali beta, i quali sono infine aggiunti al valore beta predefinito del sub-settore, pari a 1, e rettificati per gli aspetti qualitativi e il fattore di correzione”. Dubitiamo che questa descrizione possa sembrare chiara a molti investitori.

Inoltre, l’attuale analisi dei rating Esg ignora il contributo positivo offerto dall’industria mineraria a migliaia di comunità in tutto il mondo. L’attività estrattiva crea posti di lavoro e porta assistenza sanitaria e istruzione nei paesi meno sviluppati in cui, a nostro avviso, poche aziende o enti di beneficenza sarebbero disposti a operare. Il settore minerario sostiene buona parte dell’economia, del tenore di vita e della cultura nelle zone rurali di luoghi come il Nevada, l’Australia Occidentale e il Canada. Crediamo che l’analisi dei fattori ESG debba necessariamente tenere conto della performance sul campo, oltre a utilizzare le liste di controllo e le informazioni di pubblico dominio normalmente usate dalle agenzie specializzate.

L’industria aurifera ha riconosciuto la necessità del rigore e della standardizzazione in ambito Esg. A questo scopo, nel 2019 il Wgc, l’organismo di settore, ha pubblicato i Principi di estrazione responsabile dell’oro (Responsible Gold Mining Principles o Rgmp), ovvero 10 principi Esg per un totale di 51 voci sulle quali le società coinvolte devono pubblicare informazioni. Questi principi sono una sintesi di diversi standard già in uso su scala globale e tengono conto del contributo di una serie di stakeholder e agenzie. L’obiettivo è dare agli investitori e ai consumatori la sicurezza che l’oro acquistato sia stato estratto in modo etico. L’ottemperanza a questi Principi sarà assicurata su base annua mediante la pubblicazione di dati e la realizzazione di “verifiche indipendenti” svolte sia presso le miniere sia a livello aziendale. Le società che aderiscono all’iniziativa beneficeranno di un periodo d’implementazione di tre anni e le verifiche indipendenti saranno effettuate a partire dal terzo anno. Ci aspettiamo che tutti i produttori di oro in cui investiamo adottino questi Principi.

Il Wgc ha anche fissato l’obiettivo ambizioso di azzerare le emissioni inquinanti su base netta entro il 2050 mediante iniziative di ottimizzazione dei processi, decarbonizzazione del trasporto e dell’elettricità, uso di energia autosufficiente e compensazione delle emissioni. Anche se il settore sta già riducendo le emissioni dove è più sensato dal punto di vista economico, per raggiungere l’obiettivo fissato per il 2050 saranno necessari ulteriori progressi tecnici in aree come le energie rinnovabili, la capacità di accumulo delle batterie e i veicoli elettrici, sulle quali il settore non ha alcun controllo. Le aziende sono pronte a testare e adottare nuove tecnologie, ma a nostro avviso ci vorranno ancora anni per un’implementazione generalizzata.

La gestione del rischio ambientale e sociale non è certo una novità per le aziende aurifere; al contrario, è uno degli aspetti più importanti della loro attività. Non investiamo in aziende che non puntano all’eccellenza in ambito Esg. Tuttavia, se gli investitori decidessero di evitare l’intero complesso dell’industria estrattiva poiché nutrono aspettative Esg a nostro avviso irrealistiche o infondate, potrebbero venire meno i capitali necessari al settore per mantenere i livelli di produzione. Se portata all’estremo, la carenza di capitale genera scarsità e aumenti dei prezzi che a loro volta potrebbero innescare una spirale inflazionistica, con importanti ripercussioni sull’economia mondiale.

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